L’Angolo del Teologo – Le frequenti mancanze di carità nelle discussioni fra cristiani, di Piero Vavassori
Caro don Mauro,
con queste righe desidero farti avere alcune mie riflessioni riguardo alle discussioni che ruotano intorno ai temi sulla famiglia e sulla sessualità, che suscitano molto interesse e un confronto di idee e opinioni, in alcuni casi anche molto accesso.
Sono temi delicati e difficili da giudicare. Se mi permetti l’approssimazione, direi che la discussione ruota intorno alle opinioni e iniziative di alcune persone, spesso sacerdoti, che desiderano includere nella Chiesa persone che vivono situazioni che, con un certo grado di stabilità, non sono concordi con i dettami della legge naturale (divorziati risposati, omosessuali, ecc.) e coloro che vedono in alcune di queste iniziative una ferita ai permanenti valori difesi e promossi dalla Chiesa.
Dicevo che queste situazioni sono difficili da giudicare. Ma allo stesso tempo non ho difficoltà nell’affermare (mi sembra quasi una ovvietà) che, fra le molte iniziative finalizzate ad accogliere queste persone, ve ne siano alcune veramente buone, che aiutano a intraprendere percorsi di maturazione, di guarigione dalle proprie ferite, di crescita spirituale e di unione con il Signore, e altre invece che sono dettate da lassismo o buonismo che tutto permette e che non aiuta a scoprire la misericordia di Dio perché non muove al pentimento dei propri peccati.
Analogamente, non ho difficoltà nell’affermare che le critiche rivolte a queste iniziative siano talvolta dettate da un sincero desiderio di opporsi a qualcosa che ferisce le verità morali inscritte nel cuore dell’uomo e insegnate dalla Chiesa. Ma, allo stesso tempo, non ho difficoltà nell’affermare che altre volte queste critiche sembrano essere mosse dalla visione di una Chiesa fatta da “puri” che si contrappongono ai “cattivi” che devono rimanerne fuori, almeno fino a quando non ritorneranno ad essere “puri”.
Non voglio addentrarmi nella discussione quindi se siano buone queste iniziative o se siano buone le critiche che vengono loro rivolte. Perché ogni situazione è una realtà a se stante e perché non ho dati sufficienti per giudicare con ponderatezza. Ed inoltre perché ho fiducia nel giudizio dei Pastori che hanno il compito di vegliare sulla Chiesa che è loro affidata, promuovendo le iniziative che ritengono che siano buone per il loro gregge e impedendo, nei limiti delle loro possibilità, quelle nocive.
In realtà, ti scrivo queste righe soprattutto per sottolineare un aspetto che può sembrare “collaterale” alle discussioni che riguardano questi temi, ma che invece si pone proprio nel loro cuore. Ovvero, le dolorosamente frequenti mancanze di carità, talvolta anche gravi, che si leggono negli articoli e nei commenti.
Spesso, troppo spesso, leggo giudizi offensivi rivolti a persone che la pensano diversamente. Si parte dalla condanna dell’iniziativa o delle idee per arrivare a un giudizio di condanna della persona. Detto con altre parole, si parte con il dire “questa iniziativa è cattiva” oppure “queste idee sono sbagliate” per arrivare a dire “questa persona è cattiva”.
Non è infrequente, purtroppo, leggere frasi del tipo “hai queste idee sugli omosessuali perché tu stesso sei omosessuale”, oppure “lo fai perché vuoi metterti in mostra, perché cerchi l’applauso e la notorietà”, “perché vuoi fare carriera ecclesiastica”.
Solo per fare un esempio, in un recente articolo di critica al ritiro per persone omosessuali promosso dalla diocesi di Torino viene riportato il giudizio di una persona al sacerdote che ha organizzato l’iniziativa: “Lei è uno zitellone. Lei non è innamorato di Cristo. Il suo cuore non è pieno di Lui”.
Il problema, in questo e in altri casi, è che ci troviamo di fronte a offese alla reputazione altrui (si veda al riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica, numeri 2477-2479), che non si danno solo in caso di calunnia (ovvero, affermazioni contrarie alla verità che danneggiano la reputazione degli altri), ma anche in caso di giudizio temerario (ammettere come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale del prossimo) e di maldicenza (rivelare i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano).
La vera questione, quindi, non è solamente se questi giudizi siano veri oppure no (maldicenza o calunnia), ma soprattutto che non è mai moralmente lecito offendere la reputazione delle persone, anche se il fine che ci si propone è la difesa della verità.
Permettimi di riportare il n. 2479 del Catechismo della Chiesa Cattolica perché è molto chiaro al riguardo: “maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l’onore del prossimo. Ora, l’onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto naturale all’onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto. Ecco perché la maldicenza e la calunnia offendono la virtù della giustizia e della carità”.
Sono parole molto chiare e, allo stesso tempo, molto dure.
Si possono avere cioè le proprie opinioni a favore o contro l’iniziativa o le idee promosse da questo sacerdote, ma nessuno può permettersi di giudicare le sue intenzioni o la sua persona, e di attaccarlo con la violenza a cui è stato sottoposto. In parallelo, indipendentemente dal giudizio che si può avere sulla iniziativa o sulle sue idee, c’è il dovere di condannare tali giudizi e di manifestargli sostegno per l’ingiustizia subita.
Concludo con alcune considerazioni.
Prima. Queste offese contro la reputazione altrui non sono semplicemente offese alla verità ma anche, come dice il Catechismo, contro la carità. Sono quindi offese più gravi di quanto potrebbero sembrare a prima vista. Ci troviamo nell’ambito di offese più gravi di quelle che riguardano la sessualità (6° comandamento) o la verità (8° comandamento), perché toccano da vicino la virtù della carità. Queste offese inoltre sono aggravate dal fatto che avvengono su mezzi di comunicazione che raggiungono molte persone e quindi il danno alla reputazione è maggiore. Vale la pena non dimenticare le parole di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34). Attenzione quindi a non cadere, col peccato di maldicenza o calunnia, in peccati più gravi di quelli, per esempio contro la sessualità, che si intende condannare.
Seconda. In quanto offese alla reputazione, maldicenza e calunnia non sono inquadrabili solamente come offese all’8° comandamento, ma anche contro il 5° comandamento (il rispetto della vita umana e della dignità della persona). Bisogna quindi fare attenzione a non pensare che queste mancanze di carità siano un “effetto collaterale” all’interno di una discussione che intende comunque promuovere buoni valori. La difesa della verità (8° comandamento) è subordinata alla difesa della dignità della persona (5° comandamento). Non può esservi difesa della verità se non si passa attraverso la difesa della persona. È quindi impossibile difendere la dignità del matrimonio e della sessualità, se non si parte in primo luogo dalla difesa della dignità della persona.
Terza. La subordinazione dell’8° comandamento al 5°, rende impossibile equiparare la difesa della verità attraverso la calunnia e la maldicenza a ciò che hanno fatto i Martiri. Questi infatti hanno difeso la verità dando la propria vita, ma vivendo eroicamente la carità verso il prossimo, inclusi i loro carnefici. Al massimo, se volessimo equiparare la difesa della verità attraverso le offese alla reputazione delle persone, potremmo trovare una pietra di paragone nel “martirio” degli estremisti islamici, disposti a difendere la verità della propria fede attraverso l’uccisione di altre persone. Per semplificare in maniera non del tutto corretta, potremmo dire che i Martiri cristiani difendono l’8° comandamento insieme al 5°, gli altri vivono l’8° andando contro al 5°.
Quarta. Il voler difendere quindi i valori morali e dottrinali della nostra fede attraverso la calunnia e la maldicenza si inquadra moralmente nel motto “il fine giustifica i mezzi”. La verità morale, al contrario, è che per quanto buona e nobile sia l’intenzione, mai e poi mai si può fare il male. Indipendentemente da quanto sia buona e nobile la verità che si intende difendere, perciò, non si può mai offendere la buona reputazione delle persone. Per questo motivo, uno scritto che contenga calunnie o maldicenze, indipendentemente dalla bontà dei valori che intende difendere, è sempre da condannare e deve essere escluso dalla pubblica discussione.
Quinta. In quanto offese avvenute su mezzi di comunicazione, e quindi pubblicamente, la riparazione del male compiuto deve passare anche attraverso la dimensione pubblica. Come il ladro è tenuto, nei limiti del possibile, a restituire ciò che ha rubato, così chi ha offeso pubblicamente la reputazione altrui è tenuto, nei limiti del possibile, a riconoscere l’errore e a chiedere scusa pubblicamente. Si tratta, come dice il Catechismo, n. 2487, di un obbligo di coscienza.
Un caro saluto
Piero Vavassori
Don Piero Vavassori, bergamasco, ha esercitato per 15 anni la professione medica in ambito universitario a Roma, Amsterdam e Perugia. Dopo gli studi in Teologia e un dottorato in bioetica, è sacerdote dell’Opus Dei da 7 anni, vive a Milano e si occupa prevalentemente di seguire la pastorale con persone sposate