Articoli / Blog | 07 Settembre 2018

Agi – I migranti della Diciotti, il Papa e la strategia del gelato

È bello vedere un cardinale distribuire gelati a dei bambini, vestito con giubbino e maniche di camicia. Si tratta di Konrad Krajewski, nominato cardinale nell’ultimo concistoro e da sempre elemosiniere del Papa. Nelle foto, vestito così, dà dei gelati ai bambini della Diciotti. Dietro di loro ci sono gli adulti, anche loro desiderosi dei gelati che il Papa voleva regalare a tutti i migranti ospiti del Centro Mondo Migliore di Rocca di Papa.

Il senso di questo gesto non è politico ma umano e religioso. Il Papa voleva regalare una benedizione ma, da quando Dio si è incarnato, non si può “dire bene” all’anima se non si coinvolge anche il corpo: per questo il gelato e per questo i vestiti normali del cardinale, vestiti che dicono prossimità e uguaglianza: il contrario cioè del segnale che avrebbe mandato se avesse indossato il rosso della porpora cardinalizia.  

Era già accaduto per la festa di san Giorgio, il giorno dell’onomastico di Bergoglio, che il Papa regalasse 3000 gelati ai poveri. Francesco sta restituendo la pelle all’umanità. Nel 2015, durante un’intervista data a Carcova News, la rivista di una bidonville di Buenos Aires, aveva parlato del bisogno di avere rapporti veri, reali, dicendo che serve “il rapporto fisico, affettivo, il rapporto nel tempo e nel contatto con le persone” e che i figli hanno bisogno di quell’appartenenza che si dà “con l’amore, con l’affetto, con il tempo, prendendoli per mano, accompagnandoli, giocando con loro”.

Dare un gelato ai bambini, darlo a chi è povero, non significa risolvere il problema della fame nel mondo ma vuol dire affrontare quello della tenerezza. Quando il Papa, nel gennaio 2015, dava il battesimo a dei bambini molto piccoli, ad un certo punto disse: “Voi mamme date ai vostri figli il latte: anche adesso, se hanno fame e piangono, potete dare loro il latte”. È una rivoluzione decidere che è meglio allattare subito quando il bambino piange, anche se si è in Chiesa, anche alla presenza del Papa, piuttosto che “aspettare dopo, quando saremo a casa”.

La benedizione è un segno di croce che, se non trova un gelato, rischia di rimanere solo un segno tracciato nell’aria. Isacco benedice il figlio Giacobbe dopo aver mangiato della selvaggina cucinata dalla moglie Rebecca come piaceva a lui, dopo aver palpato le braccia del figlio e averne sentito le vesti profumate. E la benedizione riguarda “terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto” (Gn 27,28). Perché il nostro corpo non segna solo un confine, una distanza che mi definisce, ma è porta e finestre per fare entrare, per comunicare con gli altri.

Quando un bambino chiede al padre un gelato vuole il gelato, ma chiede il padre. Perché gli chiede chi è il figlio per lui. Vuole vedere cosa il padre vede nel figlio, perché il figlio vuole vedersi nel padre, conoscersi attraverso lui. E vuole giungere, attraverso il contatto col padre, alla verità dell’amore. Che è semplice: l’unico modo per amare è fare delle azioni buone, anche piccole. Lamentarsi che un gelato dato a un bambino non risolve né il problema della sua fame né quello dei migranti, né quello della sua integrazione né quello delle tensioni nord/sud del mondo, ha il grande demerito di avvelenare il clima del nostre tempo, l’aria di una civiltà che ha bisogno di respirare tenerezza e non di chiudersi a riccio.

Tratto da Agi