Le lettere di Renato Pierri -Che cosa c’entra il perdono con la malattia di Massimo Maravalle?
La lettera di Renato Pierri – a firma Carmelo Dini – qui riportata è stata pubblicata il 17 ottobre anche su Il Fatto Quotidiano. Questa volta, a differenza di altre, non è stata censurato il mio nome
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Il Pasquino; Politicamentecorretto 14 ottobre 2015
«L’ho perdonato, non era lui in quel momento. Ora proviamo a ricominciare insieme». Così ha detto Patrizia Silvestri, avvocato e moglie di Massimo Maravalle, l’informatico di 48 anni che, «in preda a un delirio letale, paranoide e persecutorio», la notte tra il 17 e il 18 luglio dell’anno scorso, a Pescara, nella propria abitazione, si alzò dal letto, raggiunse la stanza del figlio adottivo di cinque anni e lo soffocò nel sonno. Sì, ma che cosa c’entra il perdono se non c’è colpa? Se non era lui in quel momento, se era in preda alla sua malattia, che cosa c’entra il perdono? Si parla di perdono quando c’è colpa, altrimenti parlare di perdono non ha senso. Viene in mente la storia di John Nash, il grande matematico: che colpa aveva della sua schizofrenia? Nell’equivoco è caduto persino l’amico prete e scrittore Mauro Leonardi, il quale su L’Huffington Post, scrive: «Credo che quello che sto raccontando sia l’unico modo possibile e vero di perdonare. Esiste solo un perdono: quello che fa ricominciare sperando. Non è perdono se si dimentica tutto: quella è rimozione… Patrizia sa bene cosa è successo, chiama i fatti con il loro nome e ricomincia. A provarci. A riprovarci insieme. Cioè si ricomincia non partendo dal via come nel gioco dell’Oca, ma ripartendo “da qui”. E qui, dopo che hai ammazzato nostro figlio e tentato di ammazzare me, non è come prima. E puoi solo provarci, cioè sperarci». Parole giustissime se si trattasse di una colpa, ma non è questo il caso. Qui si tratta di malattia, e in che cosa bisogna sperare? Semplicemente che Massimo Maravalle non si ammali ancora. Ma non c’entra il perdono, giacché la malattia non è una colpa.
Carmelo Dini
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