Blog / Maddalena | 06 Ottobre 2017

Le Lettere di Maddalena – Posso solo mostrare

Posso solo raccontare ciò che ho visto. Posso solo “mostrare”, senza incappare in discorsi precostituiti e tendenziosi.  Non voglio fare nomi, se non il mio, quello di mio padre e mia madre.

Che la mia vita sia stata in parte travagliata e sofferta, non mi vergogno a dirlo. Come non mi vergogno a dire che ho una storia di conversione, cominciata cinque anni fa.

Solo dopo” l’Incontro”, a distanza di tre anni, ho iniziato a frequentare l’Opera in modo attivo.

L’Opus Dei è entrata nella mia famiglia quando ero una bambina. Nella mia vita spirituale, invece, solo di recente. Travolgendomi di gioia.

In mezzo, ci sono quasi quarant’anni.

San Josemaria ha appoggiato la mano sul capo dei miei genitori alla fine degli anni settanta. E l’effetto è stato…dirompente.

Mia madre è andata in Cielo che ero una bambina. Uno di quei tumori che chissà, forse, oggi sarebbero curabili. Ai tempi no. Ai tempi non c’era l’ecografia. Non si faceva.

E’ mancata fissando il Crocefisso, con una grande pace. La preghiera era parte fondamentale nella sua vita, come in quella di mio padre.

Ero piccolina, posso solo fornire immagini in parte sovrapposte, alcune edulcorate, altre vivissime, per quello strano gioco che fa la mente per farti sopravvivere. Ma quello che mi ricordo è stata la condivisione del dolore nella preghiera da parte di famiglie intere, da parte di numerari e sacerdoti numerari: un’attenzione fatta di piccoli gesti, che ho ancora nel cuore.

La nostra parrocchia, al funerale di mia madre, era stracolma di amici coinvolti nel suo cammino di santità. Gli stessi amici, che anni e anni dopo, si sono ripresentati al funerale di mio padre. E che hanno contribuito a portare Cristo nella mia famiglia.

Ho visto la mia casa riempirsi di gente per pregare insieme davanti al letto della mamma, quando stava male. Ho visto persone consolare la mia nonna, nelle crisi di pianto per la morte della figlia; le ho viste consolare e accompagnare mio padre, nella vita di immenso dolore da lui vissuta, e …caricarsi addosso un po’ della sua Croce. Ho visto gente autentica e viva. Questo ho visto, quando ero bambina.

Eppure sono la classica persona che si è arrabbiata, non ha capito il dolore, se l’è presa pure con Dio e con l’Opera (come ovvia conseguenza) per più di vent’anni. L’ho pure contestata.

Ma per questo mi sento libera di poter raccontare, senza condizionamenti di alcun tipo, quello che ho visto.

Da che mondo e mondo la Chiesa è fatta da uomini e donne, con le loro fragilità; da che mondo e mondo è fatta di persone in cammino. Si cade, si sbaglia. Poi ci si rialza, ci si accetta ,ci si perdona, e si va avanti. Perché gli errori ci sono stati, certo. Perché non ammetterlo? Mi viene da dire che ci saranno sempre, fino alla fine dei tempi.

Però.

Nei durissimi anni della mia adolescenza vedevo mio padre, pur nella sofferenza, nelle arrabbiature quotidiane dettate anche dall’esercizio eroico della sua professione, una pace di fondo , una certezza grande, una gioia interiore, mescolate anche con la tristezza e le lacrime provocate dalla nostalgia. Ma, come diceva don Giussani, la tristezza che deriva dalla nostalgia assume un carattere di positività, perché ti mette in “tensione” verso la meta finale, l’abbraccio con Cristo…e con la mamma. Mio padre…aveva “quella cosa lì”.

Un giorno mi confessò che l’Opera… gli aveva salvato la vita.

E a distanza di tanti anni, posso dire lo stesso: ha salvato anche la mia.

Nel periodo della mia giovinezza invece, ero la figlia che si allontanava sempre di più da tutto questo. Per motivi personali mi tenevo a debita distanza, senza avere capito niente . Poi l’evento della morte di mio padre è piombato come una folgore: ho rischiato di rimanere in depressione per lungo tempo.

Ma non posso non raccontare quello che ho visto dell’Opus Dei nel frangente della malattia di mio padre: le visite affettuose fatte quotidianamente, le carezze e le lacrime degli amici dell’Opera. Non si può fare finta niente, nascondere tutto quel bene. Non si può. Quando le persone sante entrano nella tua vita, seppur di straforo, anche se in quel momento sei il principe degli agnostici, non puoi non notarlo. Cerchi di fare finta di nulla, perché esaltarle troppo vorrebbe dire mettere in discussione sé stessi. In ogni caso ti rimane dentro qualcosa. Ecco, in quel periodo non potevo non provare un misto di gratitudine e tenerezza nei confronti di coloro che specialmente nell’ultimo periodo venivano a far visita al babbo, quando era in fase terminale. Nei giorni immediatamente precedenti la sua agonia, un amico carissimo si preoccupava di portargli una rosa da mettere di fronte alla foto della mamma, non essendo mio padre più in grado di andare a comprarsela da solo. Si presentava davanti all’uscio di casa, con la rosa rossa in mano, e gli occhi lucidi per il suo amico che tanto soffriva.

Questo ho visto. Proprio negli anni…”di contestazione, dolore e rabbia”.

E poi la contestazione e la rabbia si sono dissolte. E il merito non è mio.

In ogni caso l’Opera, seppur presenza costante nella mia vita, ma mai imposta, la conosco “dal di dentro” da poco tempo. Ma ho il cuore trafitto dalle accuse spesso ingiuste.

Perché l’Opera non è riconducibile a “un’organizzazione”. E’ una famiglia. Dentro ci sono persone “che amano il mondo appassionatamente”, e danno la vita per gli altri. Sì, danno la vita, in modo silenzioso, non urlato, possibilmente “facendolo apparire come normale”, per far sí che nessuno se ne accorga, se non Dio.

Lo devo dire, cosa ho visto, nel centro che frequento.

C’è un sacerdote che tutte le volte che mi confesso e torno a casa, mi fa piangere di commozione per parte del tragitto (meno male che riesco a trattenermi almeno fino a che non ho tolto la catena alla bici); ce ne è un altro che quando fa le meditazioni attira le persone che fanno i salti mortali per liberarsi ed andare ad ascoltarlo; c’è una direttrice che anche se ci prova non riesce a non sorridere, nonostante la stanchezza e gli impegni. C’è chi trova sempre il tempo per ascoltarti, dirti la cosa giusta, accoglierti, anche davanti ad un calice di prosecco.

Ci sono amiche che per festeggiare cantano e ballano come matte, seguono la moda, amano la vita, il bello della vita.

Ho tanti amici e amiche dell’Opera. Spero di averne sempre di più. 

Sono allegri, gioiosi.

Hanno Gesù, dentro. Li “ha afferrati”, per usare un’espressione cara ad un amico. Perché hanno risposto ad una chiamata, tutto qui: ognuno secondo il suo stato. 

Ci sono persone che amo molto. Che mi insegnano “a stare”, ad andare avanti. Che mi forniscono “i mezzi”. Che mi abbracciano e mi fanno sentire l’amore di Cristo. Che mi aiutano ad essere felice. Persone che non rispondono alle provocazioni, anche a quelle più terribili. 

“Volti eroici, santi e normali”, che, a parer mio, cambieranno il mondo.

Maddalena Fabbri è nata a Milano, il 5 settembre 1971. È sposata e ha tre figli. Laureata in giurisprudenza, ha svolto la pratica professionale per poco tempo. Ha preferito iscriversi all’albo ” delle mamme”. Vive a Milano.