Don Massimiliano Nastasi – Benedetto XVI e la scelta di nominarsi “Papa Emerito”
Era la mattina dell’11febbraio, durante il concistoro per la canonizzazione dei Martiri di Otranto quanto inaspettatamente Benedetto XVI pronunciava un discorso in latino dove annunciava Urbi et Orbi la sua rinuncia petrina: «Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005» [AAS 105 (2013) 239].
L’ultimo Pontefice che aveva pronunciato simili parole era Gregorio XII nel 1406, e prima ancora di lui il famoso Celestino V (1294), fino a giungere al primo della serie con un Padre della Chiesa, Clemente I nel lontano 88. Le dimissioni di un Papa nella storia della Chiesa, pertanto, non rappresentano una novità (10 su 266), ma quest’ultimi assunti da Benedetto XVI certamente mostrano qualcosa di diverso, sia da un punto di vista canonico – in senso amplio relativo all’intera giurisprudenza ecclesiale – che propriamente teologico.
Per definizione il Romano Pontefice è Vescovo della Chiesa di Roma, e in forza della sua successione all’Apostolo Pietro è «Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale» [CIC 331]. Quindi, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata ed universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare in piena libertà [Concilio Vaticano I, Cost. Pastor aeternus, DH 3050; Concilio Vaticano II, Lumen gentium 18; Christus Dominus 2]. Secondo il CIC 332 § 2, gli è anche possibile rinunciare a queste prerogative, liberamente e manifestandolo debitamente, non chiedendo a qualcuno che la accetti.
Il Papa, come Vicario di Cristo, pertanto, è capo della Chiesa Cattolica, come la testa nei confronti del corpo, e questa sua peculiarità è legata al suo essere Vescovo dell’Urbe, come tutti gli altri Vescovi legati alle loro comunità cristiane (Diocesi). Rinunciare al compito petrino è rinunciare alla guida della Chiesa di Roma, e di conseguenza, alla Chiesa universale. Pertanto, la nomina di un Vescovo dimissionario tiene conto del suo status nella Chiesa, che è sacramentale (episcopo) e non semplicemente nominale, affiancato poi alla sua temporalità di potestà (emerito).
Dopo la rinuncia di Benedetto XVI, e nello smarrimento e silenzio che ne è seguito, alcuni canonisti avevano rilasciato varie interviste e scritto articoli sulla possibile presenza di un “ex Papa” nella Chiesa, proponendo titoli e assegnando compiti per il futuro “già” Vicario di Cristo. Pur diversi ma comunque concordi sulla formulazione del titolo: Vescovo emerito di Roma. Prendendo in esame la giurisprudenza dell’episcopato in merito alla questione [cfr. CIC 402], la rinuncia, infatti, è fatta in relazione all’oggetto che determina la potestà, ossia alla Diocesi. Ciò varrebbe anche per il Pontefice che è tale in quanto assume la sua potestà in relazione alla Diocesi di Roma: «Colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione» [G. Ghirlanda, «Cessazione dell’ufficio di Romano Pontefice», in La Civiltà Cattolica 3905 (2013) 445-462].
Discorso coerente ma che trova dopo pochi giorni una inaspettata sorpresa: Benedetto XVI sceglie di nominarsi Papa emerito, conseguentemente restando con l’abito talare bianco, mantenendo lo stemma ma restituendo l’anello del pescatore per quello vescovile e restando ad abitare, infine, nella Città del Vaticano. In difesa di questa scelta il canonista don Stefano Violi della Facoltà teologica dell’Emila Romagna che afferma come: «Con atto libero, Benedetto XVI ha esercitato la pienezza del potere, privandosi di tutte le potestà inerenti il suo ufficio per il bene della Chiesa, senza però abbandonare il servizio alla Chiesa; questo continua mediante l’esercizio della dimensione più eminentemente spirituale inerente al munus affidatogli, al quale non ha inteso rinunciare» [S. Violi, «La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza», in Rivista Teologica di Lugano 18/2 (2013) 203-214]. Dopo di lui tanti altri canonisti e teologi, in accordo e in disaccordo ancora oggi a distanza di sette anni.
Abbiamo visto come canonicamente ogni Vescovo acquisisce la sua potestà dalla Diocesi esercitandola per la santificazione del popolo di Dio. Così come il Romano Pontefice che è Vescovo di Roma. Il suo compito petrino, infatti, è frutto di una scelta dei Cardinali nel Conclave, confermata dallo Spirito Santo, ma non è un’azione sacramentale, come lo è invece l’episcopato legato al sacramento dell’Ordine. Rinunciare a tale mandato evangelico (cfr. Gv 21, 15-19) è rinunciare ad esercitare la potestà sulla Diocesi stessa che la pone in essere. Il titolo Vescovo emerito di Roma è certamente più in linea con tale rappresentazione della situazione, ma è pur vero che anche il titolo Papa emerito lascia non l’azione di potestà, ma il suo essere stato tale.
Schierarsi da una parte o dall’altra, come fosse una partita sportiva, non è in questo caso un segno di carità nei confronti dell’unità, che è il nostro ideale come testimoni di Cristo vivo ed operante nella sua Chiesa, anche perché entrambe le posizioni pro e contro tale nomina restano tutt’ora valide. Forse linguisticamente non fruibile, ma chissà per un futuro orienterei al titolo di Vescovo emerito di Roma già Papa emerito così da rendere sereni i distinti spalti.
Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)