Blog / Sandokan | 07 Gennaio 2017

Le Lettere di Sandokan – Fatti così

«C’è tanta gente al mondo che è “fatta così”».
«E come è “fatta”?».
«Ah, io non lo so. E’ “fatta” così come è “fatta”. Ti guardano e ti dicono: “non posso farci nulla, sono fatto così”. Li invidio un po’. Pure io vorrei essere “fatto così”. Ti sembra giusto che io possa sempre “farci qualcosa” e loro no? E invece niente: io “non sono fatto così”».
«E come sei fatto?».
«Neanche questo so. Mi piacerebbe sinceramente sapere come sono fatto, perché metto un po’ a disagio il mio prossimo con la mia ignoranza. Forse. O forse sono soltanto io che mi sento a disagio per il fatto che gli altri sono “fatti così” e al mio disagio neanche ci badano».
«Non dovresti sentirti a disagio».
«Non ti ci mettere pure tu. Non dovrei, lo so. Ma “non sono fatto così”. Che ci posso fare? Anche quelli che “non sono fatti così” hanno i loro “non posso farci niente”. Se potessero farci qualcosa sempre, finirebbero ad assomigliare a quelli “fatti così” pure loro».
«Ma tu dici che è meglio “non essere fatti così”?».
«Non lo so se è meglio. Dico solo che se al mondo non ci fossero quelli che “non sono fatti così”, quelli che sono “fatti così” non se la passerebbero bene perché non saprebbero come sono fatti. O meglio, forse lo saprebbero, ma non gliene importerebbe nulla a nessuno. E invece io ci sono e mi fanno sentire in colpa. Perché vogliono stare con me, almeno così dicono, ma rimanendo “fatti così” e di come sono fatto io a loro importa poco. Mi accusano, pensa che assurdità, di volerli cambiare. Ma che ne so io come devono essere? Io dovrei “esserci”, ma come se non ci fossi, solo quando hanno un pensiero che non sanno a chi dire o un bisogno che non sanno a chi chiedere: dovrei entrare nella loro vita come se non avessi la mia, dovrei ascoltare i loro desideri senza mischiarli con i miei. Ti sembra giusto? Come faccio a sparire “restando”? Vogliono essere “una carne sola” con me – ti citano pure il discorso dell’unico corpo che ha varie membra – ma ho come l’impressione che la carne la mettano solo loro e a me tocca lo “spirito”. Ma secondo te, il fatto che io ci sia, qui con te, non deve per forza cambiare qualcosa in te? Per esempio su questa sedia dove sono seduto io tu non ti ci puoi sedere, anche se sei “fatto così”. Mi segui? Perché ci sono io che da qualche parte mi devo pur sedere. Non posso certo stare tutto il tempo in piedi perché tu “sei fatto così”, ti pare?».
«Mi sta venendo il mal di testa».
«Buon segno. La via della verità è una via dolorosa».
«Non so mai se scherzi o sei serio».
«Sono sempre serio, soprattutto quando scherzo».
«Ma dove vuoi arrivare».
«Quelli “fatti così” sono infelici. Ti voglio far capire questo. E quindi anch’io, che avevo cominciato questo discorso invidiando chi è “fatto così”, ho cambiato idea. Non è che quelli che “non sono fatti così” se la spassino, intendiamoci. Anzi, a prima vista, sembrano subire. Ma nascondono dentro di se come un principio di nobiltà: sanno di poterci fare sempre “qualcosa” anche se non sanno bene cosa. Ogni incontro ha il potere di cambiarli».
«Di nobiltà?».
«Sì. Ma tu non sai cosa sia la “nobiltà”. Tu sei borghese, non puoi capire».
«Mi devo offendere?».
«Decidilo tu. Non ti voglio offendere, voglio parlare di ciò che vedo. E ciò che vedo è un uomo che ha bisogno di “regole”, di muoversi in un contesto che gli dia sicurezze, di un uomo che sa “cosa si deve fare” e “cosa non si deve fare”, ma soprattutto sa “cosa si deve fare”».
«Perché? Tu non hai bisogno di regole?».
«Certo, ma non per sapere “cosa si deve fare”. Ne ho bisogno per non farti male. Invece il borghese vive in un mondo carico di “cose da fare” e “cose da non fare”. La nobiltà non ha regole di questo tipo, se non quelle che gli impone la sua coscienza, al nobile è tutto permesso: lui ha autorità, non chiede a nessuno “autorizzazioni” e non si aspetta da nessuno “consenso”. E’ padrone e, per questo, piuttosto insensibile al giudizio altrui. I “permessi” di cui il borghese ha bisogno sono invece spesso convenzioni sociali o, altrettanto spesso, abitudini a cui non crede davvero, ma che lo fanno sentire tranquillo, nel posto giusto. Un borghese si fa sempre i suoi conti ed è “schiavo” ogni giorno di un “sorriso”, di una “attenzione”, anche se i casi della vita lo posto a “governo” della vita degli altri. Anche i nobili attendono “sorrisi”, “attenzioni”, “gesti”, ma con una differenza: sanno aspettare».
«Voglio un mondo senza padroni».
«Bella frase. Ma il nobile, quello vero, quello a cui penso, non è uno scriteriato e non è certo padrone tuo o padrone del mondo: è padrone di sé. Per questo può essere ricco o può essere povero. La sua nobiltà sta nel fatto che non si pone mai il problema di farsi accettare dalla sua cultura. Il borghese invece semplicemente non esiste senza una cultura che lo accolga e in cui lui vuole vivere a tutti i costi. Tutti vivono in un contesto culturale, ma per un borghese la cultura è l’ossigeno. Quando Gesù dice che i cristiani non sono di questo mondo vuole liberarli da questo “ossigeno”, non portarli fuori dal mondo. Dice che non si vive così incatenati a una cultura, come se quella cultura fosse la nostra prigione. Dio ci vuole “nobili”: noi siamo re! E quindi quando qualcuno alza i suoi “sono fatto così” per non uscire dalla cultura che lo ha allevato e che lo rasserena gli si dovrebbe dire: no, non sei fatto così: tu sei re!».
«E perché, secondo te, il borghese è più infelice del nobile?».
«Perché se uno sta al “posto giusto” ed è infelice, davvero non ha speranza. E si vede, credimi, che non ne ha. Perché descrive la sua vita come dovrebbe essere quella di chi è al “posto giusto”, e parla di allegria senza gioia e sa dire parole di amore solo a Dio, solo seguendo la sua fantasia o inseguendo le parole degli altri, solo cambiando di tono, solo nei contesti adeguati, solo quando l’altro si aspetta di sentirle da lui.
Non mi fido di chi parla di bellezza come se sapesse dove sia, del borghese che vuole diventare “nobile” comprando “palazzi” e facendo lezione di “dizione”, oppure studiando “francese” o “teologia”. La bellezza si incontra per caso, dove uno non la cerca e non somiglia affatto a ciò che uno si aspetta di trovare. Gesù è bello? E’ bello come è bella la Palestina: è questione di “gusti”. Non è il più figo di tutti, Erode forse era più figo di lui, a passeggiarci sotto braccio per le strade del centro. E poi abitava in un gran palazzo, sapeva come si organizza una cena in piedi e conosceva almeno dieci tipi diversi di cocktail».