Fabio Bartoli, Sabina Nicolini – Il disertore
La mia recensione dell’ultimo libro di don Fabio Bartoli e Sabina Nicolini, “Il disertore”
Un uomo in fuga. Giona, il protagonista dell’omonimo libro della Bibbia, viene descritto così da Fabio Bartoli e Sabina Nicolini. Un uomo in fuga. Dal dolore, dal male, ma anche dalla chiamata di Dio che lo spinge a fare la sua parte per migliorare il mondo. Ma a Giona, che è solo, tutto sembra troppo grande e così lui fugge. Fino a subire la reclusione dentro una balena, fino ad arrivare sulla spiaggia della città di Ninive dove – novella Samarcanda – non avrebbe mai voluto approdare ma dove invece era atteso da Dio.
Giona è in ciascuno di noi ed è affascinante l’analisi che ne fanno le due voci narranti: una maschile e una femminile. E la scelta che gli autori siano un uomo e una donna è giustificata dai due punti di vista, dalle due luci, diverse e complementari che illuminano questa vicenda.
Nicolini, la voce femminile, comprende il nostro antieroe dentro uno sguardo materno e di custodia, e Bartoli, la voce maschile, con tratti di complice ironia e di autoironia, chiama al dovere e al senso di responsabilità come ogni buon padre dovrebbe fare.
Sì, perché ripercorrendo il cammino di Giona, il lettore è portato a fare un viaggio in sé stesso, a vedere ed analizzare tutte le fughe tentate, sia quelle fallite che quelle riuscite, di fuggire rispetto “alla voce di Dio” che sentiamo dentro di noi; a cercare di fare i conti col male, a guardare quanto a volte esso ci spaventi, a quanto spesso ci vinca e ci spinga alla resa; a guardare anche, però, tutte le volte in cui, toccato il fondo – anzi, proprio perché abbiamo toccato il fondo… – , riusciamo a rialzarci e a prendere in mano la nostra vita.
Un aspetto importante della vicenda di Giona è il motivo che lo porta alla fuga: la ragione, ci spiegano Bartoli e Nicolini, è percepire quanto sia paradossalmente terribile avere a che fare con un Dio che è amore infinito e che ci seguirà fin dentro il ventre della balena, fino a guidarci anche da dentro quelle viscere ad essere noi stessi, cioè, nel caso di Giona, ad essere profeti con la missione di convertire una città flagellata dai peccati.
Non pensiamo spesso che l’amore possa essere terribile anche più del dolore; non osserviamo spesso che ci possa anche capitare di fuggire dall’amore: ovviamente, non l’amore sdolcinato e disimpegnato (che non è l’amore), ma l’amore che esige la vita perché prima ha donato la vita. L’amore per cui perdi tutto il mondo ma guadagni l’eternità, l’amore che porta Gesù a dire: “Io non faccio nulla da me stesso”. L’amore che chiama a sé la virtù dell’umiltà: come Maria che, visitata dall’Angelo, si autodefinisce serva di quel Dio che ella stava per custodire nel grembo. L’amore per cui Giona comincia ad essere sé stesso e prediletto nel momento in cui diventa naufrago, privo di tutto, derubato dei “suoi” progetti di vita, delle sue convinzioni e del tutto in mano al Padre pur restando uomo libero, uomo volitivo e ribelle , pieno di personalità e di carattere. Scandalo e follia: le stesse cifre della parabola esistenziale di Gesù che Giona anticipa e precorre in tante parti.
Giona, il disertore, ci insegna ad essere liberi e ci insegna un rapporto con Dio che non è di servilismo ma di dialogo, a volte addirittura di conflitto: una relazione che porta a scoprire un amore reciproco profondo e un’identità umana e piena completamente avvolta da Dio: detta da due consacrati, la prospettiva di una vita così, donata ma libera, riempie di gioia e speranza.
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