Articoli / Blog | 04 Ottobre 2018

Agi – Così vicini, così lontani: la Chiesa deve saper parlare alle nuove generazioni

Oggi inizia il Sinodo della Chiesa sui giovani ma praticamente nessun giovane lo sa. A cosa pensa questa mattina, in Italia, un giovane? Con qualche probabilità ai tre gol segnati da Dybala in Champions; se è sensibile, si interroga se sia giusto o meno che Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, sia agli arresti domiciliari; ma, nel restante 99% dei casi, si chiede per quale motivo deve alzarsi presto e impegnarsi a scuola visto che uscire con ottimi voti dai nostri istituti lo porterà comunque alla disoccupazione. Allora perché non impegnarsi ad essere uno youtuber con milioni di followers? Un maestro del “gaming“, l’arte di conoscere i video giochi?

Per capire le dimensioni del problema basta riflettere sull’espressione “alla viva il parroco”. La dice ancora, forse inconsapevolmente, qualche telecronista, e si riferisce a quando viene fatto un rinvio a casaccio per sbrogliare l’area di rigore o per indicare una conclusione in porta assolutamente casuale, approssimativa. Eppure quell’espressione diceva qualcosa d’importante: e cioè che la gioventù di allora, parliamo dell’Italia della prima metà del ‘900, viveva attorno alla parrocchia, agli oratori, al campanile. Oggi – ad eccezione, in parte, della diocesi di Milano – non è più così, moltissimi giovani italiani sono assolutamente indifferenti al messaggio cristiano, e proprio per questo è bene che la Chiesa si riunisca e ne parli.

Ho sottolineato l’eccezione dell’oratorio “milanese” (in realtà credo sia un fenomeno non ristretto alla sola città) perché mi colpì scoprire che quando Papa Francesco in visita a Milano incontrò i giovani al Meazza quella riunione, in realtà, era quella ordinaria, di ogni anno. Si è ripetuta per esempio questo 26 maggio, con l’arcivescovo Delpini, sempre al Meazza, perché ha trovato solo quello spazio per contenere i ragazzi della Cresima 2018, con i loro genitori, padrini, catechiste e catechisti, responsabili ed educatori. Non una finale di Champions, non un concerto, non la riunione di un movimento: i ragazzi degli oratori milanesi.

Forse vale la pena riflettere su come questa struttura organizzativa riesca ad intercettare, almeno in parte, la vita frenetica della vita meneghina.

Abito a Roma e conosco solo per sentito dire la realtà degli “oratori milanesi” ma so che Jorge Mario Bergoglio, quando era ancora solo l’arcivescovo di Buenos Aires, dedicò del tempo per conoscere da vicino il fenomeno. Che credo vada effettivamente studiato perché capace di intercettare bisogni reali di tante famiglie. Da quelli dello studio, a quelli sportivi, a quelli dell’integrazione, a quelli della socializzazione.

Certamente il giovane di oggi non può essere attratto dal pensiero, dal principio, dal sillogismo: è necessario che incontri Cristo nell’umano, nella sua vita. Che magari non sarà quella di diventare Dybala ma di rispondere alla domanda sul perché studiare, sul perché impegnarsi a vivere, sì. Su come tornare a credere che gli sarà possibile tracciare la propria strada e percorrerla con successo. Che, poi, è il motivo per cui la gente andava all’oratorio nel ‘900 italiano.

Tratto da Agi