Blog / Scritti segnalati dal blog | 12 Marzo 2019

Progetto Gionata – “Come sacerdote ho deciso di vivere con la mia omosessualità, non contro di lei”

Marco segnala al blog questo articolo e lo introduce così:

Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti (Atti 10,34-36).

Testimonianza di A., prete e omosessuale, pubblicata sul sito del giornale cattolico “La Croix” (Francia) il 25 febbraio 2019, libera traduzione di finesettimana.org

La pubblicazione, in questi giorni del libro Sodoma di Frédéric Martel e le pagine di La Forza della vocazione di Papa Francesco dedicate al tema dell’omosessualità nel clero, mi spingono a darvi la mia testimonianza.

Sono nato in una famiglia cattolica praticante, ho sentito la chiamata a dare la mia vita al Signore durante l’infanzia, molto prima che si ponessero nella mia vita le domande relative alla sessualità. Nella preadolescenza, ho subìto, senza poterlo definire tale all’epoca, un episodio di abuso sessuale da parte di un giovane del mio ambiente, di alcuni anni più grande di me, proprio mentre la mia sessualità cominciava a svegliarsi.

Quell’evento mi ha fatto entrare in un periodo di confusione che mi ha portato all’abbandono della questione vocazionale. Che però è tornata, ancor più viva, nel corso dei miei studi secondari, e questo mi ha spinto a cercare il modo di fare di discernimento. La questione del celibato non costituiva un problema per me, non essendo io attratto dalle donne e non avendo relazioni sessuali.

Più problematica era la questione della castità vissuta nella continenza: la vita pulsionale mi portava spesso alla masturbazione. A quell’epoca, interpretavo il turbamento che provocava in me la vista o l’idea del sesso maschile come una conseguenza dell’abuso sessuale vissuto nella prima adolescenza. Ed è in questo modo che ho potuto parlarne ai miei accompagnatori spirituali successivi, e questo era per me fonte di grande sollievo.

Dopo un percorso da seminarista segnato da periodi di dubbi legittimi e di segni che confermavano la mia vocazione, sono stato ordinato prete. Il turbamento continuava ad esserci. La mia vita di preghiera era spesso una richiesta d’aiuto al Signore. È stato sette anni dopo la mia ordinazione, durante una conversazione profonda con un amico, che la realtà del mio orientamento omosessuale mi è apparsa chiaramente. Fu per me, contemporaneamente, una sorpresa, un sentimento di profonda riconciliazione con me stesso e una collera: come avevo potuto vivere fino a quel punto nel rifiuto?

Ho intrapreso una psicanalisi che mi ha condotto ad una comprensione migliore del mio funzionamento psichico, e in particolare del meccanismo che porta al rifiuto: l’omofobia interiorizzata. Si tratta dell’accettazione, nel profondo dello psichismo, dell’ambiente omofobo nel quale viviamo, in particolare nel discorso ufficiale della chiesa.

Poiché l’omosessualità è una condizione non scelta, che si impone alla persona omosessuale come un dato interiore presente da sempre… poiché l’ambiente familiare, sociale e culturale è ostile, ancora oggi in molti luoghi, ad ogni espressione di questo orientamento sessuale… molte persone omosessuali si trovano nella impossibilità di ammettere a se stesse la loro tendenza profonda. Alcune vivono una tale lotta interiore, un tale rifiuto di se stesse sia dall’esterno che dall’interno, da arrivare a desiderare di morire. Non fu così per me.

Ho deciso di vivere con la mia omosessualità, e non contro di essa, per non vivere contro di me. Ho deciso di abbracciare questa dimensione del mio essere come il percorso strano e particolare che mi è proposto. E in quanto prete, come una dimensione della mia vocazione. Non credo che il Signore ignorasse la mia condizione. Non credo che la mia vocazione sia stata fondata su una fuga dalla mia sessualità, ma invece su una chiamata che è risuonata nel più profondo del mio essere.

Ho deciso di vivere la mia omosessualità come un cammino di umiltà. Mi evita di guardare gli altri dall’alto, come il fariseo della parabola (Lc 18,9-14). Ho scoperto che questa crepa nel piedistallo è salutare: povero davanti a Dio, sono al riparo dalla tentazione di prendere il suo posto davanti agli uomini.

La mia vocazione è di essere a servizio. E ho potuto vedere a più riprese che la mia condizione omosessuale non era estranea al servizio che posso rendere come prete, testimone della misericordia, per persone ferite, rifiutate, emarginate. Il Signore mi ha fatto la grazia di non aver mai avuto una relazione sessuale. Ma non giudico i miei confratelli preti che vivono o hanno vissuto delle relazioni omosessuali consenzienti: la repressione esterna nel pensiero sociale ed ecclesiale, ed interna nello psichismo, è di una tale violenza, talvolta, che è impossibile resistere in una vita d’uomo se non liberando un po’ di pressione interna.

So che per molti di loro si tratta di un percorso di umiliazione. Dicendo questo, non cerco di giustificare dei comportamenti. Non è il mio intento. La sfida del mio ministero di prete è quella di un pastore alla sequela di Cristo: accompagnare il gregge, prendermi cura di coloro che soffrono, sostenere coloro che sono affaticati. I preti sono parte integrante del gregge e, allo stesso titolo, meritano che li si ascolti, li si sostenga, che li si incoraggi.

La vita di fede, come la sessualità, è un cammino di crescita. Nessuno può dire di essere arrivato al termine di questo cammino. Credo che questo cammino sia Cristo.

Testo originale: «Prêtre, j’ai décidé de vivre avec mon homosexualité, et non contre elle» 

Tratto da Progetto Gionata