Blog / Scritti segnalati dal blog | 24 Luglio 2016

Luigino Bruni – Bisogna imparare di nuovo a donarsi: il lievito e l’arte dell’impasto

“Il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt’intorno accanto ad esse. (…) Mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. (…) Lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi” – Ezechiele 37,1-10

Perché la nostra vita in comune sia buona e felice è necessario saper tenere assieme realtà diverse e opposte tra di loro. Creare alleanze improbabili e imprevedibili tra persone e dimensioni che il buon senso vorrebbe tenere separate e lontane. Le parole, non semplici, “carisma” e “istituzione”, dicono qualcosa di questa natura dialogica e conflittuale della vita buona.
Carisma e istituzione sono princìpi, qualcosa di analogo ai “principi attivi” degli enzimi. Quando il “principio istituzione” e il “principio carisma” sono assenti, il pane non lievita, il latte non diventa formaggio per assenza del caglio. Le istituzioni senza la gratuità e l’eccedenza del carisma-charis diventano luoghi disumani, asfissianti, brutti e tristi; e se l’esperienza carismatica non è sorretta da strutture e regole, non riesce a durare nel tempo, si sfalda ed evapora. Istituzioni e carisma sono co-essenziali come carne e ossa, spirito e corpo, intelligenza delle mani e della mente. Co-essenziali e diversi. L’istituzione è adulta, forte, gerarchica, maschile. Il carisma è giovane, debole, fraterno, femminile. L’istituzione è Pietro, il carisma è Maria. L’istituzione è e deve essere prudente. Il carisma è e deve essere imprudente. L’istituzione è avversa al rischio, il carisma lo ama. L’istituzione conserva, il carisma innova. L’istituzione ricorda e mantiene, il carisma dimentica e cambia. L’istituzione preserva dalla morte, il carisma genera e rigenera nuova vita. Senza gratuità non si può vivere, si può solo sopravvivere. Senza charis, il pane è sempre azzimo. Le nostre nonne custodivano il lievito madre donando un pugno di pasta lievitata al vicino, che lo impastava con nuova farina e poi lo ridonava loro l’indomani, e tutti potevano far lievitare nuova pasta. Il circuito meraviglioso della reciprocità del pane.
Per comprendere la logica e la funzione preziosa del principio carismatico è utile pensarlo come una continuazione del principio profetico, che troviamo centrale e forte nella Bibbia ebraica e cristiana, ma anche in altri grandi testi fondativi delle religioni e delle civiltà, e, con tratti specifici e splendidi, nella vita e nell’azione di grandi poeti, scrittori, artisti. Se leggiamo la Bibbia e la storia umana da questa prospettiva, ci accorgiamo subito che i destinatari della profezia sono principalmente i potenti, i forti, i re, il tempio, le istituzioni religiose e politiche. I profeti arrivano per la conversione di chi detiene un potere.
Quando i profeti mancano, o vengono zittiti, le istituzioni si chiudono su se stesse, dimenticano i poveri, li calpestano, li vendono, li opprimono, e diventano strutture che alimentano i privilegi e le rendite dei ricchi e dei potenti. Quella profetica è sempre una parola concreta e storica. Parla sempre nel presente, anche quando è stata scritta millenni fa, anche se il modo più normale e frequente per disinnescare la potenza della profezia è pensare che non sia rivolta a noi qui ed ora. Quando Gesù nel Vangelo di Matteo condanna gli “scribi e i farisei ipocriti”, non capiamo la forza di quella parola se dimentichiamo che gli “ipocriti” erano i capi delle comunità cristiane per le quali scriveva Matteo (non solo quelli del tempo di Gesù). Erano i responsabili delle prime chiese della fine del primo secolo, che già iniziavano a farsi chiamare “rabbi” e “maestro”, come tutti i capi di tutte le comunità quando spengono i profeti. La parola profetica ci converte e ci salva solo se sentiamo che è detta e scritta per noi, per me.
Il profilo profetico non si esprime solo nelle parole dei profeti. Lo ritroviamo nella vita e nelle parole di molti personaggi biblici e libri. Giobbe, Qohelet, Ruth, Il Cantico, i Salmi, Davide, l’Apocalisse, molte lettere di Paolo, contengono pagine profetiche che si aggiungono alle parole dei libri profetici – che, a loro volta, non contengono soltanto parole profetiche. Il principio profetico non coincide con l’attività dei profeti né tantomeno con l’insegnamento dei profeti. È di più e di meno: ci sono parole profetiche non dette da profeti, e ci sono parole dei profeti che non sono profetiche.
Qualche volta la profezia è un’esperienza collettiva, coinvolge più persone. Attorno al profeta si formano comunità, e/o più profeti condividono la stessa vita. Un fenomeno profetico particolarmente rilevante sono le comunità e i movimenti carismatici, che si formano attorno a una o più persone portatrici di carismi, spirituali, politici, civili, culturali, artistici. Queste realtà collettive hanno la caratteristica specifica di identificarsi completamente con la funzione carismatico-profetica. Il rischio inevitabile di tali comunità e movimenti carismatici sta allora nel non riconoscere che anche al loro interno, e fin dal loro sorgere, il carisma convive con l’istituzione. Il carisma produce naturalmente, e necessariamente, le sue istituzioni, che per restare generative e autenticamente carismatiche devono continuamente riconvertirsi al carisma originario, riconoscendo e valorizzando i loro profeti. Ma essendo “profeti per vocazione e missione”, le comunità carismatiche non sentono il bisogno di accogliere e valorizzare i profeti che nascono nel loro seno, e in genere li combattono come falsi profeti. E così iniziano il loro declino, perché una istituzione carismatica non diventa una “istituzione e basta” solo se è capace di dar spazio al suo interno a chi è portatore della dimensione profetica. I luoghi, paradossalmente, meno ospitali per i profeti sono le comunità profetiche dove sorgono. Nessuno è profeta in queste patrie, perché l’istituzione assorbe in se stessa ogni dimensione profetica, diventa monopolista del principio carismatico, e non sente il bisogno della critica carismatica interna.
I saggi governi carismatici sanno ospitare figure non allineate e critiche, riconoscendo loro un ruolo co-essenziale. Li vedono come provvidenza e salvezza, e accolgono le critiche che da essi necessariamente provengono. Sapendo e imparando che accanto al grano buono dei profeti ci sarà sempre la zizzania dei falsi profeti.
L’istituzione scrive statuti e regolamenti sempre più dettagliati; il carisma li cambia, li trasforma, li semplifica. Quando il governo delle comunità carismatiche è composto soltanto da persone totalmente allineate con la visione e la parola dell’istituzione (cosa che accade quasi sempre), queste realtà perdono drammaticamente profezia e generatività. La prudenza imbriglia la profezia e l’innovazione, le regole e le parole di ieri diventano camicie di forza del domani.
La qualità più preziosa di chi governa comunità carismatiche è la capacità di individuare i profeti sparsi nelle periferie, e dare loro spazio e ascolto, rinunciando al consenso incondizionale e all’assenza di critiche. È il dissenso, e persino una naturale dose di conflittualità, che dice la presenza del carisma nelle istituzioni, in particolare di quelle carismatiche.
Come ogni voce profetica, il primo compito vocazionale di queste voci è prevenire e combattere la malattia dell’idolatria, che si verifica naturalmente quando nelle istituzioni carismatiche viene meno o viene soppressa la voce profetica. La prima e inevitabile tentazione di tutti i profeti è identificare la propria voce con quella di YHWH, perdere la coscienza che soltanto alcune tra le parole che pronunciano sono diverse, e che tutte le altre sono come le parole di tutti.
Nei rari casi in cui i profeti sono lasciati vivere e operare dentro le comunità, si può compiere l’autentico miracolo della resurrezione del carisma originario. Le istituzioni che custodiscono un carisma, tendono naturalmente a diventare dei sepolcri contenenti gli scheletri del primo evento profetico. Possono far di tutto per tenerne vivo il ricordo e la memoria di ieri, ma restano culti funebri. Senza le resurrezioni i morti restano nelle loro tombe, è la legge di ogni vita. L’unica buona elaborazione del lutto del carisma originario dei fondatori è la sua resurrezione. Nuova carne, nuovo sangue, muscoli, nervi, che ridonano un nuovo corpo al primo corpo diventato scheletro. Ogni generazione deve operare la sua resurrezione degli antichi e nuovi scheletri. Ma solo l’imprudenza dei profeti è capace di far diventare il pugno di massa lievitata ereditato dai padri un pane moltiplicato per sfamare le masse affamate di oggi.
La profezia è capace di operare tutto questo, sa alitare lo spirito sulle ossa degli scheletri per farle tornare in vita. Senza la profezia le esperienze carismatiche hanno di fronte soltanto due tristi destini: o si concludono con la morte dei loro fondatori, o diventano semplici istituzioni che ricordano qualcosa che non c’è più – come una fotografia di una festa o un amico lontani. Perché i sepolcri possano svuotarsi, e la foto prendere sangue e carne, c’è bisogno soltanto e semplicemente di profeti.
Ma c’è anche una notizia bellissima: i profeti ci sono, anche se è difficile trovarli. Come lo spirito, la parola profetica soffia dove e quando vuole. Non si lascia ingabbiare dai mestieri, sfugge al buon senso. Si trova in luoghi improbabili. Nel canto di Miriam oltre il Mar Rosso, nell’Asino di Balaam, nel vecchio Simeone, e soprattutto in molti gesti muti. Le parole profetiche più vere vivono tra i poveri, i piccoli, gli ignoranti, tra gli scartati, i disperati e i falliti, sulla bocca delle madri, al capezzale dei moribondi. Per incontrare i profeti di cui abbiamo tutti un immenso bisogno dobbiamo solo cercarli dove non dovrebbero essere. Implorarli di alitare la parola sopra le nostre ossa. E poi imparare a risorgere.

Tratto da Avvenire