
Le Lettere di Silvia Fabiola – Amore folle
Amore mio chi ci ha divisi non è stata la tua malattia. La tua pazzia io l’amavo anche quando mi sgomentava. I tuoi discorsi li percepivo come musica dissonante e mi piaceva ascoltarti quando cominciavi con un pensierino elementare da cui scaturivano milioni di illogiche sfumature, che per me avevano sempre un grande significato, fino ai monologhi pregni di delirio d’onnipotenza . E poi la mia piccola parte folle si nutriva della tua. A volte mi sembrava di essere dentro una caverna irradiata un poco, solo un poco, dal sole che si spingeva prepotente prima sulle nostre scarpe usurate, sui nostri vestiti che sapevano di fiori di campo e poi sui nostri capelli che pareva si chiedessero confusi a quale delle due teste sarebbero dovuti appartenere.
Adoravo i tuoi occhi grandi che somigliavano tanto ai miei, adoravo il tuo bisogno di contatto fisico con me uguale al mio, adoravo dormire sul tuo petto sproporzionato rispetto al resto del corpo, un petto divenuto largo per amore della musica. Eravamo le uniche “cose” dalle quali non riuscivi a separarti mai. Io e la musica, la musica ed io. Giravamo attorno alla tua testa , entravamo nel tuo naso, uscivamo dai tuoi polmoni sotto forma di note che si innalzavano veloci e scarmigliate verso il tuo cielo fatto di visioni che si concedevano l’una all’altra , si dividevano il territorio fino a sconfinare oltre , in luoghi impervi popolati da esseri mai visti e sentiti.
La mia innata fantasia percorreva quei territori ormai non solo tuoi e li adornava graziosamente, donandoti finalmente un poco di allegria che si produceva per autocombustione , lo chiamano amore.
La nostra nemica dunque non è stata la tua pazzia nè la tua musica
E’ stata la droga. Quella che chiamano “leggera” e che miete vittime che non muoiono ma che restano appese ad un filo, quello della mente.
E’ stata lei a crearti la depressione e la schizofrenia , una canna. E poi i tso, gli psicofarmaci, e infine l’alcol che usavi come una sorgente rinfrescante nel vano tentativo di affrontare quel vortice nero che ti risucchiava e ti faceva annegare un poco per poi farti riemergere agonizzante.
Sei andato via per paura di farmi del male , lo so.
Ed io ti ho dimenticato. Ma quando sento un clarinetto suonare rivedo i tuoi capelli spettinati , quei grossi anelli tra le tue dita sui tasti e chissà perchè mi scappa sempre un “piantala di chiedermi un parere, lo sai che non me ne intendo! ”
..e ti rivedo mentre rispondi: -“ma io mi fido di te..”.
Non avresti dovuto; ti ho lasciato solo o meglio in compagnia di quella gran troia che se la fa con mezzo mondo e che non ami davvero ma che continui a usare e giustificare, giustificandoti, definendola “buona ed innocua” e che ha preso il posto tuo, mio, e quello di Dio.
Per questo glielo chiedo a Dio d’intromettersi ancora una volta , se fossi in Lui non mi arrenderei come abbiamo fatto noi. Che si prenda pure le nostre volontà e ne faccia quel che crede, glielo concedo. A patto che vinca e vinca alla grande.
E che si fotta il permissivismo e le ciarle sulla legalizzazione, io quella bastarda spacciata per cosa buona e giusta non la voglio tra i piedi, non la voglio tra i miei figli, tra i figli degli altri, e nemmeno tra i figli dei fiori, dei cannoni con i fiori, delle tombe con i fiori per i morti ammazzati da lei e tutte quelle come lei.
E si fotta anche il silenzio che si fa sulla questione, una volta la chiamavano “piaga” ora sembra quasi che la chiamino “soluzione”e mentre si ciancia di notiziucole spacciate per grandi eventi, lei , sorniona e astuta come un diavolo , si fa spacciare per buona.