Lettere di Sandokan – Mancanze
Oscar Wilde e sant’Agostino forse non avevano tante cose in comune, a parte una certa idea di felicità, che hanno espresso – in tempi e mondi differenti – più o meno con le stesse parole: “La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha”.
Non è un pensiero pratico, che indirizzi in qualche modo le scelte. Non è una “ricetta” che orienti, che aiuti a capire “il senso immenso della vita” – per usare le parole con le quali Max Gazzé ironizza sui tanti “salvatori” in cui si è imbattuto e dai quali è fuggito. Non è che una volta che ho scoperto che cos’è la felicità poi so come fare a essere felice.
E’ piuttosto un pensiero che spiega alcune nostre infelicità, un po’ come la Legge “spiega” i nostri peccati, i nostri disamori. E’ un pensiero che ci aiuta dare forma alle nostre infelicità, a recintarle, a capire dove iniziano e dove finiscono, in modo da poterle indicare a qualcuno, come si indica una piazza a un turista che ci ferma per strada: puntando il dito su un luogo preciso o su un punto su una mappa.
Delle nostre infelicità dovremmo essere capaci a farne un elenco. Una specie di lista della spesa, come se sperassimo di trovare ciò che ci manca al supermercato, come se le nostre infelicità fossero un prodotto da banco. Acquistabile, se solo qualcuno si decidesse a renderlo disponibile.
D’accordo, lo so, le nostre analisi non sono mai attendibili, non completamente. Però non vorrei dirmi bugie, e non vorrei dirle a nessuno. Perché mi servono relazioni vere, in cui sia possibile mostrare me stesso, ossia ciò che sono e ciò che mi manca, anche se dovessi scoprire che ciò che mi manca davvero è un corpo snello, un lavoro appagante, un coniuge innamorato o un mohito al circolo del Tennis.
Cosa vado cercando, in realtà, nelle relazioni che coltivo? Perché scrivo, chiacchiero, lavoro, studio? Di cosa posso essere in grado di parlare davvero, se non sono in grado di dire a me stesso cosa ho e cosa mi manca?
A volte nelle relazioni si parla della vita degli altri, per evitare di parlare di sé. Si viaggia da una infelicità all’altra con devota indiscrezione, perché il “viaggio” dà un certo sollievo. In fondo c’è sempre una infelicità che si lascia, partendo per infelicità nuove. E poi c’è chi sta peggio di te.
In alcune circostanze l’interesse per le infelicità altrui diventa quasi un hobby, qualcosa di cui si può sorridere e di cui ci si può dimenticare quando si fa tardi e il tempo è scaduto.
A volte nelle relazioni si parla di Dio, per evitare di parlare di sé. E così ti trovi a dire, o ad ascoltare negli “scompartimenti” dei treni, nelle cene in piedi organizzate per raccogliere fondi per qualche buona causa, alla presentazione di libri, in qualche salottino, che “ciò che manca all’uomo è Dio”. Con questa frase, o con frasi del genere, provi a respirare un po’, a dirti che non va poi così male, tutto sommato, neanche a te. Sei infelice? Ti manca Dio. A chi non manca? D’altra parte nessuno è perfetto.
Non sei stato neanche insincero, in fondo, perché parlando di ciò che manca “all’uomo”, hai “compreso”, “incluso” ciò che manca a te. Forse. O forse no. Perché solo a Dio manca Dio, ai singoli uomini di solito manca molto di meno. Mi manca un prodotto da banco, un prodotto che non si trova al supermercato e che Dio sta confezionando per me e che, a tempo debito, mi farà avere. O forse mi manca un amico, uno che non stia a spiegarmi cosa mi manca, uno che mi faccia compagnia e che mi dia una mano, se gliela chiedo.
Non che sia tutto “infelicità”, non è mai così. Ma io desidero cose che non ho e non desidero tutto quello che ho. E’ colpa mia forse, se non lo desidero? Questo mi vuol dire Oscar Wilde? O sant’Agostino? Che le mie infelicità dipendono da me? Forse è così … non so. Non lo darei per scontato.
Ciò che so è che non sono capace di farmi piacere ciò che non desidero, anche se fosse mio. Non sono capace di dire che ciò che è mio è bello perché così deve essere, perché ho voglia di “obbedire” a una frase di un santo o di uno scrittore che ammiro. E vorrei trovare qualcuno che questi miei pensieri, queste mie parole, abbia voglia di starle a sentire senza darmi consigli, se non ho voglia di chiederglieli. Che provi a capire il senso immenso della mia vita, che è diverso dal senso immenso della sua.
Ci sono persone che non desiderano il corpo che hanno, la vita che fanno, le persone che frequentano. Sono condannate a desiderarle, forse? Anche a desiderare ciò che non possono cambiare? Forse tutto si può cambiare?
Certo il tempo cambia i nostri desideri, alcuni almeno. Ma non accade solo questo. Accade pure che molto di ciò che abbiamo un giorno non lo avremo più. Solo ciò che desideriamo tenere con noi, rimarrà nostro, alla fine.
Ci basterà? Non so, speriamo.