Amoris Laetitia / Blog | 03 Dicembre 2017

Ninny Parodi – Considerazioni su Amoris Laetitia

Il 19 di Marzo, Amoris Laetitia ha compiuto un anno, nel senso che Papa Francesco il 19 di marzo di un anno fa, vi ha posto la firma e poi è stata resa pubblica l’8 Aprile 2016.

Avendo a disposizione due incontri, in questo primo avrei intenzione di raccontare tutto il capitolo ottavo e dedicare il secondo incontro, all’analisi delle principali critiche, che questo capitolo ha subito; in modo particolare mi riferisco ai “Dubia”dei quattro Cardinali e ad altre posizioni simili, nel variegato mondo cattolico.

Con altre prese di posizione, penso al“Vademecum”, che alcuni docenti del Pontificio Istituto Biblico, nell’ambito degli studi su “Matrimonio e Famiglia”, hanno pubblicato e in cui il capitolo otto è stato smontato, rimontato e stravolto. 

Questi docenti, l’hanno smontato e l’hanno rimontato a loro piacimento, stravolgendolo.

Avevo valutato, inoltre, di parlarvi di alcuni Vescovi italiani, ma non solo. Vi sono direttori di Uffici Famiglia, che negano l’esistenza del capitolo otto, organizzano incontri sull’Amoris Laetitia, sul capitolo uno,due, tre fino al sette e finisce lì. Gli chiedi dell’otto e qualcuno osa affermare che nell’edizione che possiede, non c’è. Consideriamola una battuta, ovviamente, un pò fuori luogo.

Vorrei, però, parlare anche di esperienze molto positive di altre diocesi, nelle quali, il capitolo incriminato, è stato letto con onestà e serenità, compreso ed elaborato, non interpretato né stravolto e parlo di Modena con Monsignor Erio Castellucci e la sua lettera pastorale, penso a Parma, a Trani, al documento della Regione Campania, a Novara e al documento che Monsignor Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara, ha presentato alla Conferenza Episcopale.

Vorrei parlare di tutte queste cose, ma essendo il capitolo otto molto complesso, ho scelto di dedicare entrambi i nostri incontri alla sua esposizione, facendolo precedere da tre premesse che ritengo necessarie. 

Con la prima premessa, vorrei precisare di chi si sta parlando in questo capitolo, specificare a chi si rivolge.

Con la seconda premessa, vorrei definire la cornice entro la quale Amoris Laetitia s’inserisce, per coglierne una qualità indispensabile.

Con la terza premessa, più corposa, vorrei richiamare la precedente Esortazione di Giovanni Paolo II, la “Familiaris Consortio”, che è frutto del precedente Sinodo sulla Famiglia del 1980, con riferimento al n.84.

Tutto questo, per mostrare dove il capitolo otto affonda le sue radici e muove i suoi passi.

Io credo che, solo ponendo queste premesse si potranno capire bene le questioni, che entrano in gioco in un dibattito fin troppo tormentato.

E’ di fondamentale importanza ribadire la continuità e gli sviluppi rispetto al Magistero precedente, le assonanze con Evangelii Gaudium e il cambio di prospettiva, che Amoris Laetitia chiede alla comunità cristiana:Vescovi, presbiteri, diaconi, ma soprattutto al popolo cristiano. Del capitolo, oggi, leggeremo solo i primi numeri, dedicando parte del tempo a tutto ciò che l’ha preceduto.

In seguito, esamineremo la parte più corposa invitandovi a rileggerlo con calma e attenzione nell’arco di un mese. 

A chi si rivolge il Cap. 8?

Non si rivolge a persone separate o divorziate rimaste sole, che cioè non hanno dato avvio a una nuova unione, ma si rivolge a coppie conviventi oppure unite in matrimonio civile, dove almeno uno dei due si trova nella condizione di separato o divorziato.

In esso si parla delle situazioni definite “irregolari” e vedremo in quale senso.

Ritengo questa premessa necessaria, perché bisogna fare molta attenzione al linguaggio che si usa quando vogliamo riferirci a coppie, che dopo il “fallimento del Matrimonio sacramentale” ora sono conviventi o sposati in forma civile.

Questa è l’espressione usata da Papa Francesco nella catechesi del 5 agosto 2016. E’ una novità: la definizione di fallimento dell’unione sacramentale, non si trova nel Magistero dei Pontefici precedenti, non si trova nella Pastorale familiare, non si trova nella Familiaris Consortio.

Occorre fare attenzione quando ci riferiamo a coppie, che dopo il fallimento del Matrimonio sacramentale, ora sono conviventi o sposati in forma civile.

Io credo, che non abbiamo di fronte divorziati e risposati, non abbiamo di fronte famiglie ferite, non siamo alle prese con situazioni di fragilità: sono tre espressioni, adoperate spesso, indifferentemente e genericamente nel gergo ecclesiastico.

Se io, per rivolgere una proposta a una di queste persone la chiamo divorziato – risposato, la definisco a partire dal suo divorzio e cioè a partire da un’esperienza, che magari ha vissuto cinque, dieci, vent’anni prima.

Chiamo in causa questa persona sbagliando, perché è possibile che uno dei due sia alla prima unione con un divorziato. Fondamentalmente non li riconosco coppia a tutti gli effetti.

Se intraprendo un’iniziativa, per un divorziato-risposato che, dopo cinque, dieci, vent’anni di vita insieme, è ancora fedele, credo che abbia poco senso usare questa espressione.

Nel 2011 c’è stato il primo Convegno nazionale dell’Ufficio famiglia della CEI, dal titolo:”Luci di speranza per la famiglia ferita”, vi si erano messi insieme, mischiati a torto, separati, divorziati e risposati senza distinzione.

Se, io invito le famiglie ferite, cado nella stessa trappola perché questa espressione rimanda a un’esperienza passata di tanti anni prima, che addirittura potrebbe essere stata di liberazione o di rinascita, per uno della coppia, non necessariamente un dolore. Anche se fosse stata un’esperienza amara, dopo cinque, dieci, vent’anni, io non chiamerei più quella coppia, famiglia ferita.

Anni fa, avevo preso parte a un’iniziativa, che riguardava le coppie reduci da fallimenti matrimoniali e che si proponeva di fornire un ascolto attento. Chi organizzò l’evento ebbe l’infelice idea di parlare di famiglie ferite, negli opuscoli e nella pubblicità. Ecco il contenuto della lettera che ricevetti: 

“Buongiorno! Forse lei non si ricorda di me, ma tempo fa ho avuto il piacere di conoscerla e apprezzarla professionalmente. Francamente sono spiazzato da questa iniziativa, forse non si soppesano bene le parole e ciò mi sorprende, dato che grazie a lei ho imparato a dare loro un valore e a non ingabbiarle dentro cornici concettuali o in un moralismo sterile. Voi invitate separati, divorziati, conviventi e risposati a un incontro di preghiera e proponete un dialogo con famiglie ferite. Feriti?

Forse è questo che rende il solco fra separati e Chiesa, incolmabile.

Non siamo feriti, siamo felici. Quello che ci ferisce è l’atteggiamento di chi, con queste frasi ci racchiude nel libro nero, nella black list di quelli che non possono essere felici, perché IO, cristiano praticante all’interno dell’Istituzione Chiesa, non posso concepire l’altrui felicità.

Dopo un’esperienza matrimoniale disastrosa, che nessun uomo di Chiesa ha mai voluto ascoltare, se non per dirmi le cose più meschine che abbia mai sentito in un confessionale, ho avuto la fortuna di trovare una donna meravigliosa, che mi ama a tal punto da accettare suo malgrado e pagando con grande sofferenza, l’allontanamento dalla Chiesa.

Beh! Sa cosa le dico?: “Io non sono ferito, sono felice.”

Ricevere una lettera come questa ovviamente fa molto male, ma è indice di quello che, come comunità cristiana, anche senza volerlo, a volte suscitiamo in chi ha vissuto un’esperienza che noi non abbiamo vissuto. Qualcuno usa anche l’espressione ”situazione di fragilità”, ma è vaga, può essere riferita a chiunque, anche a coppie apparentemente regolari e nel caso di chi si ri-accompagna, può essere sinonimo di debolezza contraria all’integrità morale. Tale integrità richiederebbe di non risposarsi a fronte di una separazione oppure di non convivere. 

Quindi, personalmente, se proprio vogliamo usare delle categorie, distinguerei la famiglia ferita o naufragata (cioè, quello che resta dopo una separazione o divorzio, a chi è rimasto solo, con uno o più figli e non ha dato avvio a una nuova unione, ovvero persone separate o divorziate sole) dalla coppia in nuova unione, che potrebbe riferirsi a chi, dopo una separazione o un divorzio vive ora, in modo stabile, fedele, responsabile, duraturo, un amore.

Non possiamo continuare a parlare generalizzando, sono due stati, due condizioni di vita completamente differenti, che chiedono due tipi di attenzione, da parte della comunità cristiana, completamente differenti.

In ogni caso parlare congiuntamente di separati, divorziati e risposati è fuorviante.

Organizzare proposte e iniziative, invitando genericamente persone, che vivono queste diverse situazioni, è poco opportuno, non facciamo loro un buon servizio, perché accomuniamo stati di vita completamente diversi, che richiedono cammini differenti.

In questo senso Amoris Laetitia dedica minore attenzione alle persone separate o divorziate sole, mentre abbonda di attenzione, in tutto il cap. 8 e non solo, per le coppie in nuova unione.  

Passiamo alla seconda premessa: l’orizzonte del capitolo otto.

Il gesto principale che A.L. mette in campo, io credo che sia, aver ricalibrato l’immagine di Dio sulla Misericordia e di conseguenza la testimonianza della Chiesa a favore del Matrimonio e della famiglia.

Non è un caso che Amoris Laetitia. sia stata scritta proprio nell’anno del Giubileo della Misericordia.

Facciamo un velocissimo passo indietro e ci chiediamo:

”In Familiaris Consortio”, l’Esortazione che precede Amoris Laetitia di trentacinque anni e cioè il testo analogo, che per primo ha affrontato organicamente l’argomento e ha messo ordine alla Pastorale familiare, quante volte ricorre la parola “misericordia”? Due.

E nel Direttorio di Pastorale familiare, quello che concretamente traduce nel 1993 la Familiaris Consortitio? Tenetevi forte 5.

Ma più in generale allarghiamo il nostro sguardo al Catechismo della Chiesa cattolica, 800 pagine, (oggi questi rilievi con Word sono facili), quante volte ricorre la parola Misericordia? 12

Quante volte troviamo la parola, Misericordia, in Amoris Laetitia?   Attenzione! 40 e, 22 volte, soltanto nel capitolo 8.

E’ una meraviglia e a me piace pensare a questa sovrabbondanza, come a un modo gentile, attraverso il quale il Magistero ci dice:”Scusate, ce ne eravamo dimenticati, adesso corriamo ai ripari. Scusate, corriamo ai ripari! Forse per troppo tempo siamo stati abituati alla sola idea di un Dio onnipotente, un Dio forte, duro, giusto, quello dei valori non negoziabili, quello che pesa sulla bilancia le nostre azioni, quello che premia o castiga, da aver dimenticato non uno degli attributi di Dio, ma proprio il suo Nome.

Si, il suo nome, e Papa Francesco ci vuole ricordare, che Dio è misericordia per davvero, il Dio che Gesù ci racconta apre strade per arrivare fino a te, ovunque tu sia e la Chiesa serve solo a questo e cioè a farsi compagna di viaggio del tuo incontro con Lui e poi sparire.   

Chiesa che si fa compagna di viaggio nel tuo cammino con Lui e poi con discrezione ascolta. E’ quello che accade nel Vangelo, quando Gesù incontra la Samaritana. Il brano, che precede il racconto, dice che Gesù dalla Giudea doveva andare in Galilea e passa per la Samaria.

E’ sbagliato, però, il tragitto che Gesù compie. Sarebbe come se io da Genova per andare a Savona, invece di imboccare la via Aurelia o l’Autostrada dei fiori, passassi da Alessandria o da Novi Ligure. E’ chiaro che posso farlo, ma allungo inutilmente la strada.

Che cosa voglio dire? Che Gesù, in realtà, moriva dalla voglia di incontrare quella donna, c’è andato apposta, ha cambiato percorso perché c’era una persona, che aveva bisogno di qualcuno, che le riaprisse la strada.

Che meraviglia! Una donna che ha avuto cinque mariti e quello che ha non è il suo. Notate la meraviglia: cinque più uno fa 6 e nel mondo ebraico il 6 è l’incompiutezza, la perfezione è il 7.

Quella donna siamo tutti noi, con i nostri desideri, i nostri sogni, che aspettano di essere compiuti, nell’incontro con nostro Signore.

Che meraviglia l’anno della Misericordia e l’incontro con la Samaritana; perché Dio, il Dio che Gesù mi racconta, è uno che prende l’iniziativa verso di me e se uno viene incontro a me per amarmi, solo allora io posso cambiare.

Non cambio perché ho paura di qualcuno, ma cambio perché c’è uno che mi ama talmente tanto, per cui io non rimango quello di prima.

E se mi è impossibile uscire da una certa situazione, che per 35 anni è stata chiamata oggettivamente di peccato, oggi posso farlo, sono chiamato a vivere il Vangelo, perfino rimanendo nella situazione entro la quale mi trovo e non necessariamente uscendo da essa.

Ecco ora il capitolo 8. al n.°311: è da brivido.

“A volte ci costa molto, nella pastorale, dare spazio all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia, che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale e questo è il peggior modo di annacquare il Vangelo.”

Leggere questo paragrafo turba veramente.

“E’ vero che la Misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire, che la Misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio.”

Parole meravigliose!

Come comunità cristiana, dobbiamo tradurre nelle nostre famiglie, nelle nostre Chiese la Misericordia di Dio.

Terza premessa.

Questa premessa è importante, per cogliere come il capitolo otto sia in continuità con la tradizione, quando considera le coppie in nuova unione, e dunque non crea oggettivamente alcuna frattura.

Non lasciamoci fuorviare da chi dice che A.L. rompe con il Magistero precedente, dei Papi precedenti.

Capire questo ovviamente è possibile, solo se condividiamo l’idea che il Magistero della Chiesa non è un monolite o una statua, ma un corpo vivo, che cresce.

Riprendiamo passo, passo il n. 84 di Familiaris Consorzio, che è il testo che precede Amoris Laetitia e in modo particolare il tema delle coppie in nuove unioni, frutto del precedente Sinodo sulla famiglia, del 1980.

Anche quella volta, c’era stato un Sinodo, quindi uno studio, un incontro dei Vescovi che aveva portato Giovanni Paolo II a scrivere appunto la Familiaris Consortio. Trentacinque anni dopo, di nuovo, Sinodo ordinario e straordinario e il Papa, che scrive Amoris Laetitia. 

Torniamo indietro di 35 anni, per avere le idee chiare, perché su questo punto c’è una confusione incredibile.

Quel signore, autore della mail di cui sopra, ha dovuto subire l’allontanamento dalla Chiesa.

E’ sbagliato, che si sia sentito lontano dalla Chiesa, perché divorziato e risposato, è sbagliato, ma nello stesso tempo come Chiesa, abbiamo lasciato intendere questo. Abbiamo sbagliato e dovremmo avere il coraggio di chiedere scusa, perchè è dal n.° 84 di F.C. che si mette a tema la coppia in nuova unione. Leggiamo la prima parte del paragrafo: 

”L’esperienza quotidiana mostra, purtroppo che, chi ha fatto ricorso al divorzio, l’ha fatto in vista del passaggio a una nuova unione, ovviamente non con rito religioso. Poiché si tratta di una piaga, che al pari delle altre va sempre più intaccando gli ambienti cattolici, il problema deve essere affrontato e i Padri sinodali l’hanno studiato. La Chiesa, infatti, non può abbandonare coloro che, già congiunti con vincolo matrimoniale sacramentale, hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.” 

Questo inizio è chiarissimo.

Ci presenta una Chiesa, che non rimane indifferente e seduta, ma che si sforza, fa fatica, lavora, per mettere a disposizione delle coppie in nuova unione, i suoi mezzi di salvezza.

La coppia deve sapere che la comunità cristiana è per lei e non contro di lei.

Questo non è stato compreso, ma è chiaramente scritto nella F.C. che continua così:

“Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è, infatti, differenza tra quanti si sono sinceramente sforzati di salvare il proprio matrimonio e sono stati abbandonati o non capiti dall’altro coniuge e quanti per loro colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono, infine coloro, che hanno contratto una seconda unione, in vista dell’educazione dei figli”.

Secondo passaggio interessante, che però contiene una svista perché, come vedremo, l’esito del discernimento, cioè il frutto di un lavoro che distingua la storia di una coppia da un’altra (un conto è, chi si è sforzato di salvare la propria unione, altra cosa chi l’ha distrutta volontariamente) non c’è, è uguale per tutti in F.C.

“Insieme col Sinodo esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli, affinchè aiutino i divorziati, procurando con sollecita carità che, non si considerino separati dalla Chiesa, potendo, anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita.”

 Questo, non siamo stati capaci di tradurlo, perché andate a dirlo a un divorziato risposato, a una coppia in nuova unione, se si è mai sentito accettato o si sente unito. Qualcuno, senz’altro, ma nella mentalità comune no. Eppure questo è quanto si chiedeva, nella F.C. 35 anni fa.

Si ribadisce però che, in quanto battezzata, la coppia in nuova unione è parte della comunità cristiana.

Cioè, non siamo in presenza di persone scomunicate!

A proposito di Magistero come corpo vivo, vorrei ribadire che, il Magistero della Chiesa non è un blocco di cemento ed è bene ricordare, che siamo nel 1981 e che qualche decennio prima, dal Codice di Diritto Canonico, le persone divorziate e risposate erano considerate “ipso facto infames”, godevano di cattiva fama.

Non erano escluse soltanto dal Sacramento della Confessione, ma erano giudicate dal Codice di Diritto Canonico: “pubblice indigne”. Non sto qui a tradurre, è latino facile e aggiungo, senza alcuna distinzione.

Con Giovanni Paolo II si abbandonano queste sigle, si riscrive da lì a pochi anni il Codice e si comincia a parlare di fedeli divorziati risposati, a partire dal battesimo, che hanno ricevuto.

Permettetemi solo una piccola polemica, in riferimento ai Dubia.

Giovanni Paolo II cosa ha fatto? Ha rotto con la tradizione che lo precedeva, oppure l’ha continuata? Ebbene, prima di F.C. e dell’articolo 84, ai divorziati – risposati non ci si riferiva chiamandoli fedeli.

E’ interessante, quante cose la storia ci insegna, avessimo tempo di studiare.

La Chiesa, tuttavia, ha ribadito la sua prassi, di non ammettere alla Comunione i divorziati risposati.

“Sono essi a non potervi essere ammessi, dal momento, che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione d’amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata nell’Eucaristia.”

Quarto passaggio e tante sviste.

A non essere ammesse alla Comunione eucaristica sono le persone scomunicate. Nella Storia della Chiesa è così.

Tu sei scomunicato, non partecipi dell’Eucaristia, però, poco prima è detto che, queste persone non sono scomunicate e allora come può esistere una comunione ecclesiale senza una Comunione sacramentale?

Se all’inizio del punto 84 abbiamo letto, che la Chiesa si sforzava, faceva fatica, lavorava, per mettere a disposizione delle coppie in nuova unione i suoi mezzi di salvezza, perché poi San Pietro ritira i remi in barca e dice:

” Io non posso fare nulla, sono essi a non poter essere ammessi?”

Lo stato di vita in cui si trovano queste coppie è automaticamente di adulterio, anche dopo dieci, venti, trent’anni o come dice il Codice di Diritto Canonico, peccato grave manifesto. “Pubblice indigne”?

Tolto l’eventuale esito positivo della Dichiarazione di nullità del matrimonio, che consentirebbe di passare a nuove nozze, vedremo tra poco che, però, F.C. accetta lo stato di vita del divorziato risposato, per poterlo ammettere alla Comunione, ma a una precisa condizione…

C’è un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli sarebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa, sull’indissolubilità del Matrimonio.

Quinto passaggio con un’ingenuità.

Perché non ammettere alla Comunione? Solo per paura che gli altri non capiscano? Eppure nella storia della Chiesa si sono fatti tanti cambiamenti, che una volta discussi, spiegati e praticati, non solo non hanno condotto a errori e confusione, ma hanno rigenerato.

Pensiamo alla Liturgia: col Vaticano II si sono girati gli altari, si sono ammesse le lingue nazionali, si è abbandonato il latino, si è ampliato il Lezionario.

Pensiamo all’’Ecumenismo del Vaticano II:”I segni del Verbo sono presenti anche aldilà dei confini della Chiesa cattolica.”

Questo è un cambiamento epocale, fino alla percezione, che la Chiesa cattolica ha di se stessa e mi riferisco alla “Lumen Gentium”.

“La vera Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, non coincide con la Chiesa cattolica.”

Infatti, la presenza di Cristo è nella Chiesa cattolica, che ha tutti gli strumenti, per permetterci l’incontro con Lui, ma Gesù non rimane rinchiuso nei confini della Chiesa cattolica, la sua presenza è ben aldilà di tali confini.

Tutto questo non si è sviluppato per paura di creare confusione? Per paura che qualcuno fosse indotto in errore?

Pensiamo alla Chiesa antica.

Quando una persona rinnegava la fede cristiana in tempo di persecuzioni, aveva salva la vita. I martiri, nella Chiesa delle persecuzioni, venivano uccisi, ma chi negava la sua fede aveva salva la vita. Finite le persecuzioni poteva subentrare il pentimento in chi aveva abiurato.

“Io mi pento perchè ho sbagliato a rinnegare Gesù, la Chiesa mi offre un cammino per riabilitarmi, perché ho commesso un peccato grave, ho rinnegato i miei fratelli che sono morti martiri e ho rinnegato Cristo.

La Chiesa mi perdona e dopo anni, mi riammette nella comunità cristiana.”

Ebbene i familiari dei martiri che hanno visto morire i propri figli, genitori, coniugi, parenti, pensate che, siano stati indotti in errore o confusione, dalla scelta della Chiesa delle origini, che ha riammesso nella comunità cristiana coloro che avevano rinnegato la fede in Gesù, così da avere salva la vita? No, erano contenti e ringraziavano il Signore.

La riconciliazione, attraverso il Sacramento della Penitenza, che riaprirebbe la strada al Sacramento Eucaristico, può essere accordata solo a quelli che, pentiti, per aver violato il segno della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita, non più in contraddizione con l’indissolubilità del Matrimonio.

Ciò comporta in concreto che, quando l’uomo e la donna per seri motivi, quali l’educazione dei figli, non possono soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza e cioè astenersi dagli atti propri dei coniugi.

Sesto passaggio

Se ci si pente di aver infranto l’unione precedente e ora è impossibile separarsi dalla nuova unione, F.C. invita a vivere come se il Matrimonio precedente ci fosse ancora, anche se ora dopo cinque, dieci, vent’anni non lo vivi più.

In questo modo, astenendosi dai rapporti sessuali, che in casa cattolica fanno il matrimonio, tu attesti, dici a te stesso e alla comunità cristiana che, la nuova unione che stai vivendo, non è un matrimonio, perché l’unico e il vero è quello che avevi celebrato tanti anni prima.

Nella nuova unione, se ti comporti come un amico con il compagno o la compagna o come fratello e sorella, tu dici a te stesso e alla comunità in cui vivi, che non sei in un matrimonio. Questo è fondamentale.

Com’è possibile, però, ridurre al solo esercizio della sessualità un matrimonio?

Amoris Laetitia al numero 40 e a seguire, parla in tono critico di una certa teologia del matrimonio, ma non si può trattarlo qui, perchè usciremmo dal tema.

Come si può ridurre alla sola sessualità il matrimonio? Ovvero quale valore hanno in una relazione d’amore i baci, le carezze, le attenzioni, gli sguardi, l’affetto, il desiderio; pensarti, aspettarti, uscire insieme, tenerti per mano, soffrire, gioire, sperare, costruire un futuro? Tutto questo assomiglia a un’amicizia, a un rapporto fratello/sorella o a un matrimonio?

Pensato così: astenersi dall’esercizio della sessualità, non assomiglia più a una punizione?

Da S. Agostino in poi, la sessualità ha creato problemi in casa cattolica. Per il santo, il matrimonio è il rimedio alla concupiscenza.

Non puoi farci niente? Il problema è tuo, a un certo punto senti l’impulso e c’è poco da fare. Forse sto banalizzando un po’, ma mica tanto… è scritto.

Per Agostino il matrimonio è solo un rimedio alla concupiscenza, ma anche oggi, purtroppo, permane quest’accento unilaterale.

Con una simile interpretazione, non rischiamo di mettere in cattiva luce il sesso in casa cattolica e nel rapporto uomo donna? Si sa che astenersi dai rapporti sessuali è tipico della persona celibe o nubile, ma il celibato è una vocazione, un dono di Dio, che si deve custodire anche con fatica e può essere “imposto”o per la verità, proposto.

Ma chi si sta riaccompagnando, sta attestando a se stesso e alla comunità che la vocazione al celibato/nubilato non c’e l’ha.

Il guadagno di questo passaggio di F.C. è importante perché tuttavia riconosce la possibilità, la bontà di una nuova unione di coppia, che non corrisponde all’ideale del matrimonio sacramentale, ma che vive, in considerazione del bene dei figli o di altri motivi.

Facciamo attenzione a questo risvolto positivo del punto 84.

La Chiesa ammette e riconosce che, ci possono essere delle condizioni per cui è impossibile separarsi, per il bene dei figli nati dalla nuova unione ed è impossibile ritornare alla situazione precedente e ti dice:

”Continua a vivere la tua nuova unione e, io ti propongo che se ti astieni dai rapporti sessuali, potrai essere parte della comunità cristiana a tutti gli effetti”.

Il punto 84 conclude:” Similmente, il rispetto dovuto, sia al sacramento matrimonio, sia agli stessi coniugi, sia alla comunità, proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo di porre in atto a favore dei divorziati, che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero in errore.”

A tutto questo, siamo nel 1981, si devono aggiungere tutte le limitazioni che pian piano sono diventate tipiche di chi vive una nuova unione.

Un convivente o chi è unito da matrimonio civile, (non se è solo separato divorziato), non poteva essere lettore, catechista, padrino o madrina di battesimo già dal 1979. Non poteva partecipare ai consigli pastorali, si sconsigliava di essere testimone ai matrimoni dal 1993, non poteva essere Ministro straordinario della Comunione o insegnante di religione dal 1998.

Molte persone separate ma rimaste sole, hanno subìto lo stesso trattamento, gli stessi divieti.

Il Magistero della Chiesa, in tutti questi anni, pur essendo chiarissimo non è stato capito. Ciò che fa problema è la nuova unione, non lo stato di separato divorziato solo.

Certo che, se nutre un odio profondo verso il coniuge, che l’ha lasciato e il rancore è ancora vivo dopo lunghi anni, non è bene che svolga certi compiti o riceva l’Eucaristia. Non è lo stato di vita di separato divorziato solo, che impedisce tutto ciò, però questo non è stato assolutamente accolto. 

Fatte queste premesse, andiamo all’inizio del cap. 8 di Amoris Laetitia.

Dobbiamo scorgere nel gesto di Papa Francesco, frutto del Sinodo dei Vescovi, un Magistero che è un corpo vivo, che continua ciò che ha ricevuto e non lo rinnega.

Giovanni Paolo II, a sua volta, non rinnegò il Magistero che lo aveva preceduto, ma lo continuò.

Anche la percezione che la Chiesa ebbe di se stessa con il Vaticano II, ricordiamo che, ai tradizionalisti creò qualche “perplessità” e a certi uomini di Chiesa continua ancora a creare qualche problema.

 

Amoris Laetitia ha due genitori: Evangelii Gaudium e il Concilio Vaticano II, nasce dunque da un matrimonio d’amore “legittimo”.

Già nel capoverso 291 del capitolo 8, è possibile accorgersi come lo sforzo della Chiesa, già presente in Familiaris Consortio, è ora inserito nell’orizzonte della Misericordia. Quando leggo alcuni passaggi di questo documento provo una grande emozione.

“I Padri sinodali hanno affermato che, nonostante la Chiesa ritenga che, ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio, è consapevole della fragilità di molti dei suoi figli”. 

Certo, quando ci siamo sposati, lo abbiamo fatto per sempre, non per stare assieme due, cinque, dieci anni. E’ contro la volontà di Dio che vuole il mio bene, lavora per me, mi viene a cercare come ha fatto con la Samaritana. Passa per la mia strada, anche se il suo viaggio subisce una deviazione per raggiungermi, perché è consapevole della mia fragilità.   Siamo vasi di creta.

E’ chiaro che un matrimonio è indissolubile, ci mancherebbe altro, ma capiamola questa benedetta indissolubilità, nei nostri vasi di creta cosa vuol dire.

La mia commozione raggiunge l’apice fino alle lacrime quando leggo:

”La Chiesa si volge con amore a coloro, che partecipano alla sua vita, in modo incompiuto, riconoscendo che, la grazia di Dio opera anche nelle loro vite, dando loro il coraggio, per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro al servizio della comunità.

La Chiesa deve accompagnare, con attenzione e premura, i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola…..Non dimentichiamo che il lavoro della Chiesa somiglia a un ospedale da campo.

La grazia di Dio opera e, lo Spirito Santo in quelle situazioni, che chiamavamo oggettivamente di peccato, opera dentro quelle vite per tirare fuori il bene, adesso, nella nuova unione.”

All’inizio del capitolo 8, quindi, non si parla più di piaga o di divorzio, ma di chi partecipa alla vita della Chiesa in modo incompiuto, non più irregolare. Il riferimento non è più a una regola, ma a un abbozzo che chiede il compimento, poiché in quelle persone si riconosce l’agire della Grazia.

Pur proponendo sempre la perfezione, è un dovere e non una concessione. Dico questo perché adesso qualcuno ironicamente potrebbe dire che con Papa Francesco siamo tutti più buoni…

E’ un dovere della Chiesa accompagnare chi è stato ferito o si è procurato delle ferite (per una serie di motivi che devono essere oggetto di riflessione e di discernimento).

Il cap.8 comincia parlando del matrimonio cristiano e di altre forme che lo contraddicono o realizzano solo in parte il suo ideale. Insiste sulla logica dell’integrazione, recupera la storia della Chiesa delle origini e al n.298 finalmente parla del discernimento.

Invita a distinguere:

“I divorziati, che vivono una nuova unione, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate…. Una cosa è, una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, generosa dedizione, consapevolezza dell’irregolarità, grande difficoltà a tornare indietro, senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni, in cui l’uomo o la donna, per seri motivi, quali ad esempio, l’educazione dei figli, non possono soddisfare l’obbligo della separazione.”(ecco il collegamento a Familiaris Consortio)….(330)Altra cosa è la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. 

Troviamo qui la nota 329 che analizza i vari casi.

Deve essere chiaro che questo non è l’ideale, che il Vangelo propone per il matrimonio e per la famiglia. L’amore per sempre non se lo è inventato la Chiesa cattolica, ma fa parte della nostra antropologia.

Un amore è per sempre, per definizione, per sua natura. Il vero amore è per sempre, però la nuova unione che la Chiesa propone, pur non essendo l’ideale, richiama la possibilità che, sia improponibile ripristinare la situazione precedente, cioè sia impossibile separarsi e impossibile ritornare al matrimonio sacramento che ora non c’è più.

Fino a questo punto nulla di diverso dalla Familiaris Consortio.

Amoris Laetitia ci permette di compiere un passo avanti, citando la F.C (nota 329) che dice:

”In una situazione di non ritorno, pena causare altri guai per i figli nati o per altri motivi, in certe situazioni, conoscendo e accettando la possibilità di convivere come fratello e sorella, che la Chiesa offre loro, molti rilevano che, se mancano alcune espressioni d’intimità, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e sia messo in pericolo il bene dei figli.”(Gaudium et Spes 51).

A.L. quindi non rinnega F.C. né critica la posizione dell’astenersi dai rapporti sessuali, di 35 anni prima, perché anche quella è una vocazione

Se non si può soddisfare l’obbligo della separazione e cioè, se una situazione è irreversibile, A.L. per custodire la fedeltà di quella coppia formata con la nuova unione, introduce indirettamente la liceità dei rapporti sessuali, per rafforzarne l’unione.

Se mancano certe espressioni, è ovviamente a rischio l’unione che la Chiesa oggi vuole salvaguardare. Ricordiamoci che in un matrimonio fare l’amore non è mai un atto scontato né automatico e non è vero che, andando avanti con l’età, lo diventi. E’ un tempo che devi scegliere e preparare. E’ un tempo e uno spazio che devi custodire e alimentare, perché talvolta si è stanchi per il lavoro, per i figli, per impegni, che costringono a uscire la sera, perché devi studiare e devi, devi, devi, passano mesi senza far l’amore e questo non va bene, in un sano rapporto di coppia.

 Ecco uno dei passi in avanti: “Io Chiesa mi prendo talmente cura di te, che vivi una nuova unione e ti propongo di astenerti dai rapporti sessuali, in sintonia con il Magistero precedente, perché quello che stai vivendo non è il matrimonio sacramento, che considero unico.”

Accanto a questa possibilità, però ti dico:”Fallo l’amore, per rafforzare la tua unione, perché potrebbe venire meno la fedeltà, per il bene dei figli, perché in assenza di queste espressioni si scelgono altre distrazioni, o per altri seri motivi.”

La logica della integrazione, che però eviti lo scandalo, è chiara.

A.L. parla l’italiano ed è chiara e concreta. Poco dopo, a proposito delle esclusioni, tipiche della coppia in nuova unione, dice che, d’ora in poi, queste limitazioni devono essere passate al vaglio del discernimento.

Cioè, di fronte alla domanda di una persona in nuova unione, che chiede di essere padrino o madrina di battesimo o di cresima, la risposta non può più essere lapidaria: SI, se c’è un parroco al passo con i tempi oppure NO, se il parroco è retrò. La risposta dovrà essere sostanziata dalla proposta di un itinerario insieme al presbitero o a persona di sua fiducia, che attraverso il dialogo, in una serie d’incontri, metta in atto il discernimento e ne valuti l’idoneità.

Al n. 299, infatti, troviamo scritto:

 ”La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale. Non soltanto sappiano che, appartengono al corpo di Cristo che è la Chiesa, ma possano averne una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali, occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione, attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo, istituzionale, possano essere superate. Essi, non solo, non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa.”

Tutte le limitazioni, dunque, da adesso in poi dovranno passare al vaglio del discernimento.

 

Propongo alcune domande per la riflessione e il dialogo:

 

1) Sei felice del tuo matrimonio?

 

2) Sapere che Amoris Laetitia si vuole prendere cura di chi, dopo il fallimento del Matrimonio sacramentale vive una nuova unione, ti disturba? T’inquieta? T’interroga? Ne sei indifferente? Oppure ti rallegra e ti fa ben sperare?

 

3) Ci sono persone nella tua famiglia o fra i tuoi amici che hanno ricostruito, nella forma della convivenza o del matrimonio civile un’unione di coppia? Pensi che abbiano letto Amoris Laetitia e in particolare il Cap.8?

Sai, se si aspettano qualcosa dalla Chiesa?

 

4) Come valuti l’itinerario da Familiaris Consortio ad Amoris Laetitia?

E’ la Chiesa che ha perso la bussola, oppure è una Chiesa che invita tutti ad andare verso la misericordia?

 

 

Progetto/Proposta: un itinerario per coppie in nuova unione.

 

Io non credo che avremo la coda, fuori dalla porta, di coppie in nuova unione, che ci chiederanno di fare questo itinerario e ci dicano:”Vogliamo ricevere la Comunione, vogliamo vivere la Riconciliazione.”

Purtroppo, la maggior parte di essi ci ha salutato, ormai da qualche tempo, ma la Chiesa in uscita cos’è?

E’ andare a cercare tutti i nostri amici, tutte le coppie in nuova unione e dire loro:” Dai abbi pazienza, forse in questi anni non abbiamo capito bene del tutto il Vangelo della misericordia, ti chiediamo scusa.

Adesso però torna a camminare con noi.

Questo è il compito che abbiamo come comunità cristiana. 

                                                    Secondo incontro

Quando ci si accosta alla Amoris Laetitia, è naturale affidare Papa Francesco, la sua missione nella Chiesa e la sua salute al buon Dio.

Continuiamo la riflessione sul Cap. 8.

Abbiamo ascoltato tante cose su questa Lettera e oggi approfondiremo altri aspetti, come per esempio la capacità di accoglienza, e la Misericordia della Chiesa su un piano concreto.

L’incontro del mese scorso conteneva tre premesse fondamentali e alcuni punti cardine, che hanno occupato gran parte del nostro tempo.  

Nella prima premessa ci siamo chiesti di chi si sta parlando.

A mio modo di vedere, si mette a tema la coppia in nuova unione, dove almeno uno dei due proviene da un precedente fallimento del Matrimonio sacramentale, così come Papa Francesco lo chiama.

Seconda importante premessa, Amoris Laetitia non è un fungo, ma s’inserisce dentro il grande evento dell’anno della Misericordia, che si è concluso da poco.

I due Sinodi che l’hanno preparato, l’incontro con tanti Vescovi, tanti Cardinali, tanti dibattiti, tante discussioni, hanno prodotto questo testo nello spirito della Misericordia. L’obbiettivo non consiste certamente nel darsi una pacca sulla spalla, non è dirsi come siamo bravi e come ci vogliamo bene.

Misericordia, secondo quello che Gesù ci consegna, è offrire sempre una nuova possibilità, per riprendere in mano la propria vita. Ricordiamo l’icona dell’adultera.

Questa donna non chiede scusa, non una parola, eppure è perdonata, l’adultera non mostra pentimento, rimane in silenzio, ma riceve il perdono. La logica evangelica è lontana e profondamente diversa dalla nostra logica e dai nostri atti.  Il perdono, nell’ottica cristiana precede e suscita la conversione, la rende possibile. Non è il contrario, ecco questo è il Vangelo!

Nella terza premessa abbiamo richiamato la precedente Esortazione apostolica, frutto del precedente Sinodo della famiglia di 35 anni fa, la Familiaris Consortio, al punto 84, in cui si parla delle situazioni, allora definite “Irregolari” e cioè le coppie in nuova unione, per dimostrare come Amoris Laetitia, si ponga in continuità con un discorso già iniziato nella tradizione precedente.

In Familiaris Consortio si parla di discernimento, per entrare nello specifico della storia di ogni coppia e si auspica un lavoro dei presbiteri, che dovrebbero impegnarsi, nella conoscenza e nell’accompagnamento.

Tuttavia poiché “sono loro”(la coppia) che non possono essere ammessi alla Comunione, in quanto vivono in uno stato oggettivo di peccato, io Chiesa ritiro i remi in barca e non posso fare altro, che dirti di astenerti dai rapporti sessuali, per poterti ammettere alla Comunione, ma solo dove non sei conosciuto. (Direttorio di Pastorale familiare)

Detto ciò, vorrei introdurre l’incontro di oggi, con la notizia di un Convegno internazionale, che si è svolto in via della Conciliazione a Roma, in un Hotel a due passi dal Vaticano, convegno organizzato da alcune persone che gestiscono un sito internet e un mensile che, forse, sarebbe opportuno guardare di tanto in tanto, perché in questi due luoghi metaforici (sito e rivista mensile) c’è un concentrato di riflessioni e contributi, critici, certamente tendenziosi e assolutamente problematici, su tanti punti di vista, in riferimento a Papa Francesco, al suo stile, al suo Magistero e in particolare all’Amoris Laetitia.

Il Convegno s’intitolava:”Fare chiarezza ad un anno dall’Amoris Laetitia”.

Fare chiarezza!!!? Non se ne può proprio più.

 L’apertura del Congresso è stata affidata a un tale professore, il cui nome non è significativo, il quale ha sostenuto che A.L. contiene un’oggettiva ambiguità di linguaggio e, secondo lui, le tante linee guida, che alcune diocesi hanno messo in campo, portano ancor più ambiguità e confusione.

Dice che urge fare chiarezza, perché c’è chi interpreta A.L. in continuità con il Magistero precedente, ma considera assolutamente inammissibile l’Eucaristia a chi vive una situazione oggettiva di adulterio e c’è, dice questo signore, chi invece la considera in totale discontinuità se si ammettono i divorziati alla Comunione, non si capisce bene attraverso quale itinerario.     

Secondo lui, nella Chiesa cattolica c’è confusione e disorientamento e a sostegno della sua tesi, ricorda e ritiene probante l’episodio dei quattro Cardinali, che tutti conosciamo e che alcuni mesi fa hanno chiesto al Papa di rispondere a cinque loro quesiti: i “Dubia. “

Sapete che al Papa si possono porre i “Dubia”, come fosse una formula assolutamente consueta. Scherzo naturalmente.

Essi chiedevano, personalmente al Papa, una risposta del tipo si o no; il Papa ovviamente non ha risposto, questi “Dubia” allora, dopo ben tre sollecitazioni, sono stati resi pubblici e il Papa continua a non rispondere. Chiediamoci perché?

I relatori di questo Convegno sono illustri sconosciuti in ambito teologico, accademico, ecclesiale, comunque l’evento c’è stato (a un passo da S. Pietro) ed è grave.

Risponderemo ad alcune loro obiezioni, semplicemente leggendo il testo dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco.

Si ha chiara l’impressione che queste persone, invece, non l’abbiano letto, se l’hanno fatto, non l’hanno capito e lo negano.

Quando ho saputo di quest’evento, ho provato una grande indignazione e amarezza e ho detto:”Proviamo a vedere cosa dice il Vangelo.”

Trovo l’incontro di Gesù con i discepoli spaventati. Il testo dice che, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano, per timore dei giudei, Gesù stette in mezzo a loro.

Ho l’impressione che, ancora oggi, certe persone assalite dai loro stessi problemi e dai loro limiti oggettivi, è come se si volessero chiudere in una stanza con porte e finestre sbarrate. L’aria si fa pesante, viziata, come sempre accade quando, per molto tempo, si resta in una stanza chiusa e invece A.L. è il buon profumo di cui la Chiesa ha bisogno e di cui tutti abbiamo bisogno. 

Allora entriamo nel buon profumo dell’A.L. rileggendo l’attacco del cap.8.

“I Padri sinodali hanno affermato che, nonostante la Chiesa ritenga ogni rottura del vincolo matrimoniale, contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti, suoi figli”.

Io quando sono un po’ giù di umore, per motivi miei, leggo queste quattro righe e mi commuovo.

“Illuminata dallo sguardo di Cristo, la Chiesa si volge con amore a coloro, che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che, la grazia di Dio opera anche nelle loro vite, dando loro il coraggio per compiere il bene.”

Questa è la Chiesa cattolica, di cui noi siamo parte.

La volta scorsa, avevamo concluso al n.298, di A.L. leggendo il passaggio in cui è scritto che,

“I divorziati in una nuova unione, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in categorie troppo rigide”.

Poco dopo al n. 300 trae le conseguenze, continuando sullo spirito di Familiaris Consortio n. 84 in cui è scritto: 

”Se si tiene conto della grande varietà delle situazioni concrete, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare, dal Sinodo o da questa Esortazione, una normativa di tipo canonico, applicabile a tutti i casi, perché adesso vogliamo fare discernimento, vogliamo entrare nella singola storia e non è possibile aspettarsi una legge uguale per tutti, non è possibile aspettarsi una norma o un cammino uguale per tutti. E’ possibile, soltanto, un nuovo incoraggiamento per un responsabile discernimento, che dovrebbe riconoscere quanto segue: poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma, non necessariamente  devono essere sempre gli stessi.” (F.C.) 

Attenzione, qui si comincia a scardinare un’idea che abbiamo in mente e che fatichiamo a rimuovere e ci chiediamo se, necessariamente sempre e comunque, chi ha contratto una nuova unione, dopo il fallimento del matrimonio sacramentale, sempre e automaticamente, dico, si trovi nello stato di peccato grave! O mortale permanente? Sempre?

 Chi contesta questo dice:”Se non fosse così, dove finirebbe l’indissolubilità del matrimonio?” L’obiezione è seria.

La norma dice che, è indissolubile e non si deve sciogliere, però l’inizio del cap. 8 dice che:

“La Chiesa si volge con amore, a coloro, che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che lì è all’opera la grazia di Dio.”

Come? Nello stato di peccato grave, permanente, è all’opera la grazia di Dio? Allora la Chiesa si è arresa al tempo moderno, hanno ragione i detrattori, c’è confusione mentre prima tutto era limpido e per quelli in stato di peccato mortale era fuori discussione essere ammessi alla Comunione. 

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo allargare il nostro orizzonte e capiremo perché la Chiesa dice questo.

Facciamo alcuni esempi che riguardano l’applicazione delle norme:

1) La norma dice: non uccidere e non si deve uccidere, tuttavia è noto che in alcuni casi, tu devi uccidere, per esempio in condizioni di legittima difesa, puoi uccidere se qualcuno minaccia la tua vita.

Allora è lecito uccidere? No, la norma è chiara, tu non devi, ma la norma va applicata alla situazione e al contesto entro cui ti trovi.

2) A un incrocio, se il semaforo è rosso, ti devi fermare e non puoi oltrepassarlo finché non arriva il verde. Tuttavia se dall’altra parte della strada c’è una persona a terra che sta morendo, tu guardi e passi col rosso e la vai a soccorrere.

Difatti al n.301 di A.L. abbiamo un passaggio decisivo.

Per comprendere in modo adeguato, perché è possibile e necessario un discernimento speciale, in alcune situazioni dette irregolari, c’è una questione che non dobbiamo dimenticare.

La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti.

Ecco, recuperiamo un pochino della nostra tradizione morale, della Teologia morale, che in questi anni forse abbiamo messo in secondo piano. Per questo non è più possibile dire, che tutti coloro, che si trovano in qualche situazione definita irregolare, vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.

Non è più possibile dirlo, generalizzando.

I limiti non provengono semplicemente dall’ignoranza della norma.

Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere i valori insiti in essa o si può trovare in condizioni concrete, che non gli permettono di agire diversamente o non gli consentono di prendere altre decisioni, senza commettere una nuova colpa.

Questa formulazione è fondamentale, perché fa saltare l’automatismo oggettivo e normativo, che identifica la situazione irregolare con il peccato mortale, che invece non necessariamente coincidono. 

A tal proposito il n. 304 ci fa male.  

E’ meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o norma morale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta.” 

Ci fa male, perché è veramente meschino dire, se hai le carte a posto sei nella volontà di Dio. E’ meschino!

Nel testo si cita abbondantemente S. Tommaso, davanti al quale ciascuno di noi s’inchina e lo studia. Non mi considero preparata, l’ho studiato a suo tempo, ma non c’è rimasto molto. Dovremmo riprenderlo.

Ricordate il Cardinale Shonborne, che alla presentazione dell’A.L. disse, in conferenza stampa, che è un testo tomista, perché ha un’impalcatura teologica, che si rifà all’impostazione di S.Tommaso.

(Purtroppo molto spesso ho dovuto sentire giudizi al fiele, che hanno preteso di svalutare l’Amoris Laetitia, perché non teologicamente all’altezza della precedente tradizione.)

Tradotto nell’esempio di prima, del semaforo rosso, che non è una banalità, anche se può far sorridere, è sciocco dire che ho rispettato il limite di velocità nel centro abitato, se ho appena investito una persona. E’ meschino, come lo è affermare che, se rispetto la norma faccio di sicuro la volontà di Dio.

A.L. riconduce nel rapporto uomo donna, nell’ambito di vita matrimoniale e nella coppia, ciò che nella vita concreta non abbiamo paura a riconoscere e invece nel matrimonio si.

Dovrebbe essere scardinata l’idea che, dire coppia in nuova unione equivalga automaticamente a stato di peccato mortale.

E’ capire che la Chiesa vuole dire a questa coppia:”Credo che tu stia vivendo qui, adesso, quell’amore fedele, leale, responsabile, vero, che nel primo matrimonio non avevi conosciuto.

Facciamo un cammino serio, per fare emergere il bene, che c’è nella tua coppia e accompagnarti verso il meglio possibile. Andiamo ad agire sul male che hai provocato o hai subìto, tentando di riparare.

Ecco cosa dice A.L. ecco il compito dell’accompagnamento di coloro, che si dicono cristiani.

A.L. scardina l’automatismo divorziato risposato = adultero, perché non può essere adultero, chi in modo permanente, dopo cinque, dieci vent’anni, ha dato avvio a una nuova relazione stabile, fedele, responsabile, alla luce del sole. O riconosciamo questo o siamo su un altro pianeta. Adultero è chi, regolarmente sposato, vive rapporti extraconiugali stabili o episodici.

L’automatismo salta anche per un altro motivo, la vita, la nostra vita non è uno stato immutabile, ma è una storia aperta.

Io oggi non sono quella che ero ieri, sono diversa e, il si che ho detto tanti anni fa, certo che rimane vero anche oggi, ma non è quello di allora perché oggi porta con sé un peso, una bellezza, una fatica, una gioia che vent’anni fa non c’era.

Non c’è automatismo nella nostra vita, persino la comunione con la Chiesa non è uno status, qualcosa di dato una volta e per sempre che non si modificherà mai, garantito da qualche norma, che va avanti col pilota automatico; perché è vero che resto battezzato, ma il peccato intacca la comunione con la Chiesa, l’allenta e c’è bisogno del faticoso lavoro di conversione.

E poi la preghiera e la vita spirituale vanno avanti, ma hanno la stessa intensità in ogni stagione della nostra vita? No

La mia vita spirituale è una storia in movimento, non è uno stato.

E’ una storia, un passo avanti e un passo indietro, è una fiammata e una doccia gelata, è una gioia ed è una fatica.

In questo senso, anche per la coppia in nuova unione, il problema sarà di definire un percorso, un itinerario attraverso il quale la loro comunione con la comunità cristiana, anche se ha conosciuto momenti di fatica, di dolore, di delusione, di fallimento, possa rinsaldarsi e non ci sarà mai una norma che potrà dirci come fare, ma affrontare la vita come diceva un amico, “volto per volto, volta per volta, ogni volta. “ 

Amoris Laetitia scrive al n.37:

”Per molto tempo abbiamo creduto che, soltanto insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo sostenuto già a sufficienza le famiglie e consolidato il vincolo degli sposi. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio come cammino dinamico di crescita e di realizzazione, piuttosto che come un peso da sopportare tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono, quanto meglio possibile al Vangelo, in mezzo ai loro limiti.

Siamo chiamati a formare le coscienze non a sostituirle.”

Questa è una feroce e legittima autocritica che il Papa fa.

Che bello, quando noi cristiani siamo capaci di riconoscere gli errori e abbiamo il coraggio di dirlo, tra di noi ma anche a chi, escluso ci ha lasciato, si è allontanato dalla comunità, perché ha sentito pesare, come un macigno, il nostro giudizio e la discriminazione.

Proprio in questo punto, torna in primo piano una riflessione che riguarda il nostro modo di pensare la teologia, il matrimonio, la vita della coppia.

Così, tante volte abbiamo dimenticato la voce della coscienza, che non è dire: io faccio quello che voglio in coscienza, oppure io faccio quello che secondo me devo fare, ma piuttosto dirsi, non posso fare altro che questo.

 La voce della coscienza va formata ed echeggia dentro di noi come un imperativo, un urlo, un grido, e dice:” Non posso fare altro che questo, non posso scegliere altro che questo.”

La coscienza, quando è ben formata nel tempo, nella preghiera, nella riflessione, attesta l’esito di un dialogo avvenuto con Dio.

“Gaudium et Spes” dice:

”La coscienza è il nucleo più segreto, il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo.”

La coscienza non è un richiamo a una legge già fatta da qualcun altro, non è qualcosa da applicare, adeguandoti a un modello, che prescinde dalla tua scelta, dalla tua volontà. E’ una voce creativa, regale, ci insegna Gaudium et Spes, è una voce profetica che accade dentro di te, nel dialogo intimo che avviene con Dio.

E’ complicato, non avviene per caso e quanto dovremo curare la nostra interiorità e la nostra coscienza, che potrebbe essere esposta a qualche abbaglio. 

E’ lo spazio per pensare davanti a Dio, per pregare, per ascoltare, ascoltare la sua voce; è quel luogo in cui Dio è più intimo di quanto, ognuno di noi possa esserlo a se stesso.

Ecco allora il senso del paragrafo 303, al quale ritorniamo.

”La coscienza delle persone deve essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa, in alcune situazioni, che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non corrisponde oggettivamente alla proposta generale del Vangelo; però può riconoscere con sincerità e onestà ciò che, per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.” 

Interessante! Quando siamo in situazioni di non più ritorno nella coppia in nuova unione, quando siamo in situazioni irreversibili per cui tornare indietro potrebbe oggettivamente produrre un male per i figli, per il bene del coniuge, cosa fai?

Il recupero della centralità della coscienza in A.L. è una novità, per la dottrina cristiana. Da Gaudium et Spes ad Amoris Laetitia, a proposito di coscienza c’è stato il nulla, ma qui A.L. gioca una carta sorprendente perché se prendiamo il Catechismo degli adulti del 1995, al capitolo intitolato “Gradualità della responsabilità personale”, in tre numeri vediamo chiaramente qual è il senso e il messaggio di A.L.

Catechismo degli adulti: a proposito di responsabilità personale, morale e coscienza. Vi è scritto:

1)“La responsabilità personale di ciascuno è proporzionata alla sua attuale capacità di apprezzare e volere il bene.”

“Tendere alla pienezza della vita cristiana, non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che è concretamente possibile.”  

Non si tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il proprio passo.

I critici dicono:”Adesso l’indissolubilità viene messa in discussione, non c’è più”.

Quanta confusione, facciamo chiarezza. Non c’è salvezza fuori dal matrimonio sacramento? Una volta si diceva che, fuori dalla Chiesa cattolica non c’era salvezza. 

2)”Disordine morale oggettivo e peccato personale non vanno confusi.”

Attenzione, lo stesso grave disordine può essere peccato mortale in alcuni, veniale o inesistente in altri, secondo che la loro responsabilità sia piena, parziale o nulla.

A.L. rompe con la tradizione oppure tanti signori nella Chiesa cattolica hanno dimenticato il Catechismo?

La Chiesa è madre e maestra; da una parte insegna con fermezza la verità, dall’altra cerca di comprendere la fragilità umana e la difficoltà di certe situazioni.

Si capisce o c’è ulteriore bisogno di chiarimenti? 

I punti del capitolo 8 che creano maggiori problemi ai critici e ai detrattori di A.L. non sono derivati dal Catechismo e non ne costituiscono la traduzione nel campo del matrimonio e della famiglia?

Fintanto che la Chiesa continua a produrre documenti, va tutto bene, è una meraviglia: Evangeli Gaudium che bel documento! Finalmente la Chiesa si esprime! Ma quando si comincia a tradurre nella vita reale, E.G. di cui A.L. è figlia, allora sorgono i problemi.

Non è forse che, il Catechismo della Chiesa cattolica, noi adulti lo abbiamo messo da parte, come fosse una questione da bambini o non lo leggiamo più o resta solo un ricordo?

Il Catechismo, la tradizione della Chiesa è un corpo vivo, che cresce;

è il “depositum fidei” non un masso, non un blocco di cemento, ma è vita, perché l’incontro con nostro Signore è vita. Queste sono cose che appassionano!!!

A me e non solo, in realtà sono in buona e numerosissima compagnia, sembra che, in A.L. la dottrina non sia per niente stravolta ma presa sul serio.

C’è un libretto del Cardinale Coccopalmerio, a commento del cap.8 di A.L.

Quest’alto prelato, per chi non lo sapesse, lavora nel Pontificio Consiglio, per l’interpretazione dei testi legislativi.

Nell’analizzare il testo egli dice che, A.L. è dottrina della Chiesa e basta e, se lo dice cotanta persona, credo si possa stare tranquilli.

La dottrina non è stravolta, ma è in continuità con E.G. dove per es. al 222 si legge:

 ”Il tempo è superiore allo spazio. Credendo che tutto sia bianco o nero a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione. Ricordiamo che un piccolo passo in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà.”

Qui, ripenso ai “Dubia dei quattro Cardinali.

I processi, i cammini, gli itinerari sono più importanti dei singoli punti spaziali e, A.L. è come se traducesse nella coppia e nella famiglia questo passaggio di E.G.

La vita non è, in bianco o nero, non funziona così la vita matrimoniale di tutti, la nostra vita. Se hai la fortuna o il dono di vivere un bel matrimonio, se hai avuto la capacità di lottare e vincere la sfida a fronte di gravi difficoltà, se hai avuto una moglie o un marito buono, che si è preso cura di te, che ti è stato fedele, non puntare il dito verso chi ha avuto una storia diversa dalla tua. Non puntare il dito, perché tu non sai nulla della storia di tuo fratello, del tuo amico, dei tuoi genitori che si sono separati, che sono soli o che hanno dato avvio a una nuova unione. Ringrazia per la tua vita, che pur con le sue fatiche è stata serena, gioiosa, bella. Ringrazia e non fare paragoni con gli altri, ringrazia e mettiti al servizio.

In questo senso è possibile entrare nell’orizzonte aperto del n. 305 e della famosa nota 351.

 “Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni irregolari, come se fossero pietre, che si lanciano contro la vita delle persone. E’ il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono, persino dietro gli insegnamenti della Chiesa, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare qualche volta con superiorità e superficialità i casi difficili e le famiglie ferite.”

Pensiamo a quante volte ognuno ha scagliato pietre.

“A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.”

“In certi casi potrebbe anche essere l’aiuto dei sacramenti e per questo, ai sacerdoti ricordo che, il confessionale non deve essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore.” 

Perché la nota? “Anche l’aiuto dei Sacramenti”, perché in nota?

Perché l’obiettivo non è dare la Comunione alle coppie in nuova unione. L’obiettivo è, mettere ogni coppia in nuova unione al centro, è il cammino, è la comunità che si deve fare prossima di questi fratelli, di queste coppie, attraverso un itinerario, che eventualmente possa anche portare alla Comunione eucaristica.

E’ riscoprirsi Chiesa in comunione con tutti. E qui vediamo come il cap. 8 è figlio di E.G.

La volta scorsa, ho detto che, E.G. e A.L. hanno fatto l’amore e generato il cap.8 E’ proprio così e sapete dove? Al Convegno della Chiesa italiana a Firenze nel novembre del 2015.

Siamo in grado di capire questo benedetto capitolo se teniamo sullo sfondo il discorso che fece il Papa in quell’occasione, nella Chiesa di Santa Maria Novella. E’ opportuno rileggerlo e riflettere.

 In Evangelii Gaudium è espresso l’altro principio che dice: “La realtà è più dell’idea.”

La coppia in nuova unione non è una coppia di adulteri, non si può negare la realtà davanti a due persone che si vogliono bene, che hanno dato prova di fedeltà, responsabilità, dedizione, cura. Se nego questa realtà passo dalla teologia alla ideologia.

Questa è l’anima del cap.8 e cioè riconoscere la coppia in nuova unione; non dare la Comunione.

In questo modo come Chiesa, vorrei prendermi cura di te e accompagnare con discrezione il tuo cammino, senza chiederti come biglietto di benvenuto, di astenerti dai rapporti sessuali, come si leggeva in Familiaris Consortio.

Certo, chi vuole può farlo o continuare a farlo, ci sono tante coppie che hanno fatto questa scelta, fedeli alle indicazioni di F.C.

E’ una vocazione, è una cosa benedetta, e santa, continua a farlo, ma è una vocazione, non è per tutti.

Amoris Laetitia non dice che sia sbagliato, dice:“Bene, ti voglio sostenere, ma nello stesso tempo non ti chiedo più quello.”

Io Chiesa, restando fuori dalla tua camera da letto, vorrei offrirti il mio aiuto, perché tu possa realizzare quel sogno che Dio ha pensato per te. Per questo ti voglio accompagnare e sostenere e offro tutta me stessa e ciò che ho di più prezioso, la possibilità del perdono e la comunione con me e con Gesù Cristo anche se so che questo può rappresentare un problema per qualcuno. E’ questo lo stile dell’Amoris Laetitia.  

Al n.308 leggiamo:

”Comprendo coloro, che preferiscono una pastorale più rigida, che non dia luogo ad alcuna confusione, ma credo sinceramente che, Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo spirito sparge in mezzo alla fragilità. Gesù aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari, che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinchè accettiamo di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente.”

L’effetto collaterale di restituire l’amore della coppia alla storia e alla complessità della vita coinvolge anche la dottrina, sicuramente.

Non cambia la dottrina, ce la fa capire meglio, la tira giù da un certo iper uranio, in cui una certa teologia, un certo modo di pensare il matrimonio sacramento, l’aveva collocato.

Il Sacramento matrimonio con A.L. è stato reinmesso dentro la vita e dentro la storia concreta, grazie a una categoria, che sta procurando un po’ di fatica, la “Categoria di segno imperfetto” dell’amore tra Cristo e la Chiesa, non una sua sovrapposizione o identificazione.

Che cosa vuol dire?

Dopo Familiaris Consortio, un certo modo di pensare la teologia del Matrimonio ha portato a un’identificazione – sovrapposizione del rapporto Cristo-Chiesa, Cristo sposo-Chiesa sposa, con marito e moglie, quasi che ciò che si realizza oggi, nel rapporto sacramentale tra marito e moglie sia quello, che si realizza oggi fra Cristo sposo e Chiesa sposa.  Pensare così il matrimonio è duro, tra Cristo e la Chiesa non c’è parità, siamo su piani diversi, Cristo è Signore della Chiesa.

Tra marito e moglie c’è parità, il marito non è il signore della moglie, è suo sposo. Non c’è sovrapposizione o confusione.

Nel rapporto che c’è fra Cristo e la Chiesa, Cristo sta davanti e la Chiesa cammina verso il suo Signore. Non si può usare questo paragone in modo assoluto, facendo coincidere ciò che accade nel Sacramento, con ciò che accade fra marito e moglie.

Infatti, al n.72 è scritto che:

“Il matrimonio è una vocazione, una risposta, a una specifica chiamata, di vivere l’amore coniugale, come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Non è riproducibile.”

E al n.73 leggiamo:  

“Benché l’analogia, fra marito e moglie, Cristo e la Chiesa, sia un’analogia imperfetta, essa invita a invocare il Signore, perché riversi il suo amore dentro i limiti delle relazioni coniugali.”

Sarebbe bello riflettere su queste cose, perché un certo modo di intendere il matrimonio e una certa teologia, vi andrebbe ricondotta, per evitare che questa sovrapposizione porti a veri disastri.

Questo è un approccio che ridona carne tenera alla dottrina, come ha detto il Papa a quel Convegno di Firenze di cui sopra. Una dottrina morbida che si lasci plasmare, ponendo le premesse per una Chiesa che non separi più ciò che Dio ha unito: dogma e storia, dottrina e vita, Catechismo e vita.

Come diceva Giovanni XXIII:”Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che impariamo a conoscerlo meglio.” 

Per tenere insieme Dottrina e vita, il n. 300 contiene le indicazioni precise per Vescovi e presbiteri, circa il modo di accompagnare, discernere, integrare ogni coppia. 

“I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate, sulla via del discernimento, secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo.”

“I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli, quando l’unione coniugale è entrata in crisi, se ci sono stati tentativi di riconciliazione, qual è la situazione del partner abbandonato, quali conseguenze la nuova relazione ha sul resto della famiglia, sugli amici, sulla parrocchia, quale esempio essa offre ai giovani. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia, che non viene negata a nessuno.”

 Dato che il discernimento, poco prima di questa citazione, è indicato sia come personale, cioè esercitato dal soggetto in prima persona, sia pastorale, cioè svolto dai preti e dal Vescovo, qui si potrebbe aprire uno spazio per l’accompagnamento della coppia in nuova unione, da parte della comunità cristiana.

Cerco di concludere.

Il compito che Amoris Laetitia affida alle singole diocesi, ai Vescovi e ai loro collaboratori, quindi, non è confuso ma chiarissimo: è rendere possibile a coppie in nuova unione un itinerario di accoglienza, discernimento, integrazione.

Questo è il pregio, ma anche il limite di A.L. perché da una parte non dice esattamente cosa dobbiamo fare, come dobbiamo farlo, quando dobbiamo farlo, ma chiede una sua possibile traduzione in ogni chiesa locale, come ad esempio è già stato fatto a Modena e a Trani.

Dall’altra, se incontra “certi” Vescovi e presbiteri, come ne sta incontrando, Amoris Laetitia rischia di far cadere nel nulla due Sinodi e, se stessa, cioè un’ Esortazione Apostolica di pari autorevolezza della precedente, Familiaris Consortio di 35 anni fa.

Che responsabilità che abbiamo!  

N.B

Tra l’altro l’Ufficio famiglia della CEI chiede periodicamente aggiornamenti, su quanto si sta facendo in ogni diocesi.

In alcune si sta già lavorando in modo molto fecondo, studiano saggi, articoli, pubblicazioni, cercano di comparare il loro lavoro con altre diocesi. Sollecitano osservazioni, suggerimenti con l’obiettivo di arrivare, in tempi non lunghi, con proposte valide ed estensibili e che non siano l’espressione personale di qualcuno.

 

Ninny Parodi è nata ad Avola (SR) e si è laureata nel 1966 in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi in Storia Romana. Dopo aver ottenuto la cattedra di Italiano e Latino si è dedicata per alcuni anni alla docenza. Ha ripreso gli studi e si è laureata nel 1975 in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Dopo la specializzazione in Psichiatria si è dedicata alla Analisi Junghiana nell’ambito di un Dottorato di ricerca ed è stata docente di Psicologia Clinica. Ha conseguito il Master di Programmazione Neurolinguistica negli USA con Richard Bandler e in quest’area ha pubblicato vari lavori sulla neuro semantica. Ha collaborato con il Centro Delaney e Flowers for Study of Dreams  e fa parte del ASD: Associazione per lo studio dei sogni. Attualmente vive e lavora a Genova