Articoli / Blog | 17 Maggio 2015

Mauro Leonardi – Il vangelo di Emmaus

Sul numero 651 di Studi Cattolici – Maggio 2015 – alle pp. 356-357 , nella categoria Spiritualità, c’è questo mio articolo intitolato “Il vangelo di Emmaus”.

La Bibbia è il libro più letto al mondo. Secondo un’ elencazione che tiene conto dei volumi messi in vendita nell’ultima metà del secolo sarebbero quattro, i miliardi di copie stampate e vendute. È un modo per dire quanto profondamente la vita di Gesù segni la nostra storia. Anche chi non ci crede, anche chi lo bestemmia, nasce vive e muore contando gli anni della propria vita a partire dalla sua.
Il vangelo è il libro della vita di Cristo. Leggerlo non è solo un modo per conoscere meglio Gesù, è anche il modo migliore per capire la propria vita. Il che forse è lo stesso perché se Gesù è la luce venuta nel mondo, la prima cosa che ha illuminato non è sé stesso ma me, la mia vita. Il vangelo è il libro più letto al mondo non perché abbia una buona trama, un gran personaggio principale, dei fieri antagonisti e perché finisce bene, visto che il buono risorge; il vangelo è il libro più letto al mondo perché leggendolo trovo qualcuno che è vissuto per me, per farsi capire da me, amare da me, trovare da me, che aiuta me a capirmi, amarmi, trovarmi.
All’interno del vangelo, la pagina di Emmaus è una di quelle in cui mi sembra più vero quanto ho appena scritto. Quando la leggo, mi ci butto in quella strada. Ogni volta che mi viene da lasciare tutto, tutto quello in cui ho creduto, per cui ho vissuto e che ora è tutta una delusione e fuffa – anche se è incredibile che lo sia perché non riesco a capire come ho mai fatto a sbagliarmi in modo così grossolano – allora è a Emmaus che corro. Ci corro come un bambino.
Il vangelo di Emmaus è quanto di più umano ci sia nella vita di un uomo. È come la nascita e come la morte, certe entrambe, con la delusione che c’è in mezzo, certa anch’essa, compreso il momento del: sapete che vi dico? mollo tutto e me ne vado perché qui i giochi sono chiusi e finiti.
Emmaus è una delle cose più divine che Gesù abbia fatto.
Si è fatto piccolo, lui che è appena risorto.
Si è fatto ascolto, lui che è il Verbo.
Si è fatto domanda, lui che ha ogni risposta, anzi che è la definitiva risposta.
Si è fatto cammino stanco e deluso, lui che è la Via.
Si è fatto incomprensione e dubbio, lui che è la Verità.
Si è fatto buio e sera e notte, lui che è la Luce venuta nel mondo.
Si è fatto morte di ogni sogno di gloria, lui che è la vita: vita per sempre donata e per sempre ripresa e viva.
Si è fatto forestiero, lui che è il Signore del creato.
Si è fatto ignorante e ignaro di tutto ciò che gli era accaduto a Gerusalemme, lui che è la sapienza e il protagonista degli avvenimenti che diceva di ignorare.
Si è fatto amico mio, lui che è stato la mia vittima, la vittima dei miei peccati.
In tutto ciò, quanto mi innamora più di lui in queste ore della mia vita, è quando Gesù spiega tutto di nuovo a Cleopa e all’altro lasciato anonimo – così ci posso mettere il nome mio: è come lo spazio bianco dei documenti da compilare – spiega, e lo fa senza dire “ve l’avevo detto io!”, dice invece: “Mosé e i profeti lo avevano detto” (cfr Lc 24,27). Mi affascina che a Dio piaccia parlare di Dio con le parole che hanno usato gli uomini che lo hanno preceduto e mi affascina che Gesù non butti la verità in faccia a chi proprio la verità non la vuol vedere anche se ci sta parlando perché ci sta camminando fianco a fianco.
Qui da noi sulla terra, tra gli umani, il “te l’avevo detto io!” è la buccia su cui cade anche il migliore degli amici. Buttare la verità in faccia a chi proprio non ha capito niente e continua a non capire, a non vedere, a non riconoscere la verità e la realtà, è spesso una tentazione irresistibile. Ma Gesù non ci casca. Gesù, vive il suo primo giorno da risorto insieme a me, e ci va piano piano. Rispettoso. Lui che ha vinto le tenebre, si fa cogliere dal buio della sera con me e si ferma a lungo con me. Viene sulla mia strada. Torna indietro con me. Riavvolge il nastro con me. Potrebbe mostrarmi le sue piaghe e farmi rimanere a bocca aperta, ma non lo fa.
Vuole che io riscopra dentro di me la sua presenza. Che le sue parole aggancino la mia vita. Lui sa che io la so: che io so la sua storia. Che conosco i profeti. Che leggo e studio le scritture. Lo sa che io quando leggo i libri lo riconosco. Che li conosco i passi e i capitoli che parlano di lui e che lo annunciano. Ma lui vuole che lo riconosca non nei libri ma dentro di me, nella mia vita quotidiana. Quando hai degli amici – anche se sei Dio, soprattutto se sei il Dio cristiano – parli agli amici nel modo che gli amici possano capirti. Non vuoi strabiliarli con il tuo sapere, con la tua forza, vuoi che ti siano amici. E allora parli come loro sanno ascoltare, come sanno capire, come sanno conoscere. Usi le parole che conoscono, le letture che hanno fatto, le esperienze che hanno vissuto, i sentimenti che riempiono il loro cuore. Ti cali nella loro vita, cammini con le loro scarpe, entri nella loro casa, scaldi il loro cuore con un fuoco che accendi insieme a loro, parola dopo parola, passo dopo passo, fiamma dopo fiamma.
E usi le parole che hanno usato con te quelli che ti hanno amato.
Le stesse parole, lo stesso amore.
Così scopri chi è il Gesù che riempie il libro più letto al mondo: è uno che parla la stessa lingua di chi gli sta accanto, e così gli aggancia l’esistenza.
C’è una domanda interiore che fa di un racconto, una storia personale. Che fa di una compagnia, una presenza. Che fa di una persona, un amico. Quando c’è quell’aggancio, quando si accende quella luce, non ho più paura della notte e non ho più bisogno di fuggire per ritrovarmi ma torno indietro a rimettere i piedi nei passi che ho appena fatto e così ritrovare casa. Così spezzare il pane e riconoscersi è un tutt’uno perché ci sono dei gesti che sono di famiglia e quando li fai, fai famiglia.
Ecco perché la bibbia è il primo libro letto al mondo: perché è l’intero mondo dentro a un libro.

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