Lettere di M. B. – Cronache di un medico contagiato da Covid-19 (21)

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3.4
Il lavoro stamane scorre tranquillo.
Cerco di avere notizie di un mio giovane paziente ricoverato cinque giorni fa e scopro che è a Vimercate intubato.
Vado al domicilio da una signora con un rialzo pressorio da alcuni giorni( peraltro i valori pressori ora sono rientrati con la terapia impostata) e sintomi aspecifici: c’è molta ansia per la situazione di cui non si vede la fine, per il lavoro e gli stipendi fermi, per i molti conoscenti morti nel paese. Farsi aiutare in questo momento attraverso telefonate con addetti ai lavori per lei mi dice non è proficuo: ci ha però almeno provato.
Infatti, sono stati istituiti sia dall’Unita territoriale di emergenza in collaborazione con il consultorio familiare dei servizi sociosanitari di zona sia dalla Diocesi dei numeri di telefono attivi tutti i giorni feriali a cui rispondono specialisti che possono ascoltare e fornire un supporto psicologico gratuito. E in questi giorni
mi sto rendendo conto di quanto ci sia sempre più bisogno proprio di questo e del fatto che ce ne sarà ancor di più nei giorni, nei mesi a venire.
Accanto a questo c’è secondo me ora anche il desiderio in molte persone di rendersi utili per cui tanti sono i volontari che, organizzati dalla protezione civile, o dai comuni, consegnano la spesa o i farmaci direttamente a domicilio.
Anche per questo vado poi in Comune dove ho appuntamento con il Primo cittadino, che già in tempi non sospetti era molto sensibile e attento ai bisogni degli ultimi, per organizzare al meglio gli aiuti a chi davvero è solo e bisognoso.
Nel pomeriggio vengo a sapere che un altro collega, un amico, non è riuscito a vincere la sua battaglia contro il covid: era un professionista preparato che sapeva con la sua dialettica rendere semplici le cose complesse.
La serata però mi riserva un po’ di serenità: oggi compie gli anni mia suocera e devo dire che il poterla festeggiare insieme, dal momento che viviamo accanto, acquista un particolare significato in questo momento, dopo che tutti noi in famiglia siamo,in un modo o nell’altro, (senza sintomi gravi da richiedere l’ospedalizzazione), quasi del tutto usciti, praticamente illesi, dal virus.
E’ davvero impagabile poterci ritrovare
ancora attorno al tavolo insieme con una torta preparata dalle ragazze e una preparata da lei stessa : la sua, agli amaretti e cioccolato, è sempre la migliore e non manca mai perché è la preferita da tutti noi.
Anche quest’anno.

4.04 e 5.04
È già arrivato un’altro fine settimana e non mi capacito di quanto veloce mi passino i giorni: provo una sensazione strana, contrastante : se rileggo le emozioni, i vissuti di questo lungo periodo mi sembra trascorsa davvero un’ eternità, pesante da portare, da quando cioè non posso fisicamente abbracciare mamma o gli amici più cari, o vivere la vita di sempre, se invece mi fermo solo a questa settimana: beh è volata via tra le molte cose da fare che poi sono sostanzialmente: ascoltare, poi rispondere, a volte agire, non ripensare troppo a decisioni prese, gestire le preoccupazioni per l’andamento clinico dei pazienti più gravi che sono al domicilio. E così era stato per la scorsa.
Il tempo vissuto vola.
Il tempo interiore comincia per me davvero a farsi greve.
In questo weekend ho deciso che avendo un momento di tregua riuscivo a mettere nero su bianco i morti tra i miei pazienti: a me le statistiche fanno repulsione, tradurre in numeri la tragedia e ridurre a numeri le persone mi mette i brividi, ma ahimè, è utile.
Non ho ancora voluto contarli perché finora per me sono persone con i loro volti, le loro famiglie, le loro storie, di cui conosco tanto, davvero tanto.E tali resteranno. Ne conto dapprima dodici ma sento che me ne mancano ancora, ma non vogliono affiorare alla mente tutti subito; credo sia una difesa o un rifiuto: arriveranno poi nella notte, mentre non dormo, altri cinque volti che si sono intrecciati con la mia quotidianità, con il mio mestiere, con la mia vita.
I soliti pazienti che seguo più da vicino sono stabili in due anzi in lieve miglioramento mentre la signora più anziana temo proprio non ce la farà: sento quotidianamente l’infermiera che con grande dedizione va a visitarla e a mettere fleboclisi e colgo che siamo alla fine. Io resto in contatto diretto via whatsapp con il figlio che solo in casa la accudisce in un modo davvero unico. E questo ce lo scambiamo come osservazione io e l’amica infermiera perché per noi è molto confortante vedere l’amore che c’è qui e che non morirà sola.
In questi giorni non è sempre così, a casa, non è scontato.
In questi giorni in ospedale,come sappiamo, non è stato nemmeno possibile.
Avendo un po’ di tempo per fermarmi e guardarmi dentro, mentre passeggio nel mio prato, mi metto a piangere… e sento che non ce la faccio più.
Quando finirà?
Poi so anche però che domani, quando i pazienti cominceranno di nuovo a telefonarmi, mi passerà lo sconforto e sarò pronta a consigliare terapie e a infondere coraggio.
Ma adesso piango. E sento che mi fa bene.
Si, come dice l’OMS, in questa pandemia “Nessuno è invulnerabile”
E non solo nei confronti del virus, aggiungo io.
Dalle morti, dai sentimenti, dagli affetti, da noi stessi, dai nostri limiti e dalle nostre paure: siamo fragili e va bene così.
E le parole del Papa in questa che è la Domenica delle Palme arrivano puntuali e coinvolgenti a darmi conferma e sostegno per quanto sento :
“Dolore abbandono totale sofferenza, nessuna via d’uscita. Resta il fatto che Gesù l’ha provata per essere in tutto solidale con noi. Lo ha fatto per me, per te, per essere sempre al tuo fianco nelle sofferenze più atroci.”
E allora va bene, sono qui, continuo ad esserci fin quando durerà.