Per Novella 2000 intervisto: Vladimir Luxuria
Per me il male, il peccato, sarebbe stato non diventare transgender. Io, all’inizio, ho tentato di reprimerlo ma la sofferenza che sentivo era troppa: vedermi allo specchio era un peso insopportabile. Trans si nasce non si diventa. Non ricordo un minuto della mia vita in cui ho pensato di essere maschio. So che ci sono quelli che temono che si possa “insegnare” a diventare trans o gay, quelli della ideologia del gender, invece no: io sono sicura che si nasce così.
Se il peso fosse stato leggero lo avrei sopportato ma era troppo. Due erano le cose: o farla finita o smettere di trascinare questo segreto. Sono stata allontanata da tanti affetti, dalla Chiesa pure. Ma sentivo così di diventare una persona migliore. Perché altrimenti ero su una cattiva strada. Stavo diventando cattiva. Odiavo.
Sono a casa di Vladimir Luxuria e le ho chiesto cosa sia per lei il male. Cosa significa quando per qualcuno che tu ami diventi una peccatrice ma per te invece non lo sei.
“È molto importante difendere la propria anima. È una battaglia continua e non riguarda solo il sesso. Io sono stata la prima a usare il termine transgender invece di transessuale. Togliere il “sessuale” aiuta a non essere relegate nel sesso: che è importante ma non è il pensiero con cui mi sveglio.”
Cos’è per te il sesso?
“Per alcuni il sesso è solo riproduttivo per altri è un piacere. Nella mia condizione il sesso non può essere riproduttivo e quindi rischi che divenga un’ossessione. Se cadi nella sex addiction, diventa una schiavitù.”
Quando sono arrivato mi hai detto: l’ultimo prete che è entrato qui è stato don Gallo.
Io ho sempre nutrito un forte desiderio di fede. Quando ero piccola frequentavo la Chiesa. Poi, quando ho sentito l’esigenza di “far volare la farfalla” (allude al titolo del suo ultimo libro) il prete mi ha detto che se volevo continuare a frequentare la Chiesa non potevo vestirmi da donna. Per un periodo ho accettato ma dopo un po’ non ce l’ho fatta più. Ho vissuto un periodo in cui non potevo più pregare, mi sentivo indegna, e quindi sono diventata forzatamente atea. Poi ho conosciuto il buddismo che mi ha ridato la dimensione spirituale. Sono molto grata al buddismo per questo. Mi ero veramente smarrita. Poi c’è stato l’incontro con don Gallo e quindi l’elezione di Francesco. Ho sentito parole diverse. Nella comunità transgender molte mi dicevano: è tutta apparenza. Mi sono dovuta scontrare. Fino alla famosa frase “chi sono io per giudicare un gay?” Ovviamente non mi aspetto che il Papa venga a un gay pride o che dica di essere favorevole alle unioni civili, non sono così stupida, ma la sua apertura è importante. Da lì ho deciso di tornare. Avevo paura. Dicevo: la gente mi guarderà male. Invece ho sempre trovato persone disponibili. Mi sono confessata. Più di una volta. Certo io non vado a confessare di essere trans, confesso quello che è peccato per me: perché io, come trans, non mi sento una peccatrice, io sono convinta che dall’alto mi vedono così: trans. Però non avevo la forza di tornare a prendere l’ostia, non mi sentivo della comunità. E un giorno, ti dico sul serio, davvero, guarda che non invento, ero in una chiesa, ero lì a interrogarmi: che faccio, la prendo o non la prendo, quando arrivano le parole “non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. Non so spiegare. Quelle parole mi sono proprio entrate nel cuore: ma pensa, mi sono detta, c’è stato qualcuno prima di me che, come me, si è sentita indegna e ha detto: di’ soltanto una parola… di’ soltanto una parola.. beh guarda don Mauro, io stavo lì, ferma nel mio banco e una vecchietta si avvicina mentre andava a comunicarsi e mi dice: che cosa aspetti a prendere la comunione? Quella per me è stata la parola… è stata la parola: mi sono messa in fila e ho preso la comunione [Luxuria tace e si commuove, ndr]. Questa è la prima volta che lo racconto. È una cosa molto intima.
Non c’era stata anche la comunione da Bagnasco il 25 maggio 2013 ai funerali di don Gallo?
No, no: è stato totalmente diverso. Lì mi avevano detto: fai la comunione per noi ma allora il mio percorso non era compiuto. E che fosse Bagnasco, poi, è stato un caso: ero in fila ed è capitato lui.
Tu ami la Madonna?
Certo! Per me la Madonna è… [cerca le parole, ndr] è il simbolo della femminilità [si interrompe e si commuove, ndr]. È il simbolo della femminilità. Noi trans siamo devote della Madonna Schiavona di Montevergine. Le trans che vanno lì a pregare ci vanno proprio per pregare, non per fare spettacolo.
Pensi che la Chiesa debba fare per te qualcosa che ancora non ha fatto?
Ero stata invitata a TV2000 come ospite [era l’11 novembre 2014, ndr] ma stava montando il Family Day e si è rinviato. Ho detto: va bene, posticipiamolo. Ma non mi hanno più chiamata.
Cosa pensi di poter dare alla Chiesa?
Posso dare, soprattutto alle giovani transessuali, questo messaggio: non dovete sentirvi rifiutate dalla Chiesa.
Tratto da Novella 2000
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