Le Lettere di Sandokan – Invidia
«Lo sai perché invidi? Perché vuoi essere perfetto e non lo sei. E allora hai bisogno di dire che nessuno è perfetto (che poi sarebbe ovvio, ma perché lo dici sempre prima di mostrarmi qualche tua perfezione?) e hai anche bisogno che nessuno appaia ad altri migliore di te. Non è che ti importi molto della perfezione “assoluta”, che nessuno sa bene cosa sia: ti importa di più il fatto che nei tuoi mondi – quelli che abiti sforzandoti di costruirti addosso una identità che ti renda amabile, figo, brillante, buono … ognuno ha i suoi gusti – molti scelgano di stare con altri e non con te».
«Ma perché, tu non invidi? Sei perfetto tu?».
«No, non invidio. Ma non perché io sia perfetto. Non invidio perché non ho bisogno di essere perfetto per stare bene, cerco solo il piacere di una compagnia vera, se riesco a trovarla, sennò fa niente».
«Ma non sei cristiano tu? Non dice, il tuo Dio, che devi essere perfetto come è perfetto il padre tuo che è nei cieli?».
«E che cosa vuol dire essere perfetti come Dio? Lo sai quel è il punto, è che tu credi di saperlo, ti piace pensare che Dio sia ciò che tu vorresti essere (se solo avessi il coraggio di riconoscerlo davanti a te stesso!), perciò invidi Dio – anche se dici di amarlo, anche se parli sempre di lui. Ne parli per invidia e per timore che ti sgami: perché il tuo Dio è un Dio che sgama, non un Dio che ama».
«Quindi la tua perfezione consiste nel non aver bisogno di essere perfetto, nel non voler essere come Dio».
«Lo so che sembra superbia tutto questo. Non è “la mia perfezione”, è la mia realtà: io sono io e mi vado bene così. Però ti dirò di più. Non mi basta dire che io non voglio essere “come” Dio. Non voglio essere “come” nessun altro. Vorrei essere capace di amare qualcuno, ma non vorrei essere come te in nulla e vorrei che questo non ti offendesse. Io non mi offendo se tu non vuoi essere come me, anzi non vedo perché dovresti. Non sono spinto dalla mia natura ad imitare e non desidero essere imitato. Non condivido il desiderio di Adamo e, se un giorno sarò perfetto agli occhi di qualcuno, lo sarò proprio perché non ho mai avuto bisogno di esserlo: di questo ne sono convinto».
«E non è superbia tutto questo?».
«Senti, è superbo Adamo, che vuole essere come Dio, o sono superbo io, che non voglio esserlo? A me ha sempre colpito una frase di Agostino, che dice che l’uomo può desiderare solo quello che conosce. Adamo ha pensato di conoscere Dio e ha trascurato di conoscere se stesso. Non ha avuto fiducia in quello che era e neanche nel fatto che fosse stato Dio a crearlo. Il punto è che Dio non si può conoscere dal di fuori e conoscerlo dal di dentro vuol dire liberarsi dal bisogno di essere come gli altri e anche di essere come Dio».
«Ma Dio ci vuole perfetti nell’amore, perché lui è amore».
«Dio è amore … lo dici come se dicessi che Parigi è la capitale della Francia, come se avessi definito l’amore. Ma nessuno può parlare dell’amore senza esserci stato (e nessuno è mai stato nei miei amori), mentre di Parigi posso chiedere in giro. Non conosciamo l’amore però sappiamo che cosa sia l’odio. L’odio lo si può definire in astratto e si può provare ad arginarlo con delle norme.
Quando due persone si amano è come se incontrassero, assieme, una persona che non avevano mai incontrato prima, diversa da loro due. Questa persona è il loro amore. Sì ritrovano allora assieme, entrambi, in compagnia del loro amore, che è sì una persona nuova, ma non estranea perché esiste grazie a loro due. E’ questo l’amore trinitario vero, che ha qualcosa da dire alle vite di chi si ama e le cambia senza volerlo fare, per il semplice fatto che c’è. Non è il ‘mio’ amore, è il ‘nostro’ amore. E non bisogna ingannare facendo diventare nostro ciò che è solo mio, chiamando l’altro ‘il mio amore’ solo perché accetta di assecondare i miei bisogni di perfezione.
L’amore vero è ‘sponsale’ sempre, lo è perché ‘lascia’ le realtà di prima, senza abbandonarle. Soprattutto lascia i propri bisogni di perfezione, perché non si è più soli al mondo. Ciò che si lascia per amore, ritorna. Invece l’amore degli amanti che non lascia nulla, perché l’amante colma un bisogno, un bisogno di ‘aggiunge’ senza mai lasciare.
Sto parlando di desideri, di modo di essere. Non basta essere sposi per avere un amore sponsale, anzi ci sono matrimoni celebrati per trovare una sistemazione, in cui gli sposi sono in realtà amanti, come mentalità. E’ questo “lasciare”, questo amore sponsale che Dio ripaga con il cento per uno. Il cento per uno riguarda tutti, non chi rinuncia all’amore umano, come sento dire da qualcuno. Siamo uomini e abbiamo amori umani, ma uno può essere prete o monaca e non lasciare niente, non lasciare i suoi bisogni di perfezione, come fa un amante qualsiasi».
«Il demonio invidia Dio, questo è vero».
«Sì, lo invidia e gli sta vicino, perché l’invidia avvicina. Non riesco a capire come non si veda in tutto questo un collegamento con le piccole invidie degli uomini, col bisogno che molti hanno di essere famosi come Tizio, brillanti come Caio, belli come Sempronio, santi come Mevio».
«E anche il fatto che Tizio abbia bisogno di essere famoso, o Mevio abbia bisogno di essere santo si trasformerà presto in invidia, perché c’è sempre qualcuno che è più “famoso” o più “santo” di te, agli occhi di qualcun altro».
«Bravo: non è il “bisogno” di perfezione che mi perfeziona. Una prossimità fondata su questo tipo di bisogno, uccide. Mi sono accorto di una cosa. Ci sono persone che stanno bene solo se un altro ‘muore’. Sto parlando in senso metaforico – anche se a volte si uccide davvero – perché si può uccidere lasciando in vita … e poi per uccidere serve coraggio e non tutti hanno il coraggio di Caifa. A costoro non basta ‘non frequentare’ luoghi o persone che – a torto o a ragione – odiano: non devono esistere, perché il solo fatto che esistano – e che ridano lontano da loro – è come se avesse il potere di mettere in discussione la loro vita».
«E tu?».
«Non ho mai desiderato che ‘morisse’ nessuno».