Le Lettere di Sandokan – Libertà e regole
«I membri dell’Opus Dei non si trovano nello stato di perfezione ma cercano la perfezione nel proprio stato».
Con questa frase il Fondatore dell’Opus Dei provò a spiegare quale dovesse essere la vita delle persone dell’Opera. E’ una frase che sintetizza la sua lunga “battaglia” per dare all’Opera la corretta configurazione giuridica: oggi l’Opus Dei è una Prelatura personale dipendente dalla Congregazione per i Vescovi (come le diocesi).
Ciò che è interessante in questa frase è come sia, in realtà, applicabile a ogni comune cristiano battezzato. Si potrebbe dire “I membri della Chiesa …”. Anche mia madre, che non è un membro dell’Opera, deve cercare la “perfezione” (ossia la vita in Cristo) nel proprio stato.
Cercare la “perfezione” è una frase che va spiegata, perché la perfezione è essenzialmente un “dono” e non un “premio” conseguente a uno sforzo. Lo “sforzo” è figlio del bisogno (che vediamo in noi e attorno a noi, e quindi è giusto “sforzarsi”), mentre il “dono” è figlio del desiderio (di vedere il volto di Dio). Esiste un legame tra perfezione intesa come “dono” e perfezione intesa come “sforzo”, che secondo me sta tutto nella frase di Gesù che parla di “giogo soave”, di “carico leggero”. Però è qualcosa che ognuno deve fare la fatica di sperimentare nella propria vita: non basta dire che “deve” essere così perché poi sia davvero così per la mia vita. E’ vero che il cristiano è un uomo allegro, ma è anche vero che io a volte non lo sono.
Senza vero desiderio, si può correre il rischio di sforzarsi per “nulla”, di sentirsi dire da Gesù “non vi conosco” dopo aver passato una vita a parlare e a scrivere di Lui.
Quando una persona abbraccia una vocazione religiosa avviene per lui un cambiamento di vita, nel senso che un religioso assume l’impegno a vivere secondo “regole di vita” comuni ad altri come lui. E’ all’interno di queste regole che si svolgerà, dal momento in cui lui abbraccia la sua vocazione, la sua vita. Tutto ciò è una cosa buona, perché è Dio che dà vocazioni religiose.
Il comune cristiano – che sia o che non sia dell’Opus Dei, non importa ai fini di questo discorso – non ha una “regola di vita” che lo accomuni ad altri come lui (a parte il fatto di essere cristiano battezzato). Questo naturalmente non vuol dire che egli viva una vita “senza regole”, ma che la sua vocazione non gli chiede di “obbedire” o di “rinunciare” a nulla di ciò che è buono e onesto a questo mondo. Un religioso potrebbe rinunciare di andare al cinema per obbedire a una regola del suo ordine, un comune cristiano non deve affatto rinunciarvi (va al cinema se gli va di andarci). Un religioso potrebbe vestirsi secondo quanto indicato da una regola, un comune cristiano può vestirsi come vuole (anche da francescano, se gli va, nessuno glielo impedisce). Un religioso potrebbe decidere di non partecipare alle feste da ballo, mentre un comune cristiano normalmente ci va. E di questi esempi se ne potrebbero fare a centinaia.
Questa premessa serve a spiegare perché sia concettualmente impossibile che nell’Opera esista un indice dei libri proibiti quando la Chiesa non ce l’ha (mentre tutto questo potrebbe essere possibile per un ordine religioso, che è libero di adottare regole più “stringenti” di quelle previste per ogni comune cristiano).
Ciò che però è concettualmente impossibile a volte accade, non si sa bene perché. Anche in famiglia accade che la vita comune si “casermizzi” o si “alberghizzi” contro il buon senso e lo spirito con il quale una famiglia comune, normale, deve vivere a questo mondo. E così può accadere che un elenco di recensioni di libri venga vissuto, da chi lo scrive e/o da chi lo legge, come un indice di libri proibiti.
Tutto ciò di solito non accade per sinistri motivi, ma per “paura”. Un po’ la stessa paura che ogni padre ha quando i figli fanno tardi la sera e allora dice al figlio diciottenne: “a casa nostra si torna a casa presto, non si va in discoteca”.
Nella vita di casa, di ogni casa, esistono persone che consigliano comportamenti, letture e simili. Tutto ciò naturalmente è un bene. Ma come si reagisce quando, di fronte a un nostro consiglio, un fratello o un figlio ci dice di “no”? Se in un monastero di clausura una suora esce dalla finestra per andare a farsi una birretta con le amiche, sta violando una regola. Ma se mio figlio diciottenne vuole andare a ballare con gli amici, o se vuole farlo un numerario dell’Opus Dei, quale regola sta violando? Forse sta decidendo di non seguire un mio consiglio, e allora? Sono regole per lui i miei consigli? Se è così non rischio, nei fatti, di fare della mia casa una specie di monastero? Pieno di regole non scritte, che non chiamo regole, ma che di fatto lo sono?
I padri, tutti i padri, normalmente soffrono per le scelte libere dei figli. E’ la vita. I figli tuttavia le loro regole se le devono costruire con le loro mani e i loro genitori non possono scegliere come debbano vivere per non avere paura o per salvaguardare il buon nome della famiglia.
Questa non è rinunzia alla genitorialità, è rispetto per la libertà altrui, che è un rischio, sempre. Può essere che mio figlio, a causa delle sue scelte, si faccia male, ma può anche essere che mi insegni a vivere meglio, che mi insegni ad amare di più di come io sia mai stato capace di fare.
Tornando ai libri, può esistere qualcuno – nell’Opera o fuori dall’Opera, non importa – che scelga per esempio le recensioni di “delibris.org” come unico criterio per decidere cosa leggere, nessuno lo impedisce. Il problema si ha quando questo criterio diventa regola per tutti, un “si deve fare così”. O anche quando io, che consulto delibris.org, devo essere necessariamente d’accordo con quanto il sito scrive sul libro X.
Difendere questa libertà di scegliere, anche sbagliando, è difendere lo spirito della vocazione battesimale che abbiamo.
Devo dire che a me sempre è stata lasciata, nell’Opera, questa libertà.
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