L’Huffington Post – La maestra che dice “prima o poi morirai” dice il vero ma non la verità
Cosa succede a un bambino cui la maestra dice “Tema: scegliete chi uccidere tra papà e mamma, perché prima o poi papà e mamma moriranno, fatevene una ragione, soffrirete ma poi passerà”? La morte è diversa se sei sotto il metro e trenta o se sei sopra il metro e ottanta. È differente, perché differente è la vita e quello che sai della vita. Un adulto, davanti a un titolo così, può pensare ad una Cogne al contrario. (Chiedo scusa per l’eccessiva sintesi di un fatto di cronaca drammatico: il delitto di Cogne). Un adulto sa come si entra nella vita e come ci si esce, sa che la morte è la fine della vita. Per un bambino le cose non sono così chiare e distinte. Per lui la vita è un vivere con dei confini ancora non ben precisi. È come vivere dentro un bosco: solo quando sei grande ed hai imparato la vita quotidiana ti chiedi dove inizia e dove finisce. Per i bambini è ancora tutto mischiato e per questo chiedono come nascono i bambini e cosa è successo al piccione spiaccicato in mezzo alla strada. Pare che quelle maestre abbiano voluto togliere le mutande alla morte. Hanno voluto dire che le cicogne non esistono, però al contrario: oltretutto riferito alla morte e alla morte più cruda, quella dei genitori. E hanno sbagliato alla grande, perché per un bambino non c’è chiara distinzione tra morte e vita e immaginare la morte dei propri genitori significa immaginare che la vita non c’è più, la loro stessa vita non esistere più. Significa essere buttati nel caos di qualcosa d’incomprensibile. Dire “prima o poi mamma e papà moriranno” è dire, in modo rozzo e contundente, una cosa vera ma non è dire la verità. Perché la verità non la cogli con la verità , non la spieghi con la verità, ma ci vuole un incontro. Non la puoi anticipare. La puoi solo guardare, solo incontrare. La verità è un incontro. Vive nella realtà. Ce l’hai davanti e la vedi. Se vedo un passero morto per strada, è sbagliato dire al bambino che dorme, ma infinitamente peggio è decidere arbitrariamente di mettere il bambino di fronte alla morte come concetto. Diventa un’astrazione terribile che si espande in loro come una goccia d’inchiostro nel bicchiere d’acqua. Se sei piccolo, la verità te la faccio vedere indicandotela con una mano e con l’altra mano ti tengo. Se sei accanto a lui puoi dirgli “questo uccellino è morto di freddo” e, se sei vicino, puoi anche trovare il modo di parlare della morte della persona cara. Ma devi farlo della morte vera, non di quella immaginata. Se fossero morti i genitori di un bambino di quella classe ci si poteva mettere vicino al banco vuoto del compagnetto e spiegare alla classe quello che vedevano: le maestre con gli occhi lucidi, il banco vuoto, le parole che non ci sono per dire il dolore che ora vi dobbiamo dire. E allora facciamo un disegno di quello che volete e facciamo un album e lo lasciamo sul banco di Pino, così quando torna sa che abbiamo pensato a lui e che lo abbiamo aspettato e che non è solo. È senza papà ma non è solo perché ci siamo noi. E poi, maestra, rimani in mezzo ai banchi e ti lasci trapassare dagli occhi che cercano di capire quello che le orecchie non capiscono, e dalle manine che si intrecciano sui banchi perché sono piccoli e la prima cosa che cercano è la mano di qualcuno, e se mamma non c’è, ti tieni le mani da solo. Chi ci è passato, capisce cosa dico. Così la verità la incontri. E anche se fa male non ti ferisce.
Qui il link a L’Huffington Post