Blog / Don Sergio Fumagalli | 29 Luglio 2017

Le Lettere di don Sergio – Peccato, offesa e condanna

Poiché a partire dal 1º agosto don Sergio sarà in vacanza e non potrà intervenire sul blog, anticipiamo la pubblicazione dell’articolo della settimana prossima per consentire a chi entra in dialogo di avere un riscontro  

In questo articolo vorrei analizzare due affermazioni che ultimamente ricorrono spesso, anche a motivo di interpretazioni semplicistiche di frasi ad effetto del Papa, quelle sull’uso della dottrina per “scagliare pietre” sulle persone: “è offensivo dire che un comportamento è peccato” e “dire che un comportamento è peccato è un giudizio di condanna”.
Innanzi tutto chiunque può notare come le stesse persone che concordano con le affermazioni che voglio criticare, non ne fanno un uso generale, ma le applicano solo a particolari “peccati”, che vorrebbero che non fossero definiti tali, mentre non le usano affatto per altri comportamenti.
Nessuno si scandalizza e ritiene offensivo dire che l’omicidio, il furto, la truffa, la corruzione, l’associazione mafiosa, lo stupro, l’insulto ecc … siano peccati, anzi in determinate situazioni, anche il solo sospetto di aver cooperato, forse neanche volontariamente, ad una di queste azioni diventa il motivo per offendere l’interessato e dare nei suoi confronti un giudizio immediato e temerario di condanna.
Probabilmente il motivo della mancanza di distinzione tra peccato, offesa e condanna sta qui: poiché per alcuni peccati i media o l’opinione pubblica associano immediatamente questi tre elementi, per alcuni comportamenti non universalmente riconosciuti come peccato, si ha il timore dell’offesa e della condanna da parte dell’opinione pubblica.
Ma questi tre elementi andrebbero distinti sempre e in tutte le situazioni. Tra l’altro andrebbe fatta una distinzione ulteriore tra male (o peccato oggettivo) e peccato soggettivo (cioè imputabile). In morale questa distinzione di solito viene fatta una volta per tutte e per tutti i peccati dicendo che, perché ci sia colpevolezza. c’è bisogno di avvertenza (cioè sapere che l’azione è cattiva) e di consenso (la volontarietà piena nel farlo).
Quando si dice che Gesù accoglie tutti e non condanna nessuno non si vuole far riferimento al fatto che per Gesù non ci sia la Legge, non ci siano i Comandamenti e non ci siano peccati, ma che questi non impediscono a Gesù di amarci e di dare la vita per noi, spronandoci, se non l’avessimo ancora fatto, a pentirci ed accogliere la Sua Misericordia Infinita. Da parte di Gesù l’offesa non ci sarà mai, ma la condanna potrebbe arrivare alla fine della nostra vita se non ci pentiamo.
Evidentemente noi non abbiamo alcun motivo né per offendere, né per discriminare, né per condannare nessuno, possiamo anche riconoscere che molto spesso non possiamo neppure sapere se uno che compie un azione cattiva, ne è pienamente consapevole e libero, ma il giudizio sulla bontà o cattiveria di un’azione, in senso generale, non solo possiamo, ma dobbiamo darlo.
La fede si deve mostrare con opere concrete di fede … e queste opere non possono essere opere qualsiasi, ma opere che sono conseguenza concreta della nostra fede: la conoscenza della verità e del bene non sono cose di cui vantarsi, ma sono cose da cercare di mettere in pratica personalmente nella propria vita, sentendo anche la responsabilità di dare buon esempio e di trasmetterle. Trasmetterle con carità, certamente, ma trasmetterle (Cfr.Mt 28, 19-20).