Blog / Lettere | 27 Gennaio 2016

Lettera di Paola Baratta – Affinché la giornata della memoria sia una Speranza

27 gennaio: un’altra Giornata della Memoria, per ricordare gli orrori della shoa. Ho sempre paura quando viene questa giornata. Paura della retorica della memoria ( che è forse peggio dell’indifferenza). Paura di generare una contrapposizione tra buoni e cattivi, oppure peggio tra la giornata della Memoria dedicata alla shoa e quella dedicata al ricordo degli eccidi nelle Foibe: contrapposizioni che non rendono giustizia alla verità della storia e rischiano di reiterare errori ed orrori che furono nutriti da tutti i totalitarismi, Nazismo in primis.
Già . Perché deve essere chiaro perché il Nazismo è considerato e deve essere considerato – a tutta ragione e speriamo per sempre – un unico storico: non lo dico io, lo dicono le fonti e fonti autorevoli. Era di questa opinione anche Giovanni Paolo II che di tutto può essere accusato tranne che di essere filocomunista: eppure non aveva dubbi. Il nazismo aveva in sé radici di aberrazione storica, morale, etica che non si erano MAI verificate prima e che speriamo non si verificheranno più.
E’ importante ricordare per avere speranza.
Quali furono questi elementi di unicità ( in negativo)? Innanzi tutto, il fatto che il nazismo non si impose in modo illegale, né con una rivoluzione violenta: Hitler ottenne il potere attraverso libere elezioni, in una Repubblica e tra l’altro in una Germania che, allora, era una delle nazioni più potenti, più colte, più avanzate ( anche a livello di legislazione sociale) del mondo: il comunismo ( contrariamente a quelle che erano i desideri e le aspettative di Marx) si impose invece con una rivolta in una Russia arretrata, con popolazione in larga parte analfabeta e avvezza ad un regime monarchico bigotto e retrivo ( quello dello Zar).
Secondo punto: il comunismo parte da assunti costruttivi, da valori positivi: la dignità del lavoro, la giustizia sociale in primis. Purtroppo questi assunti sono stati piegati a male da ideologie violente e da dittatori sanguinari. Poi erano sicuramente presenti già Marx elementi negativi ( il materialismo, la privazione di libertà individuale, etc) che le dittature successive non hanno fatto che reiterare ed esacerbare. Il nazismo, però, ha solo assunti negativi, distruttivi: e per perseguirli usa anche valori “buoni” come la famiglia numerosa, l’ordine sociale, il progresso tecnologico e medico. Già, perché un’altra unicità del nazismo è l’aver piegato il progresso tecnico- scientifico e la ricerca medica non per produrre, non per guarire, non per migliorare: ma per distruggere. I binari che finiscono ad Auschiwtz; un treno che porta non merci ma esseri umani; “industrie” e “gas” che non servono a produrre oggetti, ma a terminare esseri umani; operazioni chirurgiche che non sanano, ma servono a vedere cosa succede se si lascia in una gamba o in un braccio di un “handicappato” una garza…Che cosa succede se sezioniamo un cervello di una persona con sindrome di Down. E vedere “l’effetto che fa”! Terribile.
Ultimo punto. Quello che è di maggiore monito per noi, credo. Il nazismo fu un’ideologia della catalogazione. Una catalogazione quasi illuministica, scientifica, oggettiva, massificante e terribile: non contava l’individuo. Contava il numero e la specie. Esseri umani uccisi secondo un numero e seguendo un ordine: ebrei, handicappati, zingari e rom, gay, etc. Ognuno ave va un simbolo e un numero. Prima i bambini e i vecchi ( la cultura dello scarto!) poi le donne e le persone malate; poi gli uomini: sfiniti finché potevano “produrre” qualcosa, poi eliminati nella camere a gas, perché erano “gay, ebrei, zingari, etc” e perché non servivano più. Prima i bambini, prima i vecchi, poi donne, malati, quelli che “non servono a niente”, non servono più. Non individui. Ma categorie. Da eliminare. Con una pianificazione orribile. Matematica. Chirurgica. Che non conosceva pietà. Che non riconosceva nell’altro il volto di un uomo, di una donna, di un bambino. Di una persona. In nome della “razza pura” che è una sciocchezza, ovviamente: ma se io vi dicessi che sto sognando un mondo senza malattie, con uomini , donne, bambini tutti sani e belli, con tante famiglie numerose, tutte belle, ricche, agiate, in una società ordinata, etc…Non rischierei, forse, di sembrarvi a tutta prima un filantropo? Eh, beh…Un “valore inalienabile”, invece, così calato senza vincoli nella realtà produsse i campi di concentramento: perché è vero che il sonno della ragione genera mostri, ma è anche vero che il sogno della ragione ne produce di terribili: i sogni della ragione sono le idee, i valori – anche bellissimi, fate attenzione – che però non vogliono tenere conto della realtà multiforme e complessa del mondo. Sono i fondamentalismi. In nome di quel sogno utopistico, gli ideali meravigliosi della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza , fratellanza sono finiti in un bagno di sangue: il Terrore con teste sgozzate a destra e a manca. Sì, perché tutti quegli ideali ( libertà. Uguaglianza e fratellanza) – se non tengono conto che ogni persona è persona a sé, con dignità, diversità, unicità propri – non vanno d’accordo tra loro. Sono incompatibili: infatti, come essere liberi, se dobbiamo essere tutti uguali? E se siamo diversi ( ricchi e poveri; bianchi e neri, etc) come imporre l’uguaglianza? Come raggiungere la fraternità? Bel problema.
La catalogazione è il rischio che dobbiamo evitare anche oggi ricordando. Non erano certo i tedeschi e non tutti almeno, i “ cattivi”: tra i tedeschi ci furono un sacco di eroi. Schindler. I ragazzi della rosa bianca ed altri.
E i “buoni”? I buoni spesso erano solenni “mascalzoni”. Perlasca si finse un diplomatico spagnolo,. Firmò documenti falsi. Imbrogliò. E non esitò a fare un po’ il “pomicione” con le donne per ottenere di salvare delle vite.
Schindler era uno che voleva far soldi e far funzionare la sua fabbrica. Gli serviva mano d’opera. All’inizio è solo un fine utilitaristico a spingerlo a “salvare vite”: poi la sua lista di “operai” ( tra i quali gente che non aveva una mano, gente che non poteva lavorare), diventa un elenco di salvezza, pure per Schindler.
I buoni trasgredirono leggi, regole, comandi e “imbrogliarono” a mani basse. Eichman diceva di aver obbedito agli ordini. E, dal suo punto di vista, diceva la verità. Attenti a parlare di “verità”, di giustizia, di buoni e cattivi: la storia presenta tante soprese. Tante. Seguire gli ordini, difendere il capo, i “valori” dell’obbedienza, della patria, della famiglia, dell’appartenenza, allora volle dire assumere il volto inquietante della banalità del male. Interroghiamoci su questo.
Pensiamo a PIO XII. Tutti sappiamo quanto la sua figura sia controversa. Sostanzialmente c’è ( soprattutto nella comunità ebraica) chi sostiene che non si opposein modo netto, gridando, alzando barricate , che anzi fiancheggiò perché non fece “manifestazioni di piazza”, non urlò contro il nazismo.
Altri ( e io sono tra questi) dicono che Pio XII invece si trovò a fronteggiare un’epoca complessa e dolorosa. Capì che un’opposizione palese e dura contro il nazismo avrebbe provocato un bagno di sangue ancor più feroce in Germania e in Italia in particolare: e si mosse “dietro le quinte”. Fece aprire agli ebrei monasteri, conventi, ricoveri. E, appunto, nei paesi cattolici come la Spagna, fece di tutto, grazie ai diplomatici, per rendere la condizione delle persone di razza ebraica meno dura. Cioè fece tutto il possibile. E per questo , è stato ingiustamente e a lungo accusato di essere persona vile e senza nerbo, che non teneva ai “valori inviolabili”. Il problema , invece, è che per fare il bene, nella sua posizione, era preferibile senza dubbio questa posizione da “mediano”: non spezzare il “filo” con la Germania, fare pressioni, sensibilizzare. Che con Hitler non ci fosse colloquio d’altronde era cosa palese. Era un pazzo sanguinario e Pio XII lo sapeva e ne temeva le ritorsioni. Cercò di comportarsi di conseguenza e salvò un sacco di vite.
Insomma perché ricordare?
Per evitare oggi che l’uomo si trasformi in categoria. Non parliamo, per favore, di “cattolici”, “musulmani”, “terroristi”, “eterosessuali”, “italiani2 “stranieri”, “Omosessuali”: parliamo di persone, interessiamoci alle persone, amiamo le persone. Etichette, numeri, massificazione sanno già di per sè di morte. Allora e sempre. Non è facile, ma sforziamoci.
Non parliamo di “bene”, “male”, “verità”: se crediamo, sappiamo che la verità non è un’idea. Ma una Persona. Non la troviamo spiegata in un libro. Nemmeno nel Vangelo c’è tutta la verità: la nostra non è una religione del Libro. Ma una religione della Persona. Perché la verità è Cristo incarnato. Una persona. Troviamo la verità nelle persone. Non in un’idea iperuranica. E poi la storia, la storia della Shoa, ci mostra come parlare di buoni e cattivi, di verità, di bene, di male sia veramente difficile e ci vuole molto discernimento, molta prudenza. Meglio una parola di meno che una di più.
Ricordiamo di non osannare il progresso, di non osannare valori, neanche quelli per cui ci appare più lecito e giusto lottare: perché nella storia è già successo che i “sogni” generassero mostri: è successo ogni volta che si è voluto realizzare solo il “sogno” senza vedere la realtà, anzi annullandola. Invece sappiamo che è bellissimo avere sogni sì, ma sempre connessi alla realtà. Alla sua complessità, alla sua dinamicità. Persino la Parola di Dio, pur rimanendo Sé stessa nei secoli, ha trovato ( per fortuna) diverse applicazioni, manifestazioni e anche parziali modifiche nell’ambito delle società e dei tempi in cui Essa è stata vissuta e predicata. E va da sé che, nel tempo, lo Spirito Santo ha suscitato tanti carismi e che questi hanno arricchito l’unità della Chiesa, non provocato scismi, disastri o apocalissi: Gesù affida Maria a Giovanni, sotto la croce, non solo perché così Lei diventa Madre nostra, ma perché allora una vedova era alla mercé delle peggiori violenze. Cioè Gesù fa un gesto che è un sogno ( dà all’umanità sua Madre, ci dà la Chiesa) ma è anche connesso alla realtà, alle esigenze del suo tempo, al bisogno contingente di proteggere Maria.
Non catalogare, opporsi alla massificazione e alla cultura dello scarto, cercare di non generalizzare. Sono gli antidoti che riconosco ad ogni ideologia totalitaria, ad ogni tentativo di ridurre la complessità. Ridurre la complessità è una grande tentazione: da docente dico spesso: “La mia classe”. E faccio male. Quando dico: “I miei alunni” faccio bene. E faccio ancora meglio se , prima di mettere un voto, un giudizio, prima di esprimere una valutazione, mi sforzo di ricordare che dietro alla frase “i miei alunni” ci sta Marco, Sara, Giuseppe, Laura…le loro famiglie, io miei colleghi. Io, noi, e le nostre vite. Troppi problemi? Sì. Troppi. Ma è l’unico modo di vivere. L’unico di amare. L’unico per tentare di essere giousti. Di ricordare, senza retorica. E di sperare.