
Le Lettere di Gaetano Di Sabato – Il perché del dialogo e le realtà rovesciate
Gaetano Di Sabato scrive una lunga lettera che dividiamo in due parti (la seconda, dedicata al ddl Scalfarotto, sarà pubblicata giovedì 11.XII). Si riferisce spesso al forum Parliamo di omosessualità e alla Lettera di Michele Farina
Nel corso delle ultime due settimane ho dedicato molto tempo a dialogare con le persone che frequentano questo blog e il forum.
Ho proposto alcuni punti di vista, ho tentato di rispondere il più compiutamente possibile alle domande che mi sono state poste, ho scritto in generale dell’omosessualità e ho provato in alcuni casi a conferire alle mie parole il valore della testimonianza, raccontando di me e del mio privato. Soprattutto, ho voluto argomentare diffusamente le rivendicazioni civili del movimento omosessuale e nel far questo mi sono ritrovato in più occasioni anche a disquisire di diritto, di storia, di morale sessuale e addirittura di dottrina cattolica sulla base della mia personale visione critica (nel senso di approccio analitico, non di giudizio di valore).
Arriva però a un certo punto il momento in cui occorre rispondere a una domanda che ci si dovrebbe porre ogni volta che si intraprende una nuova sfida: perché lo sto facendo?
È fin troppo chiaro che non sono alla ricerca di benedizioni, né di autorizzazioni a essere ciò che sono e a vivere per quello che sento di essere. Non ne avverto il bisogno perché l’indipendenza intellettuale che mi sono conquistato scaturisce dalla necessità di arrivare a riconoscermi sempre e profondamente in ciò che professo e in cui credo, mentre la libertà che rivendico ed esercito si fonda su una consapevole assunzione di responsabilità nei confronti della libertà altrui. E in questo modo, il confine etico che pongo a me stesso mi rende impermeabile al giudizio morale di chi rispetta altrettanto quel limite e a maggior ragione di chi invece pretende di scavalcarlo in quanto ritiene che la tutela di sé passi per un’asserzione di superiorità, anzi di preminenza sugli altri. D’altra parte, il mio impegno non è primariamente finalizzato a promuovere un sentimento di simpatia nei confronti dell’omosessualità, quanto invece a presidiare quel confine e ad affermarne l’inviolabilità a tutela dell’indipendenza e della libertà di tutte e di tutti, anche di chi è contro di me.
E non lo faccio neanche perché io ritenga questo dialogo direttamente funzionale alla rivendicazione di quella parità giuridica che pure è una motivazione fondante del mio attivismo. In caso contrario, sarebbe come riconoscere che il mio “destino civile” è legittimamente nelle mani delle persone eterosessuali solo perché in maggioranza numerica o del sottoinsieme delle persone cattoliche in quanto fedeli a una tradizione culturale quantitativamente prevalente o finanche della Chiesa Cattolica in virtù di un’autorità di fatto esercitata grazie a un intreccio di interessi di rilevanza politica. La verità è che i principi fondanti dello stato democratico sorto in reazione alla traumatica e tragica esperienza dello stato etico fascista intendono la norma giuridica non come strumento di standardizzazione ideologica, bensì come tutela dei diritti della persona e come garanzia di una struttura sociale che consenta l’esercizio di tali diritti in un’ottica di pari opportunità. In altri termini, il fatto che certi diritti e certe opportunità siano concesse ad alcuni e negate ad altri è frutto di una sopraffazione ingiusta che viola quei principi. Ne consegue che la battaglia politica per la parità non si conduce facendo “marketing dell’omosessualità” presso le persone eterosessuali, quelle cattoliche o le gerarchie ecclesiastiche affinché concedano, secondo la propria liberalità e discrezione, qualcosa che neanche dovrebbe essere nella loro disponibilità negare, bensì richiamandosi e richiamando le istituzioni al dovere civile e costituzionale di sanare l’ingiustizia. Una battaglia questa che si protrae ormai da troppo tempo e che forse ne richiederà ancora molto, ma che sarà vinta. È inevitabile, inarrestabile come il tempo che scorre.
Dunque, perché lo faccio? A che serve tutto questo parlare di omosessualità? E perché, tra gli altri mezzi, in un sito d’impostazione cattolica? A fornirmi un ottimo spunto per spiegarlo è arrivata ieri la lettera al blog del signor Michele Farina.
Se si ripercorre la storia degli ultimi quarant’anni, occorre riconoscere che grazie al concorso di diversi fattori (non ultimo l’impegno di associazioni e di altri soggetti della società civile) è esponenzialmente aumentata la visibilità delle persone omosessuali ed è cresciuta l’attenzione dell’opinione pubblica nei riguardi delle problematiche correlate al superamento delle discriminazioni. Ciò ha innescato un innegabile progresso civile ma, come succede sempre quando una battaglia è in procinto di essere vinta, ha determinato anche un radicalizzarsi dell’ostilità in singoli e gruppi animati da fondamentalismo ideologico e/o pregiudizi culturali.
Da questa ostilità, sebbene nutrita da sacche ormai minoritarie della società civile e della politica, sgorga copioso un veleno fatto di disinformazione e mala informazione, di rovesciamenti di realtà e palesi menzogne, il quale non solo vizia e confonde il dibattito pubblico intorno al tema della parità giuridica, ma soprattutto alimenta il clima d’odio che mette a repentaglio la serenità e perfino l’incolumità delle persone omosessuali e transessuali.
Ecco perché, quindi, diventa indispensabile intervenire, spiegare, testimoniare. La promozione culturale diventa l’unico antidoto possibile per contrastare l’azione di quel veleno.
Nella sua lettera, il signor Farina inizia lamentandosi degli “insulti” di Sara Ghedina all’indirizzo delle Sentinelle chiedendosi candidamente: “Si possono racchiudere persone negli angusti e rigidi confini di un epiteto?”
Certo che no, verrebbe naturale rispondere. Occorre allora chiedersi se sia possibile relegare la valutazione morale o del ruolo civile delle persone a un unico aspetto della loro identità, l’orientamento sessuo-affettivo. Occorre inoltre chiedersi come bisognerebbe porsi di fronte alle tante espressioni di schifo e di insulto nei confronti delle persone omosessuali che affollano le pagine Facebook delle Sentinelle in piedi. Anzi, bisognerebbe chiedersi con quale faccia tosta coloro che rivendicano il diritto non solo di dichiarare ma anche di tenere ferma per legge l’inferiorità civile delle persone omosessuali e la possibilità di discriminarle concretamente possano poi lamentarsi di essere “racchiuse in un epiteto”.
Prosegue poi il signor Farina affrontando il fantomatico tema della “teoria del gender”, che in verità non è una teoria e men che mai un’ideologia. Probabilmente egli si confonde con quelli che si chiamano “studi di genere” (in inglese “gender studies”), i quali costituiscono un panorama vastissimo ed eterogeneo di ricerche ben lontano dal potersi configurare come “teoria” e adottano approcci di analisi che affrontano la questione esattamente al contrario di come sostiene la nostra Sentinella.
In primo luogo, dal punto di vista biologico/genetico non c’è alcun “indifferentismo”, né alcuna negazione della distinzione biologica tra i sessi. Il problema che viene posto da questi studi è di rilevanza socio-culturale. In altri termini, fermo restando il sesso (quello di nascita o quello acquisito in caso di transessualità), a quale esito sociale vengono destinate le donne e gli uomini? Il punto è: essere maschio o femmina implica una predestinazione sociale a un ruolo specifico nella cultura in cui si è immersi? Quello che il signor Farina chiama (ingenuamente devo dire) “senso comune” e che per essere tale evidentemente deriva da un retaggio culturale è sufficiente a incasellare in modo definitivo gli uomini in determinati ruoli e le donne in altri? Si capisce che se la risposta fosse affermativa, decenni di lotte per le pari opportunità (delle donne, mica degli omosessuali) andrebbero a farsi benedire.
Altra confusione è quella in cui il signor Farina cade per quanto concerne l’orientamento sessuale, il quale è di minima rilevanza ai fini dello studio dell’identità di genere. Come ho spiegato molte volte, l’identità di genere ha a che fare con il sesso a cui una persona sente di appartenere e all’aspettativa che la persona in questione e la società in cui vive nutrono nei confronti del sesso in questione. L’orientamento sessuale è invece semplicemente l’attrazione fisica ed emotiva verso un sesso o l’altro. A riprova di questo, non sono rari i casi di persone transessuali che compiuta la transizione sono attratte da persone del proprio stesso sesso d’elezione. Sarebbe bello, inoltre, che il signor Farina citasse uno studio scientifico in cui si dice che l’orientamento sessuale DEVE essere cambiato o deciso più volte nella vita. Già è improbabile che si possa decidere l’orientamento, figuriamoci saltellare da una sponda all’altra a piacimento (attenzione, infatti, qui non si tratta di bisessualità, il signor Farina parla proprio di passare da un orientamento a un altro, in modo radicale). Se questo fosse vero, significherebbe che anche gli eterosessuali hanno in un qualche momento della loro vita deciso di essere tali. Lei, signor Farina, si ricorda quando ha deciso di essere eterosessuale? Io personalmente non ricordo di aver deciso di essere omosessuale e non saprei da dove cominciare se volessi cambiare.
Insomma, il genere, secondo le definizioni degli studi in questione, è un concetto distinto dal sesso biologico. Ecco perché i sessi restano due e i generi invece sono molti di più, in quanto costruzioni culturali, non dati biologici né sessuali (in senso di orientamento).
Le giornate di formazione dirette alle figure apicali organizzate dal MIUR e dall’UNAR (dalla cui conduzione in realtà le associazioni sono state maldestramente escluse) non hanno nulla a che vedere con quanto dice il signor Farina, che mi sento di rassicurare su questo fronte. Sono fiducioso infatti che un dirigente ministeriale o un alto funzionario di polizia non sia suscettibile alla forza di persuasione dell’ideologia gender. Potrei immaginarmeli precipitarsi tutti a Casablanca come in una barzelletta o cominciare ad andare in ufficio travestiti, ma dubito che ciò possa verificarsi. Quella formazione è destinata prima di tutto a fornire a determinate figure dirigenziali un’informazione corretta sulla realtà omosessuale e transessuale e in secondo luogo a promuovere il rispetto per le differenti condizioni esistenziali (principio sancito nell’articolo 3 della nostra Costituzione). Il signor Farina non ha di che preoccuparsi insomma. Se la sua paura è che persone omosessuali e transessuali si siano coalizzate per convertire tutta l’umanità alla confusione sessuale, si sbaglia. Può anche tranquillizzarsi sul fatto che nessuno proverà a fargli venir voglia di cambiare sesso. Semmai, qualcuno potrebbe provare a fargli capire che le persone di sesso o orientamento diverso dal suo vanno rispettate e sono sue pari in tutto e per tutto. Sarebbe così terribile?
Il signor Farina prosegue quindi con questa sua strana opera di disinformazione citando il caso del Liceo Giulio Cesare di Roma. Non so quanti tra i frequentatori di questo blog abbiano letto il libro della Mazzucco. Onestamente non immagino cosa possa pensare dei programmi televisivi e degli spot pubblicitari che quotidianamente sono trasmessi sulle nostre reti chi dovesse ritenere le poche righe incriminate di quel romanzo un esempio esplicito di omopornografia. Occorre anche dire che i genitori sono sempre coinvolti in questo tipo di attività extra-curriculari (se non altro perché devono passare per il Consiglio d’Istituto in cui anche i genitori sono rappresentati). Vorrei anche che il signor Farina riflettesse su un altro aspetto e quindi mi rivolgo direttamente a lui: ha pensato che la maggior parte di quegli studenti nella vita incontrerà persone omosessuali o transessuali? Ha pensato che sicuramente tra quegli studenti c’è qualche persona omosessuale? Magari qualcuno o qualcuna che, come nel libro della Mazzucco, nell’ora di educazione fisica ha avvertito sentimenti d’attrazione verso un compagno o una compagna del proprio stesso sesso. E se la scuola deve preparare gli studenti alla vita, non è meglio rassicurarli sul fatto che se dovesse capitare loro di scoprirsi omosessuali o transessuali oppure di incontrare persone omosessuali o transessuali non hanno motivo di andare nel panico? Informarli che si tratta di una possibile eventualità della vita e che possono stare tranquilli, senza farsi macerare dai sensi di colpa o dalla paura di chi è diverso da loro? Oppure è meglio preservare i tabù, proteggerli da questa cosa naturale ma chissà perché demoniaca che è la sessualità? Poi però non lamentiamoci se questi ragazzi e queste ragazze affrontano la sessualità a caso, prendendo le informazioni da Internet e andando incontro a ogni tipo di pericolo, anche sanitario. Non ci stupiamo se un ragazzo dai modi un po’ effeminati o dagli abiti eccentrici viene martirizzato dai bulli. E a questo proposito ho un’altra domanda per il signor Farina: sono più diseducativi il libro della Mazzucco e i programmi di contrasto del bullismo omofobico oppure lo striscione “No checche ma maschi selvatici” portato al Giulio Cesare in quell’occasione da un gruppo politico recentemente dichiaratosi solidale con le Sentinelle? Mi domando perché di quello striscione nella “accurata” ricostruzione del caso compiuta dal signor Farina non ci sia traccia?
Sulla questione degli arresti in Germania è meglio che sorvoli, altrimenti trascenderei. Immagino abbia letto l’accurata ricostruzione di Tempi, imparziale fonte di informazioni sul demoniaco mondo LGBT. A proposito di estero, invece, vorrei che il signor Farina fosse informato del fatto che in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna, in Belgio, in Olanda, in Francia, in Danimarca e in diversi altri paesi a noi vicini, gli omosessuali godono di tutti o quasi i diritti degli eterosessuali e da anni si conducono campagne anti-omofobia nelle scuole e fuori. Non ci risulta che si tratti di società in dissoluzione dove gli eterosessuali sono una specie in via d’estinzione o il tessuto sociale si sta sfaldando o le scuole non funzionano più. Non so quali siano le fonti del signor Farina, ma a quanto ne so io (che un po’ pure viaggio quando le finanze me lo permettono) sono tutte società che stanno molto meglio della nostra. Magari vale la pena rifletterci. Mettersi in discussione di fronte alle esperienze altrui, in fondo, è segno di maturità. Mi risulta inoltre che le Sentinelle si siano schierate anche contro i programmi di educazione all’affettività che pure sono stati promossi dalle associazioni LGBT. Chissà, magari su questo hanno cambiato idea.
(prosegue la prossima settimana)