Blog / Lettere | 22 Dicembre 2016

Le Lettere di don Sergio Fumagalli – Natale festa della famiglia

Nell’imminenza del Natale esprimo a tutti un sincero augurio di vivere felicemente e santamente  le prossime feste.
Propongo alle vostre riflessioni queste parole di San Josemaría tratte dall’omelia “Il matrimonio, vocazione cristiana”.

È Natale. Ritornano alla nostra mente i fatti e le circostanze che fanno da cornice alla nascita del Figlio di Dio, e il nostro sguardo si sofferma sulla grotta di Betlemme e sul focolare di Nazaret. Maria, Giuseppe, Gesù Bambino sono ora più che mai al centro del nostro cuore. Che cosa ci dice, che cosa ci insegna la vita semplice e meravigliosa della Sacra Famiglia?

Fra tante possibili considerazioni, ora voglio farne soprattutto una. La nascita di Gesù significa, come riferisce la Scrittura, la realizzazione della pienezza dei tempi (cfr Gal 4, 4), il momento scelto da Dio per manifestare in maniera completa il suo amore agli uomini, donandoci il proprio Figlio. La volontà divina si compie in mezzo alle circostanze più normali e comuni: una donna che partorisce, una famiglia, una casa. L’onnipotenza divina, lo splendore di Dio, passano attraverso l’umano, si uniscono all’umano. Da allora noi cristiani sappiamo che, con la grazia del Signore, possiamo e dobbiamo santificare tutte le realtà oneste della nostra vita. Non c’è situazione terrena, per quanto piccola e ordinaria possa sembrare, che non possa essere occasione di un incontro con Cristo e una tappa del nostro cammino verso il Regno dei Cieli.

Riporto inoltre qui sotto altri tre brani della stessa omelia:

“Il matrimonio cristiano non è una semplice istituzione sociale, né tanto meno un rimedio alle debolezze umane: è un’autentica vocazione soprannaturale. Sacramento grande in Cristo nella Chiesa, dice san Paolo (cfr Ef 5, 32) e, al tempo stesso, contratto che un uomo e una donna stipulano per sempre, perché — lo si voglia o no — il matrimonio istituito da Cristo è indissolubile: segno sacro che santifica, azione di Gesù che pervade l’anima di coloro che si sposano e li invita a seguirlo, perché in Lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra.
Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione. Commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa. La vita famigliare, i rapporti coniugali, la cura e l’educazione dei figli, lo sforzo economico per sostenere la famiglia, darle sicurezza e migliorarne le condizioni, i rapporti con gli altri componenti della comunità sociale: sono queste le situazioni umane più comuni che gli sposi cristiani devono soprannaturalizzare.
La fede e la speranza si devono manifestare nella serenità con cui si affrontano i problemi piccoli o grandi che sorgono in ogni famiglia e nello slancio con cui si persevera nel compimento del proprio dovere. In tal modo, ogni cosa sarà permeata di carità: una carità che porterà a condividere le gioie e le eventuali amarezze; a saper sorridere dimentichi delle proprie preoccupazioni per prendersi cura degli altri; ad ascoltare il proprio coniuge e i figli, dimostrando loro che li si ama e li si comprende davvero; a superare i piccoli attriti che l’egoismo tende a ingigantire; a svolgere con un amore sempre nuovo i piccoli servizi di cui è intessuta la convivenza quotidiana.
Si tratta di santificare giorno per giorno la vita domestica, creando con l’affetto reciproco un autentico ambiente di famiglia. Per santificare ogni giornata si devono esercitare molte virtù cristiane, quelle teologali in primo luogo, poi tutte le altre: la prudenza, la lealtà, la sincerità, l’umiltà, la laboriosità, la gioia…Parlando del matrimonio e della vita coniugale, è necessario cominciare con un riferimento chiaro all’amore umano.” n. 23

“L’amore puro e limpido degli sposi è una realtà santa che io, come sacerdote, benedico con tutte e due le mani. La tradizione cristiana ha visto frequentemente nella presenza di Gesù alle nozze di Cana una conferma del valore divino del matrimonio: Il nostro Salvatore si recò a quelle nozze — scrive san Cirillo d’Alessandria — per santificare il principio della generazione umana (SAN CIRILLO D’ALESSANDRIA, In Ioannem commentarius, 2, 1 [PG 73 223]).
Il matrimonio è un Sacramento che fa di due corpi una sola carne. La teologia afferma con forte espressione che la sua materia è costituita dal corpo stesso dei contraenti. Il Signore santifica e benedice l’amore del marito verso la moglie e quello della moglie verso il marito: ha disposto non solo la fusione delle loro anime, ma anche dei loro corpi. Nessun cristiano, sia o no chiamato alla vita coniugale, può quindi disprezzarla.
Il Creatore ci ha dato l’intelligenza, quasi una scintilla dell’intelletto divino che ci consente — assieme alla libera volontà, altro dono di Dio — di conoscere e amare; e ha posto nel nostro corpo la capacità di generare, partecipandoci il suo potere creatore. Dio ha voluto servirsi dell’amore coniugale per donare al mondo nuove creature e accrescere il corpo della sua Chiesa. Il sesso non è una realtà vergognosa, ma un dono divino ordinato schiettamente alla vita, all’amore, alla fecondità.
Questo è il contesto, lo sfondo in cui si colloca la dottrina cristiana sulla sessualità. La nostra fede non disconosce nulla di quante v’è di bello, di generoso, di genuinamente umano sulla terra. Ci insegna che la regola del nostro vivere non deve essere la ricerca egoistica del piacere, perché solo la rinuncia e il sacrificio portano al vero amore: Dio ci ha amati e ci invita ad amarlo e ad amare gli altri secondo la verità e l’autenticità con cui Egli ci ama. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà (Mt 10, 39): è questo l’apparente paradosso del Vangelo.
Le persone continuamente preoccupate di se stesse, che agiscono cercando innanzitutto la propria soddisfazione, mettono in pericolo la loro salvezza eterna, e già in questa vita sono inevitabilmente infelici. Può essere felice sulla terra, di una felicità che è preparazione e anticipo del Cielo, solo chi dimentica se stesso — nel matrimonio come in ogni situazione — e si dedica a Dio e agli altri.
Durante la nostra vita sulla terra, il dolore è la pietra di paragone dell’amore. In modo plastico potrei dire che nel matrimonio c’è un dritto e un rovescio. Da una parte, la gioia di sapersi amati, l’entusiasmo di edificare e di consolidare una famiglia, l’amore coniugale, la consolazione di veder crescere i figli. Dall’altra, dolori e contrarietà, il trascorrere del tempo che logora i corpi e minaccia di inacidire i caratteri, l’apparente monotonia dei giorni che sembrano sempre uguali.
Avrebbe un ben povero concetto del matrimonio e dell’affetto umano chi pensasse che, nell’urto contro queste difficoltà, l’amore e la gioia vengano meno. È proprio allora, invece, che i sentimenti che animavano quelle creature rivelano la loro vera natura, che la donazione e la tenerezza si rafforzano e si manifestano come affetto autentico e profondo, più potente della morte (cfr Ct 8, 6).” n.24

“Questa autenticità dell’amore richiede fedeltà e rettitudine in tutti i rapporti matrimoniali. Dio — commenta san Tommaso d’Aquino (cfr S. th. I-II, q. 31 e II-II q. 141) — ha unito alle diverse funzioni della vita umana un piacere, una soddisfazione; quindi, questo piacere e questa soddisfazione sono buoni. Ma se l’uomo, invertendo l’ordine delle cose, cerca tali sensazioni come valore ultimo, disprezzando il bene e il fine a cui devono essere connesse e ordinate, le perverte, le snatura, trasformandole in peccato o in occasione di peccato.
La castità — che non è semplice continenza, bensì affermazione decisa di una volontà innamorata — è una virtù capace di conservare la giovinezza dell’amore in qualunque stato di vita. Vi è la castità di coloro che sentono il destarsi della pubertà, la castità di coloro che si avviano al matrimonio, la castità di chi è chiamato da Dio al celibato, la castità di chi è già stato scelto da Dio per vivere nel matrimonio.
Come non ricordare le parole energiche e chiare tramandateci dalla Vulgata, con le quali l’arcangelo Raffaele ammonisce Tobia prima delle nozze con Sara? Ascoltami — dice l’angelo — e ti mostrerò chi sono coloro contro i quali può prevalere il demonio. Sono quelli che abbracciano il matrimonio in modo tale da escludere Dio da sé e dalla loro mente, e si lasciano trascinare dalla passione come il cavallo e il mulo, che sono privi di intelletto. Su costoro ha potere il diavolo (Tb 6, 16-17).
Non c’è posto per un amore schietto, sincero e felice quando nel matrimonio non si vive la virtù della castità, che rispetta il mistero della sessualità e lo ordina alla fecondità e alla donazione. Io non parlo mai di impurità ed evito sempre di scendere in casistiche morbose e senza senso; ma di castità e di purezza, di affermazione lieta dell’amore, ho parlato moltissime volte, e devo parlarne.
In tema di castità coniugale, esorto gli sposi a non temere di esprimersi l’affetto; anzi, devono farlo, perché questa inclinazione è la base della vita famigliare. Quello che il Signore chiede loro è il rispetto reciproco, la mutua lealtà, un comportamento improntato a delicatezza, a naturalezza, a modestia. Vi dirò anche che i rapporti coniugali sono decorosi quando sono prova di vero amore e, quindi, sono aperti alla fecondità, ai figli.
Chiudere le fonti della vita è un delitto contro i doni che Dio ha concesso all’umanità, è un segno evidente che è l’egoismo e non l’amore a ispirare la condotta. Allora la vita cristiana si intorbida, perché i coniugi finiscono per guardarsi come complici: e nascono i dissensi che, di questo passo, divengono quasi sempre insanabili.
Quando l’amore è ravvivato dalla castità coniugale, la vita matrimoniale è espressione di una condotta autentica, e marito e moglie si comprendono e si sentono uniti. Se invece il bene divino della sessualità si perverte, allora l’intimità si distrugge, e l’uomo e la donna non sanno più guardarsi serenamente negli occhi.
Gli sposi devono costruire la loro convivenza su un affetto sincero e limpido e sulla gioia di mettere al mondo i figli che Dio dà loro la possibilità di avere, sapendo all’occorrenza rinunciare a comodità personali e avendo fede nella Provvidenza divina. Formare una famiglia numerosa, se tale è la volontà di Dio, è una garanzia di felicità e di efficacia, checché ne dicano i tristi fautori di un cieco edonismo.” n. 25

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Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito