
La Lettera di Sandokan – Segreti
“Possiamo comprendere l’essenziale solo partendo dai particolari, questa è l’esperienza che ho tratto sia dai libri che dalla vita. Bisogna conoscere tutti i particolari, perché non possiamo sapere quale sarà importante in seguito, quali parole metteranno in luce qualcosa”.
Molti disprezzano le relazioni tra persone che nascono in Rete. Relazioni “virtuali” le chiamano, perché sembra loro impossibile che esista una vera conoscenza che non parta da una stretta di mano, dal guardarsi negli occhi, dal chiacchierare attorno al tavolino di un bar. Eppure osserviamo quotidianamente molte situazioni nelle quali il viversi a fianco non è di alcun aiuto a conoscersi. Esistono matrimoni “virtuali”, fraternità “virtuali” e anche amicizie “virtuali, portate avanti frequentando gli stessi luoghi, gli stessi circoli, le stesse case. Gente con cui ci si saluta da anni e con la quale si è passata la vita a parlare d’altro, trascurando l’essenziale. Gente che nasconde “segreti” che improvvisamente esplodono in comportamenti che lasciano tutti di sasso: chi l’avrebbe mai detto?
In questi anni ho fatto una esperienza diversa. Per la prima volta mi è capitato di iniziare conoscenze partendo dalle parole e non dai corpi. Grazie a questo blog.
All’inizio, un po’ di anni fa, questo blog non era un blog, ma una “community”. Non c’erano “articoli” da commentare, ma persone con cui chiacchierare di quello che capita a ciascuno nella vita. Poi, lentamente, l’attenzione si è spostata dalle persone ai contenuti: si parla oggi di cose più “importanti”, “profonde”, “oggettive”. Si cita il magistero della Chiesa o il Catechismo ogni tre post, omelie e meditazioni si sono moltiplicate, si difende o si attacca chi è favorevole o contrario al Family Day o al Partito delle Famiglia, si esprimono valutazioni sulle unioni omosessuali, e simili. Tutte cose buone e lecite, che però, attirando attenzioni sui contenuti, hanno ucciso la community originaria.
Il valore del blog, oggi, si misura in “audience”, mentre ciò che dava valore alla “community” non era tanto il numero di membri quanto la densità delle relazioni che si stabilivano tra i suoi membri.
E’ chiaro che, affinché si crei un certo piacere a conversare, affinché la community possa esistere, è necessario che esista una certa qual simpatia tra le persone che ne fanno parte. E’ una cosa questa che non c’entra nulla con l’essere d’accordo riguardo a ciò di cui si discute. Non si va in piazza per parlare di argomenti, ma per incontrare persone. Non è invece necessario che le persone che ruotano attorno a un blog si trovino simpatiche. Si possono tranquillamente odiare senza che il blog perda il suo valore, anzi. E’ diventato un valore il fatto che ci si odi con rispetto, senza parolacce, civilmente.
Ciò che a me ha regalato la community originaria sono state nuove conoscenze, conoscenze vere, profonde, perché ricche di particolari inessenziali che spiegano della vita di ciascuno molto più della lettura di un curriculum vitae e che, forse per questo motivo, nei curriculum non si scrivono mai.
Vi racconto com’è andata.
Grazie al clima che si respirava (e alla confidenza che quel clima favoriva) ho iniziato a parlare, e l’ho fatto poi per un lungo periodo di tempo, con persone di cui non conoscevo neanche il nome, raccontando di me, in modo più o meno velato, cose che non avevo mai detto a nessuno: i miei “segreti”. E ho ricevuto confidenze inattese.
Un “segreto” non è necessariamente una cosa che uno ha vergogna o timore a rivelare. Un “segreto” è anche qualcosa che una persona direbbe volentieri a chi gli vive a fianco, ma non può. Perché a lui (o a lei) non importa nulla di sapere ciò che uno gli vuoi rivelare. Perché non è importante per lui e tu non puoi farci niente.
Dopo qualche tempo il piacere di conversare si è trasformato, con alcuni, in desiderio di conoscersi di persona. E’ stata una cosa, vi confesso, un po’ imbarazzante, dire “piacere di conoscerti” a una persona che ci conosce molto meglio del vicino di casa, del fratello o dell’amico d’infanzia.
Si ha poi paura di deludere, perché il nostro corpo parla di noi. Aggiunge, conferma, smentisce le nostre parole distanti. Ma è una paura che si deve vincere. Perché se è vero che non è necessario partire dai corpi per conoscersi, ai corpi bisogna arrivare. Guardarsi negli occhi rimane un bisogno imprescindibile, se si vuole comprendere davvero, se si vuole arrivare davvero a una conoscenza completa profonda, sincera, totale.
Ripensando ad alcune persone che ho conosciuto con le parole, e alle quali da tempo ho stretto la mano, mi sono chiesto spesso: chissà se ci saremmo voluti così bene se la nostra conoscenza fosse nata in modo “tradizionale”. Chissà se ci saremmo piaciuti, partendo dai nostri corpi. Chissà se ci saremmo raccontati i nostri “segreti”.
Chi conosce tutti i particolari di una situazione o di una vita? Nessuno in fondo. Ma se ne conosci pochi l’istinto del giudizio è più forte. Ti basta osservare una misura di reggiseno oppure conoscere un particolare sgradevole della vita altrui (perché la gente chiacchiera e si sa tutto di tutti) per decidere se continuare a vedersi o lasciare andare.
Sono i particolari, i “segreti”, che aiutano a comprendere l’essenziale. E a spingerci ad amare chi avremmo potuto disprezzare, ragionando sul poco: i seni diventano così unici e la “sgradevolezza” comprensibile. E ti rendi conto, improvvisamente, di vedere ciò che nessuno vede. E di ringraziare che tutto questo sia stato concesso soltanto a te.