
Rocco Buttiglione – Un bambino con due padri… e la madre?
Rocco Buttiglione scrive per il blog Come Gesù questa riflessione sull’ordinanza di Trento
Due omosessuali italiani tornano dal Canada con il loro bambino e ottengono una ordinanza della Corte di Appello di Trento che impone all’anagrafe di registrarlo come loro figlio, figlio di due padri. Noi comprendiamo la loro gioia e vogliamo essere loro vicini, come ci esorta a fare Papà Francesco. Gioiremo allora con loro? Sì, certo, ma… c’è qualcosa che avvelena la nostra gioia. Papa Francesco ci chiede di essere vicini a tutti gli uomini. La Chiesa vuole condividere il cammino è la speranza di ciascun essere umano e soprattutto di chi è più povero, di chi è emarginato ed oppresso. Qui ci sono due uomini (due maschi) ma non c’è la madre. Dov’è la madre? Tutti fanno le congratulazioni ai due padri e nessuno dice una parola sulla madre. Da qualche parte nel mondo c’è una donna che è rimasta priva del suo bambino. Di lei non parla nessuno, di lei nessuno si cura. Il suo punto di vista, il suo dolore e la sua disperazione non sono ascoltati, non sono rappresentati. Nessun giornale la intervista, nessuna televisione ci fa ascoltare la sua voce. È come se la madre non ci sia. Pure da qualche parte nel mondo c’è una donna che ha perso il suo bambino.
Ma, si potrebbe dire, questa donna ha rinunciato al suo bambino, se lo è venduto, ha incassato il prezzo pattuito, cosa può volere ancora? Ma è lecito vendere un bambino? Ed è lecito comprarlo?
È capitato che delle madri abbiano ceduto i loro figli per evitare loro un destino di miseria e di morte. Questo caso però è diverso: il bambino è stato generato per poter essere venduto.
Non è possibile nascondere un disagio. Citiamo un autore che certamente non è un bigotto cattolico (come me). Cosa direbbe Immanuel Kant, alfiere indiscusso dell’etica laica (quando i laici avevano un’etica)? Kant ci invita a considerare la persona, in noi stessi e negli altri, sempre anche come un fine è mai solo come un mezzo. La madre in questa vicenda appare sempre solo come un mezzo e mai anche come un fine. Il suo compito è solo quello di generare il figlio. Poi lo consegna a quelli che lo hanno comprato e scompare. È un mezzo per il soddisfacimento del desiderio della coppia che ha commissionato il bambino e poi lo ha pagato. Ed il bambino? Non è un mezzo anche lui?
E poi: quanto vale un bambino? Qual’è il prezzo giusto per la lacerazione nella vita della donna e del bambino che deriva dal fatto che egli ha dormito per nove mesi cullato dal cuore della madre, dalla quale adesso viene violentemente separato, ha visto e vede in lei tutto il suo mondo, che adesso per lui è perduto? Qualcuno ha tenuto conto del punto di vista e dell’interesse del bambino? Se potesse parlare forse ci direbbe che preferisce morire piuttosto che subire il dolore infinito di questa separazione ma non può parlare e, a quanto pare, il suo punto di vista per i giudici è irrilevante.
Qualcuno potrebbe obiettare che il bambino viene dal Canada e, secondo la legge canadese, la donna che conduce la gravidanza non ha titolo per ricevere un compenso. È però ben noto che questo non corrisponde alla realtà. C’è un traffico bene organizzato e sono pubblicizzate in rete le procedure e le tariffe. Ma anche se non ci fosse un corrispettivo economico non è lecito almeno il dubbio che la donna che cede il proprio bambino viva situazioni drammatiche di conflitto, magari inconsce, magari mascherate da motivazioni ideologiche, che la inducono ad acconsentire ad una inaccettabile strumentalizzazione del suo corpo è della sua femminilità?
Chi è l’emarginato qui? Chi è l’umiliato e l’offeso? La coppia felice dei nuovi “genitori” o la madre scomparsa ed il bambino che non ha voce? Noi vogliamo essere vicini alla coppia felice ma anche alla madre ed al bambino ed a questi ultimi anche di più, perché più soli, più emarginati, rigettati fuori della sfera della pubblica attenzione, ridotti a materiale di scarto che, quando non serve più, si butta via. I padroni della informazione illuminano un aspetto della realtà e ne rigettano un altro nell’ombra, per influenzare e strumentalizzare la pubblica opinione e condurla là dove essi hanno già deciso di andare. Non possiamo essere vicini alla coppia felice senza dirle che non è possibile costruire la propria felicità sulla ingiustizia o sulla indifferenza al dolore degli altri. Non è possibile costruire la propria felicità sulla menzogna. Alla base di questa ingiustizia c’è infatti la negazione di una verità evidente: i bambini nascono da un uomo e da una donna. Anche quel bambino è nato da una donna ma si è deciso di far finta che non sia così e, per sostenere questa menzogna, è stato necessario fare violenza alla donna ed al bambino.
La ordinanza della Corte di Appello di Trento, naturalmente, non introduce in Italia né l’adozione omosessuale né l’utero in affitto. La Corte di Appello di Trento ha solo conferito validità all’interno del nostro ordinamento giuridico ad un atto di una autorità canadese sulla base di un principio generale per il quale uno stato riconosce di regola la validità degli atti di altro stato.
A me sembra tuttavia che la Corte di Trento abbia sbagliato due volte.
La prima perché di regola uno stato riconosce la validità degli atti di un altro stato ma questa regola conosce delle eccezioni. Tradizionalmente si diceva che fanno eccezione quegli atti di uno stato estero che contraddicono l’ordine pubblico. Quello di ordine pubblico, però, è un concetto elastico e può cambiare nel tempo e quindi una cosa che contraddiceva l’ordine pubblico ieri può non contraddirlo più oggi e la Corte di Trento si sente autorizzata ad interpretare il concetto di ordine pubblico in un senso più ampio e liberale. A me sembra che la Corte di Trento sbagli perché il principio per cui il luogo della generazione è la famiglia fondata sulla differenza sessuale ha in Italia rango costituzionale, come ha detto chiaramente anche la Corte Costituzionale. La Corte di Trento riconosce di fatto una famiglia diversa da quella costituzionale. Uno dei due uomini è il padre biologico del bambino. L’altro è legato al bambino solo a causa del suo legame con il genitore biologico e prende simbolicamente il posto della madre. È la madre? Per la Corte non esiste, la Corte la cancella. Questo non è solo contro l’ordine pubblico, è contro la Costituzione.
Il secondo motivo per cui, a mio parere, la Corte di Trento sbaglia è per il modo in cui privilegia il rapporto con il bambino sulla genitorialità biologica. Intendiamoci: essere padre e madre non è solo un fatto biologico. Il generare biologicamente ed il prendersi cura educativamente si intrecciano fra di loro in molti modi ed ognuno di essi va valutato in modo appropriato. La genitorialità biologica non è però irrilevante.
Facciamo un esempio: immaginiamo che in uno stato dittatoriale gli oppositori vengano sistematicamente assassinati ed i loro figli dati in adozione alle famiglie dei loro assassini, che magari li amano e ne hanno cura. Al ritorno della democrazia i loro parenti avrebbero il diritto di chiedere la restituzione dei bambini? Sembra di sì.
Immaginiamo che un bambino venga rapito e cresciuto dal suo rapitore, ci sentiremmo di dire che il legame che si è costituito merita di essere riconosciuto anche se è viziato all’origine da un atto di violenza?
Anche nel caso che stiamo esaminando il legame si costituisce attraverso un atto illecito, violando il diritto della madre.
Ma, si potrebbe obiettare, il bambino così non rimarrebbe abbandonato? No. Uno dei due “padri” è comunque il padre biologico e nulla vieta anche all’altro di rimanere accanto al bambino e di averne cura senza occupare il luogo della madre riservandole, dopo averla esclusa dalla vita del bambino, anche questo ultimo oltraggio.