
Le Lettere di Gal – Il senso del limite
Diamo il benvenuto a Gal che pubblica oggi la sua prima lettera! Grazie!
Nella mia pratica lavorativa sono quotidianamente alle prese con la malattia e il dolore, con il limite della natura umana, con il limite della vita in sé.
Sì, perché, nonostante lo sviluppo scientifico-tecnologico in campo medico abbia fatto passi da gigante, alimentando i sogni di onnipotenza dell’uomo e aprendo conseguenze imprevedibili per lʼumanità, anche oggi si muore. Si muore oggi come 500 o 2000 anni fa… anzi forse semplicemente con più anni di vita addosso e spesso più soli… Così ogni giorno mi confronto con il senso del limite, il mio, quello del sistema sanitario (ma non entrò qui in merito), quello della vita in sé… Senso del limite che, a mio avviso, sta però diventando il grande assente. In questi giorni di caldo torrido vengo chiamata a casa di pazienti anziani che soffrono il caldo, non bevono per cui sono disidratati e fanno preoccupare i figli più o meno vicini e presenti. E questo mi ha portato ad una riflessione. Parecchi di questi anziani in questione sono relativamente sereni, consapevoli ormai di essere al termine dei loro giorni. Hanno toccato con mano cosa significhi avere molti anni sulle spalle, non poter più disporre delle proprie forze come un tempo, non poter più decidere di muoversi liberamente e rapidamente. La solitudine a volte pesa, i dolori si fanno sentire… Ed è allora che può capitare che decidano di lasciarsi morire, di non affannarsi a dover per forza mangiare, bere, assumere farmaci, compiacere gli usi e costumi finora indossati. Possono, in cuor loro, accettare che stia giungendo la loro ora. Ma questo nessuno se lo vuole sentir dire ad alta voce né loro né i parenti. I figli e i parenti loro attorno soffrono, quasi mai lo accettano e solo di rado sanno cogliere, dietro questo atteggiamento di rifiuto, una richiesta di accompagnamento silenzioso, tenero, affettuoso, un bisogno di condivisione di questo ultimo tratto di strada tanto faticoso sì, ma che può essere tanto dolce se percorso passo passo con le persone amate al proprio fianco, quando queste ultime riescono ad esserCi. Sono consapevole, anche per esperienza diretta, che non è per nulla facile “starci dentro”. La voglia di fermare la corsa, di scendere o di imporre consigli pressanti per continuare a mangiare o ad assumere le terapie sono costanti, così come la paura dello stare al fianco di chi sta morendo, dei lunghi silenzi o ancora del non aver fatto abbastanza, sono sempre in agguato. E allora io, come medico, da che parte mi metto? Come mi pongo? Io, per indole, mi ci getto ogni volta, con fatica ma sempre con il cuore in mano, perché a far diversamente non ne sono capace, e mi ridico che voglio mettermi sempre dalla parte della vita, che, negli eventi di cui sto accennando, equivale per me a RELAZIONE vera, a tempo speso per dire parole chiare, poche, con morente e parente, perché la vita finisce sì, sta finendo e io posso solo esserci, togliere il dolore magari non tutto, non sempre. E anche io muoio un poʼ ogni volta a me stessa, ai miei limiti, al mio desiderio di guarire, e poi per alcuni o molti giorni, mi porto la morte dentro… Sì, a volte, confesso che sono sfinita, davvero stanca di morte, di sofferenza, di dolore visto, assistito e condiviso. Sì perché qui di quale Vita stiamo parlando? Cosʼè questa dura faticosa vita degli ultimi nostri giorni? Come si fa a sopportare una vita così da ammalato o da vecchio? Come si fa a guardare e ad accettare da figlio? Si è stanchi, sfiniti, fragili, magari risentiti e rigidi. Esiste allora lʼantidoto ad una morte sconsolata e desolata? Sì !!posso dire di sì perché lʼho visto, lʼho toccato con mano, sulla mia pelle, in questi anni. E qui non cʼentra la fede, che se cʼè, intendiamoci, è davvero una grande benedizione! SÌ!, si chiama condivisione, condivisione di tempo, di cura, si chiama pazienza, ascolto, accoglienza, in poche parole per me si tratta di relazione autentica di amore. È lʼamore per la vita il nemico di ogni rigidità ed è anche lʼunica luce che può brillare in questi momenti altrimenti così difficili da affrontare che prima o poi investono ciascuno di noi e che se non preparati, accolti e meditati per tempo, non si improvvisano e gli eventi vecchiaia, malattia e morte si trasformano in tragedia o quantomeno in rifiuto e chiusura ricolmi di sensi di colpa. Sono sempre più convinta che lʼunica vera forza venga dall’aver saputo costruire relazioni autentiche, vere, sincere con coloro con cui viviamo e con chi condividiamo un tratto più o meno lungo del nostro cammino. È una questione di essersi voluti mettere in gioco sul serio nella vita come persone, come esseri umani che sanno fare del loro tempo e del loro esserCi, una presenza amica e amante. Il resto è solo buio, solitudine, separazione. La relazione è condivisione, solidarietà, compagnia, arricchimento, speranza. La morte resta sempre la più difficile e dolorosa ferita da vivere. Si piange perché fa male. Fa male e basta. Però piangere insieme, tenendo e accarezzando la mano di chi ti sta morendo fra le braccia fa un poʼ meno male. A me e a lui. Ne sono convinta.
Gal, classe 69, donna. Moglie, mamma, medico. Si ritiene privilegiata per trovarsi a vivere da sempre in un paesino a misura d’uomo. Le piace definirsi figlia del mondo per il vasto respiro dei suoi interessi che spaziano dall’arte alla fotografia, dal viaggio alla lettura. Impetuosa, talora inopportuna, mai diplomatica, sempre in ricerca.