Agi – Quel che Twitter non ha capito
La notizia che Twitter passerà da 140 a 280 caratteri sembra non far gioire nessuno. Soprattutto fa storcere la bocca a quelli che Twitter lo utilizzavano davvero e sembra loro soltanto l’ultimo sussulto di qualcuno in agonia. “Da anni chiediamo la possibilità di poter modificare i tweet pubblicati ma chi comanda non ci ascolta”: è il commento semplice, efficace, di una persona che fin dagli inizi ha considerato Twitter casa propria. Sembrerebbe una richiesta del tutto ragionevole: su Facebook, su Instagram, è possibile modificare il proprio post o il proprio commento tutte le volte che si vuole: su Twitter no, puoi solo cancellarlo e rifare tutto da capo. Il che è estremamente sgradevole se il tweet è online da un po’ ed è carico di risposte, di dialogo, di like: perché se lo cancelli, ovviamente cancelli tutta la conversazione. Ciò che lascia più pensierosi è che a queste richieste manchino risposte credibili da parte dei capi. Chi chiede di poter avere la funzione “modifica” ai propri tweet non sa perché l’azienda non vuole. E così il no appare solo un’inutile cattiveria visto che l’impossibilità tecnica non è pensabile.
Capire le necessità di chi hai davanti e ascoltarla è la regola non solo di ogni azienda che vuole vivere ma anche del dialogo in una società evoluta. Lo ha capito Telegram che ha rosicchiato significative quote di mercato a Whatsapp perché ha capito prima e meglio dei competitor la necessità della riservatezza tanto da obbligare la società di Zuckerberg a correre ai ripari e ad inserire a propria volta una criptazione che però ancora non convince del tutto quanto quella di Telegram. Per cui rimane ancora diffusa la convinzione che con Telegram “nessuno potrà mai sapere cosa ho scritto”. Oppure Snapchat è diventato ciò che è diventato per le storie che durano ventiquattro ore: e quindi Instagram (e poi anche Facebook e Whatsapp) capendolo lo ha seguito e ha aggiunto “la storia” alle foto. Invece il cambiamento di Twitter da 140 a 280 caratteri sembra non obbedire ad una reale logica di dialogo coi propri clienti: snatura un’identità, non aggiunge nulla e, soprattutto, mostra l’incapacità di cogliere bisogni reali degli utenti.
L’esempio del “modifica” che non viene innovato è lampante: ma ci sono altre richieste che cambierebbero le sorti di Twitter se il management riuscisse a porsi davvero in ascolto dei propri clienti e capirli. Due fra tutti: le fake news e il cyberbullismo, quest’ultimo molto più aggressivo e violento su Twitter che su Facebook. Proviamo ad immaginare un social dotato di un algoritmo magico che riesca a contrastare efficacemente le notizie finte e coloro che, invece di cercare un dialogo magari anche forte, schietto, franco, vogliono solo ferire ed insultare. Sarebbe davvero una rivoluzione e sarebbe una rivoluzione vera. Perché la vera rivoluzione è quella del progredire rimanendo se stessi, del crescere senza cambiare di identità.
Twitter era nato come un social “giornalistico”, molto vicino alla comunicazione reale, rapidissima, essenziale, capace di raccontare fatti veri, arrivando prima e più velocemente alle fonti vere, a chi, essendo protagonista, le sa raccontare o commentare in modo efficace. Di chi sa costruire una riflessione e un dialogo intelligente. Per queste persone l’eliminazione, o la drastica riduzione del malware, cioè del software dannoso e malintenzionato, sarebbe una vera manna. Twitter aveva trovato la sua forza differenziandosi da Facebook, e lo aveva fatto perché i caratteri erano solo 140. Invece ora, la grande differenza tra Facebook e Twitter è che sul primo la pornografia non la trovi: nel secondo invece dilaga.