Le Lettere di Sandokan – Una storia semplice
“Tu lo sai che per me sei Santo?”.
Che pensereste voi se vi capitasse di leggere una cosa del genere, su WhatsApp, di prima mattina? Vi confesso che lui era un po’ imbarazzato. Tra l’altro “Santo” era scritto con la “S” maiuscola. Vabbè, forse era stato il correttore a deciderlo, non era stata una cosa intenzionale. Tuttavia anche “santo” scritto minuscolo era impegnativo.
Se glielo avesse detto un passante, magari dopo averlo aiutato ad attraversare la strada, avrebbe potuto rispondere, modestamente, che era “solo un peccatore”, pieno di difetti e che aveva fatto quello che avrebbero fatto tutti al posto suo. E sarebbe stato pure vero (tra l’altro avrebbe fatto un figurone: la modestia esibita, in occasioni come questa, quando ti rifilano frasi del genere, è una convenzione sociale).
Ma non era un passante. Non gli avrebbe mai mentito su una cosa del genere. Neanche per ringraziarlo di qualcosa.
Ha risposto così: “non so se sono santo”. Gli è sembrata l’unica cosa da dire. E’ stato sincero. L’ha scritto pure con la “s” minuscola. Ma mentre lo scriveva, non sa neanche spiegarsi bene il perché, ha cominciato a desiderare che le parole che aveva letto fossero vere per lui.
Il suo primo rapporto con la “santità”, con la parola “santità”, è vecchio di trent’anni. Di santi ne aveva conosciuti tanti negli anni dell’adolescenza: negli affreschi delle chiese, nei discorsi dei preti e nelle labbra di sua nonna. Erano “santi” di tutti, a cui tutti rivolgevano le stesse preghiere e che tutti andavano a venerare negli stessi luoghi. Non ebbe mai l’impressione che facessero molto caso a lui. Avevano tanta gente attorno.
Poi, un giorno, un quasi estraneo chiese a lui se voleva essere “santo”. Si vedeva chiaramente che al momento, per costui, non era già “santo”. D’altra parte lo conosceva appena. Però poteva diventarlo, se solo avesse voluto, se si fosse sforzato di cambiare. Questo gli voleva suggerire.
Che domande a volte ti fanno! Voi che cosa gli avreste risposto? Quel po’ di formazione cristiana che aveva gli suggeriva che non poteva certo dirgli di “no”. Non era il caso. Non ci avrebbe fatto una belle figura.
Però dire “sì” non gli andava. Ossia, non è che proprio non gli andasse, diciamo meglio che non era una cosa che lo entusiasmasse. Se lo avessero invitato a una finale di Champions sarebbe stato diverso. Ma può un cattolico apostolico romano dire di “no” a una proposta del genere? Non può e allora finì anche lui per rispondere di “sì”, cercando poi, nel tempo, di farsi venire un entusiasmo che non aveva, ma che sembrava avessero in tanti attorno a lui. Si inserì così nel corteo degli aspiranti santi, tentando la sorte, arruolandosi in battaglia, sperando in un futuro migliore.
Parlò, da quel giorno, tante volte di santità, esplorando con i suoi discorsi tutte le buone ragioni che lo spingevano a rinnovare quel primo “sì”, un po’ sbilenco, che aveva pronunziato anni prima. Però quella domanda, quel “vuoi essere santo?”, gli è rimasta sempre in testa. Non proprio la domanda forse, ma la sua risposta che non aveva il tono giusto, non per lui.
Poi improvvisamente un bel giorno gli arriva un WhatsApp al quale risponde come gli viene meglio, al momento, e si sente ribattere così: «Sei Santo. Lo so che hai difetti, ma per me santo non vuol dire senza difetti. Per me santo vuol dire persona che sento mia. Sei santo per me».
Non so descrivere la gioia che provò in quel momento. La serenità. Anni di pensieri cancellati. Perché lui amava la persona che lo voleva per sé e che non era obbligata da nulla, da nessuna promessa, a volerlo.
E allora è stato facile rispondere con un entusiasmo che credeva di non poter avere più: «Allora sì, sono Santo, sono per te».
E Dio? C’è Dio in questa storia? C’è la suo volontà? Ci sono le virtù da vivere? I comandamenti da rispettare? I sacramenti da ricevere? La necessità di pregare? La conversione del cuore? Il sacrificio? La penitenza? Il prossimo da amare? Può essere abbastanza essere santo soltanto per uno, per uno come lui, che non era certo Dio?
Non è che sapesse rispondere a queste domande. A lui però sembrava che Dio fosse in quella gioia che aveva provato a dire di sì e che attraverso quel sì a una persona simile a lui, fosse obbligato a passare tutto il suo amore per gli altri. Gli sembrava che se avesse amato lei sul serio, per sempre, avrebbe poi amato tutti, perché quell’amore sarebbe stato la misura di ogni altro amore. Non avrebbe detto a nessuno “ti amo”, mai più, a nessuno che non avesse amato come amava lei.
Parlò poi un po’ con Gesù, per provare a spiegargli che lo amava meno di quanto amasse lei. Era un po’ preoccupato. Ma poi qualcosa lo rasserenò. Non è che abbia sentito voci, ma è come se gli si fosse fissato nella mente questo pensiero: “tu non mi devi amare più di lei, tu la devi amare con me, come la amo io … e così sarà tua, perché il mio amore per lei te la donerà per sempre”.
E quindi si ritrovò santo, da vivo, un santo piccolo piccolo, con un solo devoto, che era tutto il suo amore: una persona a cui avrebbe sempre voluto dar ragione e a cui sempre avrebbe voluto dire la verità, tutto assieme. E avrebbe voluto che sorridesse e che godesse della vita perché godeva di lui.
Un lavoro duro, perché lei non si meritava tutto questo e neanche lui lo avrebbe saputo dare. Ma ci voleva provare.
Ha cominciato a essere santo da quel giorno, per lei: speriamo sia all’altezza del suo desiderio e che Dio lo aiuti.