
Le Lettere di Iris – Matteo 25, 34 ovvero le sette opere di misericordia corporale
“Ricordate Matteo 25”, ci ha ammonito dMauro. Già, il celeberrimo brano di Matteo, sintetizzato nelle sette Opere di misericordia corporale che una volta andavano imparate a memoria nel catechismo e che mia nonna mi ripeteva sempre, aggiungendo ad ogni opera episodi della sua vita vissuta. Si scusava dicendo che l’unica cosa che non aveva avuto il coraggio di fare era stato “seppellire i morti”, perché le faceva troppo impressione. Io cercavo di rassicurarla dicendo che era un modo di spiegare che dobbiamo avere cura per i defunti, opera che lei praticava assiduamente e di cui ci ha trasmesso l’esempio. Ma soprattutto mi raccontava con trasporto che lei era anche andata a trovare in carcere un uomo condannato. Ne parlava a voce bassa, quasi con pudore, come fosse un gesto straordinario, sensazionale, oltre che eroico, in un tempo in cui anche i parenti stretti abbandonavano, rinnegandolo, un congiunto che si era macchiato di colpe davanti alla legge e che aveva portato la vergogna in famiglia: per loro era come morto. Ma lei era andata, senza curarsi delle chiacchiere, senza preoccuparsi della colpevolezza o presenta innocenza di quest’uomo. E conoscendo la nonna, sono sicura che avrà anche portato un pacco di buone cose e oggetti utili. Penso sempre a lei quando leggo gli inviti di don Mauro per aiutare i carcerati. Diciamoci la verità: quanto è facile aiutare un carcerato? Non è facile per nulla! Il primo istinto è pensare che se l’è cercata, che le possibilità di recupero sono rare bla, bla ecc. Superati con la Parola e la preghiera questi pregiudizi, inviamo il nostro contributo, perché a noi basta veramente un click. Ma saremmo capaci di sporcarci le mani, come i cappellani? A cosa pensiamo quando il dolce da noi inviato viene mangiato da un pedofilo, uno stupratore o un pluriomicida? Ricordo le polemiche dalla lavanda dei piedi fatta da Francesco ai detenuti, ricordo il dolore sincero di chi aveva avuto la vita sconvolta da qualcuno chiuso in carcere, e non li ho criticati, perché il perdono sincero è proprio dei santi! Ricordo anche l’episodio narrato dal cardinale Ersilio Tonini, quando andò in carcere a visitare i ragazzi che lanciando massi sull’autostrada, avevano causato morti. Raccontò la morte di suo padre, che non potè assistere alla sua prima messa celebrata nel paese natale, così tanto attesa, perché fu ucciso da un’auto pirata mentre il figlio si preparava in sagrestia (non riesco a trovare la registrazione dell’intervista! Se qualcuno ci riesce farebbe bene a condivide il link perché è straordinaria). Ho letto che le meditazioni della Via Crucis di questo Venerdì Santo sono state composte con la collaborazione di alcuni carcerati di Padova. Sono contenta, perché oltre all’aiuto materiale che possiamo dare, c’è anche la condivisione della Liturgia che unisce. La Redenzione è per tutti perché Cristo è morto per tutti e noi non dovremmo mai giudicare.” Non c’è professione o condizione sociale, non c’è peccato o crimine di alcun genere che possa cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli. “Dio ricorda”, sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; Lui è Padre, sempre in attesa vigile e amorevole di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa. E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente, subito gli è accanto, e con il suo perdono gli rende più lieve il cammino della conversione e del ritorno.” (Francesco. 4 novembre 2013) Penso che anche solo accettare la presenza di un cappellano sia quel” quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente”, ovvero l’inizio della redenzione.