Blog / Sandokan | 20 Febbraio 2016

Le Lettere di Sandokan – Incertezze

Michele Serra di recente ha scritto riguardo a quanto sia difficile, per un giovane, comprendere le sfumature che circondano tutto ciò di cui fa esperienza. Le sue opinioni sui fatti delle vita sono nette, i suoi giudizi trancianti, le sue “soluzioni” matematiche.

Riporto qui alcune sue parole.

Al rispetto della complessità (che è anche rispetto del limite, e forse accettazione dell’ignoto) si arriva solo con gli anni, e niente è più naturale dell’animoso rifiuto che il giovane oppone ai dubbi dell’adulto: li traduce in pavidità, stanchezza, opportunismo.

La coscienza della mia ignoranza, lontano dal deprimermi, mi sembra una magnifica conquista. Da lì deriva l’inattesa libertà di riconoscermi spesso al di sotto della comprensione delle cose: condizione che, piuttosto che deprimermi, mi regala una straordinaria voglia (giovanile!) di capire il mondo e le persone, o almeno di provare a farlo”.

La maturità per lui è spesso un viaggio dalla certezza all’incertezza.

Naturalmente a nessuno piace l’incertezza: tutti vorremmo soluzioni chiare, rotte sicure e compagnie fidate. Ma in molti casi tutto questo semplicemente non è possibile e anzi diventa necessario porsi “al di sotto della comprensione delle cose” per non sbagliare rotta. E invece spesso i giovani si rifugiano nel conformismo di branco e i vecchi nell’appartenenza a élite culturali di qualunque genere e tipo: per trasformare l’incerto in certo, per non pensare troppo alle proprie scelte, per inserire il pilota automatico, per vivere delle sicurezze che derivano dall’avere il consenso altrui.

Una persona mi raccontava delle sue difficoltà ad uscire da un certo mondo di certezze entro le quali era cresciuta. Tutto il suo mondo guardava il suo desiderio di “esplorare” le vite degli altri, a lui stesso spesso incomprensibili, con sincera preoccupazione.

– “Io non sopporto più di vedere le stesse facce, di sentire gli stessi discorsi, di leggere gli stessi giornali, di preoccuparmi di ciò di cui si preoccupano tutti. Non sopporto più di fare domande sapendo già cosa mi sarà risposto. Non ho bisogno e non voglio costringere il mio mondo ad essere perfetto semplicemente per trarre da questa sua supposta perfezione la forza per non lasciarlo. Non mi fa paura l’imperfezione, mi spaventa la menzogna che mi costringe a dire ciò che dicono tutti, per salvare il salvabile, per salvare l’idea a prescindere da ciò che osservo. Come se il mio sguardo non fosse importante per nessuno”.

Mi son ricordato di Flaiano, che diceva di alcuni suoi colleghi scrittori che i loro libri avrebbe potuto scriverli anche lui: avrebbe potuto scriverli ma non leggerli.

Anche a me capita di pensare cose del genere. Potrei ripetere le parole che ripetono molti, forse anche con miglior stile. Ma ciò che vorrei davvero è ascoltare ciò che non potrei mai dire. Che non potrebbe mai dire nessun altro se non chi mi sta davanti. Qualcuno che è lì per parlare con me, ma non per trattenermi o allontanarmi: per raccontare.

Per questo a un certo punto si parte, si fa un viaggio. Un po’ a tentoni. Perché neanche si sa bene chi o cosa si stia cercando. Come Alice nel paese delle Meraviglie, ricordate?

– “Che strada devo prendere?” chiese.

– La risposta fu una domanda:

– “Dove vuoi andare?”

– “Non lo so”, rispose Alice.

– “Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza.”

Incontri inattesi, sulle incerte vie, ti spiegano cose che neanche ti sognavi esistessero e che erano lì, appena oltre il tuo orizzonte, che mai ti saresti aspettato di trovare. Ti allargano il mondo e il cuore. E alle volte ti spingono a ritornare da dov’eri partito, ma con la forza di chi ha scelto dove deve vivere dopo un lungo cammino.