L’Huffington Post: Quando la vergogna ci salva dal razzismo
E’ terminata il 23 marzo l’XI settimana di azione contro il razzismo organizzata dall’Unar e arriva una notizia proprio bella.
Se chiedi aiuto, ti aiutano pure i bambini. Se qualcuno ti insulta, qualcun’altro ti chiede scusa al posto suo. Sto parlando della Lituania dove, in quella che sembra essere una sala d’attesa, un extracomunitario chiede alle persone che di volta in volta gli siedono accanto di tradurgli dei post che qualcuno ha pubblicato in lituano scrivendo sulla sua pagina Facebook. Non sa la lingua e ha bisogno di un aiuto. Donne, uomini e perfino un bambino si dimostrano subito molto disponibili, ma non appena gli occhi si posano sul tablet la loro espressione cambia perché quelli che stanno leggendo sono pesanti insulti razziali. “Scimmia”, “schiavo”, “tornatene in Africa”. Vergogna, dispiacere e, nonostante non siano gli autori, ognuna di quelle persone sente il dovere di chiedere scusa.
La gente non è cattiva: io l’ho sempre detto perchè l’ho sempre provato sulla mia pelle. E allora quando si fa una prova del genere contro l’insulto razzista sul web, io non mi stupisco. Lo so che il genere umano è di pasta buona. Non me lo dice solo la teologia ma la vita quotidiana.
Non esistono solo le coperte corte che “come le tiri le tiri, qualcuno si gela”. Esiste anche la coperta della vergogna che tiene a caldo due persone, interamente. Chi chiede e chi dà, entrambi al caldo di un’umanità che è ricca anche in questo periodo di crisi, ricca di umanità e rispetto per l’altro. E quando qualcuno viola, nega, insozza, questo rispetto, allora qualcuno che hai accanto, che ti si siede accanto, tira fuori la vergogna. In automatico. Ben venga la vergogna se, quando meno te lo aspetti, l’essere umano ti stupisce, ti fa innamorare.
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