Amoris Laetitia / Blog | 05 Giugno 2016

Anne-Marie Pelletier – L’esortazione «Amoris laetitia». Nel modo di Gesù

Il grande clamore dei media aveva ridotto le sfide del sinodo sulla famiglia ad alcune questioni disciplinari incentrate sullo statuto dei divorziati risposati e sull’accoglienza degli omosessuali. Questo clamore si è però attenuato subito dopo la pubblicazione dell’esortazione Amoris laetitia. Certo, il Papa non elude l’urgenza dei nodi appena ricordati, ma li affronta con calma e saggezza, prendendo il tempo necessario per interrogare a fondo la vita coniugale e familiare, con la sua complessità e le sue sfide, a livello planetario. C’è di che scoraggiare i media a caccia di slogan e scoop. Questo documento, invece, deve oggi mobilitare i lettori cristiani. È necessario che essi valutino il testo, s’impegnino nella sua lettura e lo mettano in pratica nella vita delle loro comunità.
Una prima osservazione: Amoris laetitia non è semplicemente un testo, ma si afferma come avvenimento della Chiesa, atto di parola che, per sua natura, costituisce un avvenimento, nel senso che vi si esprime con una forza nuova la Chiesa così come Dio la vuole e la fa esistere. Se, in effetti, questo testo magisteriale rientra nel genere tradizionale dei testi postsinodali, è stato formulato al termine di una storia un po’ più complessa del solito. Come ben si sa, questo sinodo si è sviluppato in due tappe. Si è dunque preso il suo tempo. È stato inoltre preceduto da una vasta consultazione dei battezzati di tutto il mondo. Ha saputo così onorare quella realtà teologica ed ecclesiologica che è il sensus fidei, di cui la Commissione teologica internazionale ha ricordato nel 2014 la dignità e la necessaria presa in considerazione nel lavoro teologico e nell’elaborazione di una pastorale.
Oltretutto, questo sinodo costituisce un avvenimento per il posto che riconosce a una vera collegialità ecclesiale. Quest’ultima è indubbiamente stata all’origine della riflessione dei padri sinodali, ma fa ormai parte dell’esercizio dell’accompagnamento pastorale. Proprio in nome della loro ordinazione episcopale, i vescovi ricevono la responsabilità del discernimento, che deve permettere alle comunità cristiane di vivere, con rettitudine e serenità, i problemi che i loro membri affrontano. È così che questo sinodo fa esistere la Chiesa un po’ diversamente, nel senso che le permette di essere un poco di più ciò che è nella sua identità profonda, così come la presenta la costituzione conciliare Lumen gentium.
Altra caratteristica rilevante: senza nulla togliere alla grande teologia sacramentale che collega il matrimonio al «grande mistero» presente in Efesini (5, 32), Amoris laetitia presta attenzione alle condizioni concrete della vita coniugale e familiare, che sono proprio la realtà nella quale il «grande mistero» è chiamato a incarnarsi. Il Papa rifiuta le comodità di una parola che si terrebbe a distanza dalla complessità concreta della vita. In tal modo non ignora la realtà dei matrimoni sacramentali che falliscono, fino a giustificare una separazione. Pur celebrando l’amore tra un uomo e una donna come luogo eminente della felicità e della benedizione, prende atto (cfr. n. 143) di quanto vi è di desiderio, ma anche di opacità, e tanto spesso anche di violenza, in una relazione coniugale, dove la sessualità, in particolare, si comprende a volte come “meraviglia”, “enigma”, e “deviazione”, secondo le parole del filosofo Paul Ricoeur. Di fatto, è questa la condizione umana che Dio visita, quella che si presenta nelle Scritture a partire dalla Genesi fino agli incontri di Gesù nei vangeli con uomini e donne più di una volta in situazione “irregolare”. È questa umanità ad attirare lo sguardo di Gesù, la sua compassione, poiché è a essa che la salvezza viene offerta, per la sua vita e la sua felicità.
Ma è ancora questa umanità che Gesù sottrae all’annientamento di una legge che ricade bruscamente su vite difficili, talvolta addirittura caotiche. L’esegeta Paul Beauchamp amava ricordarlo: «La legge è preceduta da un “sei amato” e seguita da un “amerai”. “Sei amato”, fondazione della legge, e “amerai”, il suo superamento». E aggiungeva: «Chiunque astrae la legge da questo fondamento e da questo fine, amerà il contrario della vita, fondando la vita sulla legge invece di fondare la legge sulla vita ricevuta». Ecco esattamente cosa guida la parola di Papa Francesco, quando ricolloca la vita coniugale e familiare secondo le esigenze della loro verità divina e insieme sotto la luce della misericordia.
Il suo appello al discernimento e all’integrazione trova lì la sua origine. Allo stesso modo va vista la sua insistenza sul tempo e le sue scadenze, sulla pazienza. Pazienza, che è innanzitutto quella di Dio e che è poi all’origine della vita umana, e ancora di più della vita spirituale, dunque della vita cristiana, quando quest’ultima è una relazione autentica con Dio e non un conformismo morale.
Con queste premesse si comprende l’appello al discernimento contenuto in Amoris laetitia. Il tono del testo è personale, con formule segnate dalle espressioni tipiche di Papa Francesco («la Chiesa non è una dogana»), ma il proposito non è inedito. L’esigenza di uno «sguardo differenziato» è presente anche in Benedetto XVI ed è ampiamente legittimata dalle analisi di Tommaso d’Aquino, anch’egli citato (cfr. n. 304, «quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione»).
Si tratta dunque di prendere atto che le situazioni problematiche vanno ben al di là di ciò che appare esteriormente e che attira il giudizio. Gli atteggiamenti di Gesù nei vangeli sono guidati da questa verità. Lui vede quanti incrociano il suo cammino, al di là di quello che vedono gli altri. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca» pensa dentro di sé Simone, il fariseo testimone del gesto di riverenza e di tenerezza della donna che si getta ai piedi di Gesù (cfr. Luca, 7, 36-50). Ma, proprio perché è profeta, e più di un profeta, Gesù “vede” quella donna come nessuno l’aveva ancora vista. E fa di lei, per Simone, un riferimento esemplare.
Entrare in un simile sguardo, preoccuparsi di vedere come Dio vede, è chiaramente molto più impegnativo che valutare la conformità o la non conformità a una norma. C’è da scommettere che il capitolo 8 dell’esortazione che invita i pastori all’esercizio del discernimento, metta spesso questi ultimi in imbarazzo. Ma se si prova imbarazzo è perché le nostre vite, quelle dei nostri amici, degli esseri umani in generale, sono una miscela di bene e di male, perché a volte implicano l’inestricabile che non può essere se non un appello di Dio e del suo potere di guarigione e di ricreazione.
È altresì chiaro che adottare una simile pratica pastorale esige prossimità, dialogo personale e il rischio della decisione presa davanti a Dio, con la preoccupazione di far fruttificare i talenti della misericordia affidati dal padrone nella parabola di Matteo (25, 14-30). E stavolta è il senso stesso della delega dell’autorità ai vescovi e, attraverso di loro, a quanti li assistono, a trovare la sua giustificazione. Non si tratta quindi di una diluizione della verità morale o di una flessione del ministero di Pietro, ma di una pratica pastorale esigente, che integra l’appello alla santità e l’esperienza della debolezza. Il tutto nella fiducia che non esiste nessun fallimento, nessuna situazione persa, o addirittura semplicemente “irregolare” che non possa trovare in Dio il suo superamento e, nel giorno finale, la sua trasfigurazione. In una parola, si tratta di mettere in atto una pratica pastorale che ha il suo modello nel modo in cui Gesù nei vangeli incontra l’umanità, la guarisce, risolleva tutti quelli che cadono.
L’Osservatore Romano, 19 maggio 2016

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