Blog – Tempo e spazio dell’amore
Abituáti come siamo a che le storie ci raccontino vicende in cui si sventano i pericoli di un amore contrastato e che si concludano con il paradisiaco “e vissero per sempre felici e contenti”, rischiamo di non sapere che il bello inizia proprio quando le fiabe dicono che finisce: curare l’amore, metterlo a punto, è la parte più bella della vita proprio perché è il compiersi di quanto è stato promesso agli inizi, quando ci si è innamorati. La grande maggioranza delle persone desidera dedicare le vacanze estive proprio a questo, alla manutenzione dell’amore, ed è per loro che scrivo queste righe.
In primo luogo direi che mi sembra un errore ritenere che decisiva è la qualità del tempo che dedichiamo alle persone che amiamo. Niente affatto: quello che conta è la quantità (che semmai consente la qualità). Noi uomini viviamo esclusivamente l’istante presente, e lo sappiamo. Possiamo dilatare il nostro spazio esistenziale comprando case, terreni, e spostandoci più velocemente con i mezzi di trasporto; internet ed i telefonini ci permettono di crederci un po’ “dei” rispetto al qui, ma rispetto all’ ora siamo inchiodati. Il tempo è ciò in cui realizzo la mia vita, “mi realizzo” adesso e solo adesso e questo lo si sa quand’anche non ci si pensasse. Il tempo è una morsa da cui nessuno di noi può sfuggire. Per questo dedicare tempo ad una persona è il modo più vero di amarla. La manutenzione del nostro amore deve innanzitutto partire dalla domanda sul tempo che doniamo a chi amiamo. La dedicazione del tempo è la vera misura del nostro amore: basta pensare al piacere che ci fa, quando siamo malati, avere la compagnia, anche inutile, di chi ci ama. Ogni tanto bisogna donare molto tempo (per esempio d’estate), ma certamente ogni giorno bisogna donarne almeno un po’. Non si possono innaffiare i gerani una volta ogni quindici giorni. E se ci si dimentica di farlo, non si può “recuperare”, perché marciscono. L’esempio non è casuale. La Genesi ci racconta che “il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). Facciamo attenzione. Il peccato originale avviene successivamente all’affermazione che abbiamo riportato. E’ nel capitolo terzo. Ciò significa che coltivare e custodire la relazione non significa esclusivamente riparare i danni o prevenire dai disastri. Significa in primo luogo una cosa tutta positiva: impreziosire, arricchire il rapporto con le persone che amo. Portare dal bene al meglio. E’ già qui c’è il senso quotidiano e spicciolo del nostro esistere. La cura e l’impegno nel coltivare i nostri affetti è ciò che ci rende care le persone: ci dona radici, ci offre legami vitali.
Questi legami però non devono essere né troppo stretti né troppo laschi: ecco la dimensione spaziale del rapporto. Ho in mente la definizione di “zona di rispetto” dell’urbanistica. Il Devoto Oli la definisce come “quella zona nella quale la costruzione di edifici è soggetta a determinata vincoli”. La possiamo applicare alla distanza di convivenza che consente lo sviluppo dell’amore. Pensiamo a un dado e a un bullone. Se il foro è troppo ampio rispetto al gambo, il dado non si avviterà perché c’è troppo gioco. Se è troppo stretto non si avviterà perché ce n’è troppo poco. Ovvietà, si potrebbe pensare. Forse però non è così banale se ci si chiede perché un amore che agli inizi andava bene, poi va in difficoltà. A volte, per carenza di cura, il gioco di dado e bullone si rovina. E’ vero che erano fatti l’uno per l’altro, ma poi la filettatura si è consumata, oppure la ruggine ha bloccato il dado. Insomma è mancato il lavoro di mantenimento dello spazio che permetteva il gioco del vivere. Abbiamo trascurato di oliare il rapporto. Forse di smontarlo e rimontarlo, cioè di svitare e riavvitare. Ecco il gioco: uno spazio che consente il contatto senza imprigionare.
La mia riflessione si conclude sullo spazio e il tempo che ciascuno deve dedicare a sé stesso. L’amore è possibile solo se si avvia a partire dai luoghi più segreti dell’anima, per questo è necessario che ciascuno si addentri nella propria. Amare, che è scegliere di donarsi, di comunicarsi, è possibile solo quando ciascuno ha, almeno in parte, incontrato sé stesso, perché donare è donare sé stessi. Può essere mezz’ora al giorno, o una sera alla settimana, o un giorno al mese, ma è importante sapere che queste ore hanno una loro continuità. Si estendono, come una collana, di giorno in giorno, e di settimana in settimana, e approdano, come in un porto, ai periodi di maggior riposo. Forse le persone che non rispettano questo loro bisogno, sono quelle che, lamentandosi, passano dal pigia pigia della metropolitana a quello della spiaggia.