L’angolo del teologo – Il Natale e la Messa
Celebro la Messa più attentamente che posso nonostante l’abitudine di anni. Ieri sera ho preparato l’occorrente: le ampolline col vino e l’acqua, le ostie piccole nella pisside, l’ostia grande sul piattino dorato. L’ho appoggiato con cura sul calice. Ho preparato il messale e il lezionario, il campanello e il piattino della comunione.
Questa mattina mi sono rivestito con i paramenti viola del tempo di avvento. Entrando in cappella ho pensato all’intenzione per cui offrire la Messa, anche se ero un po’ distratto, non so perché.
Durante le letture il tempo è volato, già non me le ricordo. Non so perché ma sono ancora distratto, anche se adesso mi devo raccogliere perché è il momento della consacrazione del pane e del vino, entriamo nel cuore della Messa.
E invece sono sempre più distratto.
Allora decido di guardare in faccia la distrazione, che subito mi appare chiara: ancora una volta è Natale, ancora una volta già Natale. E io mi sento un po’ ipocrita a celebrare una Messa distratta, come se facessi finta.
Il fatto è che io proprio non ci riesco a fare finta di essere a Betlemme, a immaginarmi di essere lì vicino al bue e all’asinello, magari nei panni di un pastore o di San Giuseppe. Non riesco a “costruire un presepe nel mio cuore”, anche se ci ho provato tante volte in vita mia e talvolta, seppure per pochi minuti, ci sia anche riuscito. Non che mi manchi l’immaginazione, potrei dipingere mille scenari diversi di presepe, tutti e mille fedeli al testo del vangelo. Non che non sappia immaginare quali parole, quali silenzi, Maria rivolgesse al bimbo Gesù. Non che non riesca a provare stupore nel considerare che tutto un Dio è entrato in un bambino, che in Gesù il Verbo è diventato piccolo. Di questi pensieri io sono capace, ma il punto è che questi pensieri non sono capaci di essere me, appunto in quanto pensieri. A me convince solo la carne, soprattutto quando è la mia carne. Per questo il mio vangelo preferito sono le mie mani, per questo mentre pronuncio la preghiera eucaristica mi guardo le mani.
“Questo è il mio corpo”.
Ancora una volta nasce Gesù, proprio tra le mie mani.
Le mie mani sono il grembo di Maria, le mie mani sono la mangiatoia, le mie mani sono la grotta di Betlemme. Sono io Giuseppe che ci sta anche se non capisce, sempre io i Re Magi che hanno camminato tanto, ancora io i pastori invitati senza il vestito bello addosso.
La mia bocca è la bocca di Maria, che pronunciando il fiat ha fatto diventare carne il Verbo, e io sono al contempo il Verbo e la carne.
Io sono l’Erode crudele, sono l’albergatore spietato che non ha accolto il Messia, sono il passante superficiale che non si è fermato.
Io sono l’angelo messaggero dagli occhi luccicanti, sono il bue addormentato, sono l’asino buono solo a respirare.
Ma tutto quello che c’è qui davanti a me, Dio mio, è solo un piccolo pezzo di pane su un freddo piattino dorato. E’ pane azzimo, cioè senza lievito, ma soprattutto senza sale. E’ pane insipido e leggero, come me.
E finalmente sorrido, Gesù mio. Oggi ho poco sale, oggi mi sento scialbo, poco e leggero. Pensieri tristi che non se ne vanno (la stanchezza? Il cuore indifferente della gente? La tiepidezza ovunque? Io inutile accidente?).
Lascio Gesù nel tabernacolo, mi raccolgo e mi da pace il pensiero che almeno in questo ti assomiglio: scialbo, poco, leggero.
Luca Brenna è nato a Como nel 1970, ha tre sorelle, ha fatto il liceo al Giovio, è entrato a far parte dell’Opus Dei da ragazzo, ha vissuto a Firenze dal 1991 al 1999, dove si è laureato in Architettura e ha lavorato come architetto per pochi anni, si è trasferito a Roma nel 1999 per gli studi preparatori al sacerdozio, è stato ordinato sacerdote nel 2004 da Mons. Javier Echevarria recentemente defunto, ha esercitato il ministero sacerdotale a Roma prevalentemente nell’ambito della pastorale giovanile, ha la passione per le caricature, i funghi, la pesca e la montagna
Ricordo che sul blog Come Gesù chiunque ha la possibilità di scrivere delle Lettere di cui è e rimane l’unico responsabile.