Blog / Lettere | 20 Novembre 2014

Le Lettere di Gaetano – Perché non è vero che le rivendicazioni civili delle persone omosessuali mirano a sfasciare la famiglia tradizionale

Le lettere ricevute da Don Mauro, i tanti commenti ostili ai suoi articoli, la cattiva informazione diffusa da movimenti come quello delle Sentinelle in piedi o da personaggi come Mario Adinolfi (che con la benzina usata per alimentare il presunto scontro tra religione cattolica e omosessualità si stanno costruendo una notevole visibilità mediatica e una proficua carriera) dimostrano che è tempo per le persone di buona volontà di armarsi di grande pazienza e di tentare di pacificare il conflitto con la forza dei fatti, del ragionamento, delle argomentazioni logiche.
In questo caso non intendo parlare di catechesi cattolica né di morale sessuale, non voglio proporre critiche, né mettere in discussione il giudizio etico del cattolicesimo. Voglio solo tentare di illustrare perché i cattolici non hanno nulla da temere dalle rivendicazioni di parità civile delle persone omosessuali nell’ambito di una società riconosciuta come inevitabilmente plurale e necessariamente laica, libera e democratica a tutela della religione stessa.
Ovviamente si tratta di un discorso che non potrà essere accolto da quanti dovessero aspirare alla teocrazia o non comprendere l’importanza di tutelare la libertà dell’altro di esistere in quanto tutela di se stessi, dal momento che ognuno è sempre “altro” rispetto a qualcuno.
Secondo alcuni (le recenti dichiarazioni di Bagnasco ne sono un esempio), dando seguito alle rivendicazioni della collettività delle persone LGBTQI si conduce allo sfascio la famiglia tradizionale. Tra tutti i pregiudizi sull’omosessualità, questo è sicuramente uno di quelli che rivela il maggior grado di inconsistenza.
Esistono sicuramente elaborazioni teoriche che si interrogano sui modelli tradizionali e li mettono in discussione, così come ci sono studi che invece li difendono e ne affermano la superiorità, ma questo tipo di dibattito non ha nulla a che fare con il merito e con il nucleo delle rivendicazioni civili del movimento omosessuale, che ambisce semplicemente alla parità dei diritti e dei doveri e al rispetto delle condizioni esistenziali degli individui, quali che siano.
Il movimento LGBTQI si batte per qualcosa. Non disprezza né discrimina l’eterosessualità né disconosce la famiglia costituita tramite il matrimonio tra uomo e donna (civile o religioso che sia). Si potrebbe dire, anzi, che le rivendicazioni della collettività delle persone omosessuali contribuiscono a esaltare la “famiglia” (nucleo sociale già da tempo in crisi non certo a causa dell’omosessualità), recuperandone il significato più autentico, ovvero quello di unione fra persone legate da sentimenti d’amore, le quali si assumono (questo sì nella migliore tradizione delle famiglie italiane) impegni e doveri reciproci di fronte alla società.
In fin dei conti, quello al matrimonio civile (sottolineo, “civile”) è essenzialmente il diritto di assumersi dei doveri e delle responsabilità, la cui entità è di gran lunga maggiore rispetto a quel poco di agevolazioni che attualmente la Repubblica italiana è in grado di offrire alle famiglie. Le prerogative delle coppie sposate (come ad esempio le norme sulla successione o il ruolo nelle scelte inerenti il trattamento sanitario del coniuge) sono in effetti perlopiù strumenti attraverso cui diventa possibile adempiere pienamente all’impegno reciproco.
Chi si oppone al matrimonio civile egualitario si oppone in sostanza a un’aspirazione alla responsabilità privata e sociale che al contrario dovrebbe essere considerata lodevole (per coerenza almeno da chi ha sempre pensato alle persone omosessuali come a esseri irrimediabilmente promiscui e frivoli), sia in senso umano assoluto sia perché dimostra di riconoscere, con le dovute attualizzazioni, proprio il valore degli ideali tradizionalmente più alti su cui si fonda la concezione della famiglia. Ne consegue che al contrario proprio coloro i quali si oppongono al matrimonio civile egualitario finiscono con lo svilire la “famiglia”, concependola primariamente o esclusivamente in termini di distinzione sessuale dei coniugi e deprivandola così di quella sostanzialità di affetti e responsabilità che ne è il vero collante.
Certi detrattori delle rivendicazioni delle persone omosessuali dovrebbero quindi riflettere bene sul servizio che rendono alla tradizione a cui tanto tengono quando diffondono certi pregiudizi e dovrebbero anche ricordare il fatto che mentre il movimento LGBTQI auspica la coesistenza e riconosce la pluralità dei possibili umani, essi desiderano invece relegare un’intera collettività al silenzio, all’invisibilità, possibilmente alla non esistenza, ponendosi quindi in totale contrasto con i più elementari fondamenti della libertà, della democrazia e dei diritti umani.
Per quanto alcuni lo neghino, da parte della collettività delle persone omosessuali non è in atto alcuna guerra per sostituire un modello con un altro, alcun tentativo di istituire egemonie morali, anzi al contrario la volontà è quella di innescare un progresso culturale e civile che dimostri come la valorizzazione e il rispetto delle differenze apportino ricchezza alla società e non implichino in alcun modo la sottrazione di diritti o la prevaricazione di un gruppo su un altro.
Questa è una verità che va oltre qualsiasi visione ideologica, in quanto deriva dalla diretta osservazione della storia e del presente: la storia insegna che la conservazione è perdente e che la prevaricazione conduce inevitabilmente al conflitto violento; il presente dimostra che nel mondo e nel nostro paese l’impegno familiare delle persone omosessuali è già una realtà concreta (indipendentemente dall’esistenza di leggi che lo riconoscano) e che da esso non deriva alcun danno sociale né alcun rischio democratico, anzi il contrario.

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