Blog / Sandokan | 26 Febbraio 2015

Le Lettere di Sandokan – Leggerezza

Vi ricordate la storia di Bradamante e dell’ippogrifo? Io non la ricordavo. O forse non l’avevo mai letta. Ho solo sentito mia figlia che la leggeva ad alta voce, l’altro giorno, con poco trasporto, un po’ annoiata. Mi sono avvicinato, perché non ho voglia che si annoi, e ho cominciato a leggere anch’io, con lei.
La spiegazione dei versi è, in sé, una fatica inutile. Anch’io mi annoiavo a spiegare, a me stesso e poi all’insegnante, le cose che mi davano da leggere, i pensieri altrui. Poi, pian piano, crescendo, anche con l’aiuto di altri, mi sono reso conto che agli sforzi bisogna dare un senso, sempre. Per spiegare una poesia, per esempio, bisogna comprenderla, è vero. Però comprendere non significa semplicemente trasformare parole di altri con parole mie. Non posso abbandonare le parole che sento, se voglio comprendere davvero. Spiegare i versi, in fondo, non vuol dire farne la parafrasi. Vuol dire imparare a leggerli. Senza cambiarne le parole, senza insultare le parole sostituendole con le tue. Se non riesci a leggerli, a rileggerli, non puoi spiegarli, perché non li hai compresi, anche se sai cosa vogliono dire. Non con tutti i versi si riesce a fare cose del genere.
Ho sentito di recente un musicista dire ai suoi allievi che non devono aver voglia di mostrare quanto sono bravi a suonare, ma piuttosto quanto è bella la musica che suonano. E’ più difficile mostrare la bellezza che mostrare la virtù.
E’ in fondo questo il rischio dell’intelligenza: che ti fa credere di avere in mano il mondo solo perché sai farne la parafrasi, o credi di saperla fare.
La storia di Bradamante e dell’Ippogrifo è bellissima, Ariosto la racconta, la inventa, nel IV canto dell’Orlando furioso.
Bradamante è una donna bellissima ed è anche un coraggioso paladino di Carlo Magno. Si è innamorata di Ruggiero, un cavaliere saraceno, allevato dal mago Atlante, il quale si muove, vola, terrorizzando tutti a cavallo di un ippogrifo ossia di una bestia metà uccello e metà cavallo.
Atlante un giorno lo rapisce, perché una profezia gli ha rivelato che Ruggiero morirà dopo essersi fatto battezzare e aver sposato Bradamante. E lui non vuole che Ruggiero muoia. Bradamante va a cercarlo nel castello incantato, sui Pirenei, che è la sua prigione. Sua e di altri cavalieri e dame che Atlante ha rapito perché gli facciano compagnia. Atlante infatti vuole rendere bellissima la prigione di Ruggiero, perché è come se fosse suo figlio.
Alla fine lei riesce a sconfiggere il mago il quale, privo delle sue arti magiche che lo mostravano diverso da come era, si rivela un vecchio stanco. Bradamante libera tutti, e tutti si danno da fare per impossessarsi dell’ippogrifo di Atlante. Ma l’ippogrifo, per comando del mago, si fa cavalcare solo da Ruggiero, ma allo scopo di rapirlo di nuovo e di portarlo ancora lontano da Bradamante.
Così Ariosto descrive Bradamante che guarda in cielo Ruggiero allontanarsi a cavallo dell’ippogrifo:

Con gli occhi fissi al ciel lo segue
quanto basta il veder; ma poi che si dilegua
sì, che la vista non può correr tanto,
lascia che sempre l’animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
non ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:
e si deliberò di non lasciarlo,
che fosse in preda a chi venisse prima;
ma di condurlo seco, e di poi darlo
al suo signor, ch’anco veder pur stima.

Frontin è il cavallo di Ruggiero, che lui ha lasciato per cavalcare l’ippogrifo che poi lo ha rapito. Tutto quello che rimane a Bradamante di Ruggiero è un punto nel cielo che si fa sempre più piccolo e il suo cavallo. Bradamante segue con l’animo Ruggiero, e lo fa nell’unico modo in cui può farlo: prendendosi cura del suo cavallo, sperando, un giorno, di poterglielo restituire.

In questi versi c’è la vita dell’uomo sulla Terra. C’è forse molto di più di quello che lo stesso Ariosto voleva dire. Forse lui voleva soltanto raccontarci una bella storia che era nata dalla sua meravigliosa fantasia. “Contemplativi in mezzo al mondo”, una frase che ho sentito tante volte e che i versi di Ariosto hanno illuminato: seguire con l’anima chi si ama, e che è sottratto ai nostri sensi, prendendosi cura del suo cavallo. Bradamante fa così.

Vi confesso che in questi giorni sto leggendo, con lentezza e con fatica, tutto l’Orlando furioso, nella versione commentata che ne ha fatto Italo Calvino. Grazie a mia figlia. Mi piace enormemente la leggerezza infinita con cui nasconde il suo mondo dietro le sue storie, ma non perché lo voglia fare. Semplicemente perché è fatto così. E’ quasi il contrario di Dante, in cui è tutto superbamente manifesto. In lui tutto è “naturalmente” celato. Un po’ come i racconti di Tolkien. Ho anche capito perché Calvino, il nume della leggerezza, si è innamorato dell’Orlando furioso.