Blog / Lettere | 17 Gennaio 2015

Le Lettere di Paolo Pugni – Il 42esimo chilometro

Bisogna saper perdere.
Bisogna conoscere i propri limiti.
I miei? Diciamo che non sono messo male.
Li sapete anche voi, sia perché li vedete meglio di me, sia perché non li ho nascosti.
Codardia, superbia, vanità, presunzione, suscettibilità, permalosità, irritabilità, insofferenza, cocciutaggine. Ascolto poco, forse nulla. In rete almeno. Questo si esalta, esaspera.
Mi fermo qui per carità. Verso di me.
Però grazie a Dio ho un ottimo angelo custode. E una solida cultura.
Per cui so quando è il momento di staccare la spina.
Per difesa. Per auto-difesa.
E so distinguere la fuga del disertore da quella del prigioniero.
Game over.
Lascio la nave. Se affonda o meno lo direte voi, non io.
Lascio ma non senza spiegare perché.
Che poi sono mie convinzioni, mica sto spacciandole per verità.
Ma nella settimana in cui tutte le opinioni sono accettabili allora hanno diritto di spazio.
Si dice che questo sia un luogo aperto, luminoso, di grande dialogo.
Penso proprio di no. Anzi penso proprio il contrario.
Non è dialogo monologare con rabbia.
Non è dialogo non ascoltare e non fare neanche una domanda –chiusa di conferma, aperta di chiarimento: stai dicendo che…? che cosa intendi quando dici….?- vuol dire non ascoltare e non essere neanche interessato a cosa dicono gli altri.
Non è dialogo insistere che quelli buoni sono quelli che ti danno ragione e gli altri sono merde (oh, magari espresso con raffinati giri di parole si intende).
Non è dialogo lavorare sulle ipotesi, supposizioni, leggere le intenzioni, presupporre, anticipare.
Non è dialogo aggredire sistematicamente con insulti o in punta di penna affermando che non si ascolta.
Non favorisce il dialogo un padrone di casa che quando interviene dispensa complimenti solo da una parte –te l’ho già detto altre volte Mauro, crei invidia quando non cattivi pensieri, non mi piace. (Uno degli errori peggiori per un genitore è credere di educare i figli continuamente elogiando quelli degli altri e riservando ai propri solo ruvidità e bruscherie, era lo stile dei miei nonni con mia madre. Le conseguenze le ho pagate io. Mi sembra di rivederlo qui. Come dicono le battute sui social: mai una gioia!)
Non favorisce il dialogo un continuo attacco a colpi di citazioni dotte e ispirate, tirando per la sottana papi vescovi e santi.
E come vedete non sto dicendo che io non sia esente da questi errori.
Per questo saluto.

Ognuno di noi ha il dovere di salvarsi l’anima. Ed è anche un diritto.
Se sto qui me la rovino: perché il modo in cui queste discussioni si svolgono, solo raramente nello scorrere di un fiume al tramonto, troppo spesso in battaglie casa per casa, mi trascinano nel peccato e sempre più giù: lo scatenarsi di ira non è un segnale di dialogo e buona permanenza.
Ho il dovere di difendermi. E per farlo devo tornare a respirare aria buona che qui per me, e sottolineo per me perché tutto è relativo, non ne trovo.
Poi se volete la mia opinione è che qui c’è una persona buona manipolata, illusa e derisa da professionisti della menzogna e del male.
E sono molto duro e crudo. E pieno d’affetto. Perché io a questa persona voglio molto bene, oltre rispetto, e gratitudine, e non smetterò di volergliene e per questo glielo dico che le cose sono diverse da come le crede.
E che spero proprio tanto di sbagliarmi e sbagliarmi di grosso, e che questa sia una scemata e che ci vedremo e ci siederemo sui gradini e che rideremo della mia idiozia e il cielo si farà porpora e passerà uno stormo come si deve sempre nei film che finiscono bene.
Lo spero e ci prego.
Ma adesso ne cuore c’ho questo e lo dico.
Sta scritto qui da qualche parte che invece questo ambiente fa bene a tanti –e al tempo stesso garantisco, l’ha detto anche Mauro, che ad altri fa male, fa dolore, fa scandalo, ma questo lo faceva anche Cristo- e ne gioisco e spero che continui, che tutto concorre al bene.

Io corro altrove però verso questo bene. Che la giustizia a me dice di dedicarmi ad altro e non a ciò che mi induce a peccare. Perché io nel peccato ci credo e credo nel catechismo che non è una gabbia ma un manuale di dolci istruzioni per la felicità scritto da una madre amorevole sulla base di ciò che Cristo le ha insegnato e raccontato. Che voi potete anche non crederci.
Io sì.
Poi gli insulti fanno male e qualche carezza in più sarebbe stata gradita, l’amico che fa a botte per te (e non con te) lo speri sempre. Non l’ho visto se non i rarissimi casi. Deluso? Tradito? Amareggiato?Forse, ma come il personaggio dei Cesaroni, per strappare una risata.
Era poco che ero qui e mi hanno detto che mi si doveva pisciare sopra, esco con il viatico dell’intellettuale gastrointestinale: ho fatto carriera.
Chiedo, auguro a tutti di trovare qui la serenità e il bene che io non riesco a vedere –e sottolineo: che IO non riesco a vedere, non che non c’è- io vedo invece la linea del traguardo a 195 metri e ho giusto il tempo di un abbraccio e una preghiera. Per tutti. Ho detto tutti. Senza eccezioni. Che conto sulle vostre.

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