Blog / Il Vangelo degli amici | 13 Agosto 2025

Don Giambattista Torellò, Corso di ritiro 11 – Povertà

Dicevamo, chissà ancora quante volte lo ripeteremo, che soltanto l’amore è giustificazione della nostra forma di vita che è tutta poggiata in Gesù Cristo. È a Lui che l’abbiamo data per amore. Da Lui solo è nutrita e a Lui ogni giorno la ridiamo nel sacramento dell’amore al fratello senza limiti e senza distinzioni. Niente può definire la nostra esistenza, nulla può avere in essa significato se non è espressione di questo amore, se non è al servizio di questo amore. Ma ora dobbiamo considerare che amore e povertà vanno strettamente vincolati. Perché, fratello mio, povertà è libertà. Non paupertas, sed amore paupertatis vir reputatur, diceva S. Bernardo. E virtù di povertà è quindi libertà, e soltanto chi è veramente libero può seriamente amare, cioè soltanto chi è veramente puro può veramente darsi. Ogni ricchezza ingombra, perché accresce la persona in modo quasi tumorale, e come ogni tumore finisce per mangiarsi la persona. Mai lo spirito grandeggia, se non completamente al margine dei beni materiali, e spesso anche a scapito di essi. E siccome l’amore è veramente una crescita, una maturazione, una espansione dello spirito – spirito che soltanto donando si trova e si nutre e si realizza – ecco apparire la povertà, ovunque spunta l’amore. E viceversa, ecco che l’amore si conserva (e si osserva solo se aumenta), soltanto nell’ambito della povertà. Già nell’Antico Testamento si avverte che soltanto i poveri sono i privilegiati, è il resto d’Israele di cui parla Sofonia, che si salverà dal totale disastro delle nazioni, che saprà veramente abbandonarsi all’amore gratuito di Jahvé: “E lascerò sussistere nel tuo seno un popolo umile che cercherà rifugio nel nome di Jahvé: il resto di Javhé”. Ma soprattutto passano ad un incredibile primo piano, sono i primi beati, è la povertà la prima richiesta della chiamata amorosa di Gesù Cristo.
Si vis, va vende quae habes et veni sequere me. E così la povertà, d’un tratto, si è trovata massimamente valutata. Dio s’incarna nell’ambito della povertà. Si fa povero, l’unico che è veramente ricco, l’unico che è veramente potente, e da Cristo in poi – in Cristo Jesu erat omnis homo – l’uomo vero, non si sentirà ricco, né puro, né forte, né degno, né alto se non entra in cammino di povertà. Cristo, fratelli miei, è sì il nostro modello, ma nulla fa soltanto per esserci di modello, per darci esempio. Egli è veramente uomo, Egli ha assunto la realtà della condizione umana temporale con tutte le conseguenze. Imitare Cristo non è scimmiottarlo dall’esterno, prendendone gli stessi atteggiamenti, ripetere i suoi gesti, ma farlo vivere veramente in me; prolungare in ognuno di noi la sua incarnazione, la sua povertà, il suo lavoro, la sua voce, cioè il suo amore.
E avendoci amato fino alla fine e servito senza farsi servire, Egli, facendosi uomo, si fa povero. Senza la sua povertà non c’è possibilità di vero servizio, né vera comunione di anime; ogni servitore si spoglia, ogni vera unione di amore richiede abbandono di tutto, disponibilità completa, nudità assoluta. La povertà subita, colpevole o no, rende facilmente iraconda una famiglia, acuisce i nervosismi, fomenta le mutue accuse, elvicendevoli critiche, i famosi bisticci dei poveri e i più ancor famosi bisticci delle famiglie rovinate. Contrariamente la povertà assunta, la povertà non soltanto accettata, ma addirittura amorosamente abbracciata, crea immediatamente un’atmosfera di bontà, di servizi reciproci, di facili perdoni, di aiuti generosissimi, e da luogo a quella famosa, semplice, sana allegria dei poveri, in cui una piccola cosa diventa un motivo di gioia.
Badate però che non si tratta che i beni materiali in sé stessi siano cattivi, no! Le cose sono buone. Ma diventano cattive se l’animo che le riceve o le possiede non è buono. Ma certo si deve dire che la ricchezza facilmente fa sviare questo animo dal bene al male, dalla generosità alla cupidigia, e perciò il Signore sui sacchi di scudi ha scritto: pericolo di morte! “È difficile che un ricco entri nel regno dei cieli”. Oh, ci sono stati scritturisti che hanno trovato la bella soluzione di pensare che la cruna non era veramente la cruna dell’ago, ma era la porta, e lì forse i cammelli dovevano soltanto inclinarsi un po’ per passare… No, no! È un ago, un ago, non un cammello. Queste le difficoltà dei ricchi di entrare nel regno dei cieli. Oh, i teologi… le inventano tutte, tutte. Il benessere materiale è una cosa buona. Ma, guardate, permettetemi una piccola digressione molto attuale nell’ambito della psicologia. Uno psichiatra americano di origine viennese, molto famoso, il dott. Spitz, ha consacrato diversi anni della sua vita allo studio del comportamento di neonati non desiderati dalle loro madri, male accolti. Egli li ha seguiti ed ha un filmato addirittura la vita di questi bambini nei primi giorni della loro esistenza, giorno per giorno, e poi li ha seguiti anche anno dopo anno. E ha potuto constatare, meravigliato, che persino gli istinti più elementari, quelli che servono alla nutrizione immediata, che persino gli istinti di motricità di questi esseri ancora così elementari e poco sviluppati; e più tardi si vede anche che il loro sviluppo fisico e psichico è ostacolato in proporzione all’affettività mancata. Egli ha visto persino come le cure materiali più perfette non riuscivano per niente a neutralizzare i disturbi generati dalla insufficienza affettiva. Egli poi, colpito da questi fatti, studiò anche e si rese conto come avvenivano fatti analoghi in bambini separati dalla loro madre prima del primo anno di vita, che pur ricevendo spesso in ospedale, in nidi di infanzi o asili molte più cure che nella casa propria, soffrivano notevoli disturbi a causa della cosidetta frustrazione affettiva, della mancanza del cosiddetto calore del focolare. Pochi anni dopo, quando l’organizzazione mondiale della sanità convocò la conferenza per l’igiene mentale profilattica, nel 1958, in essa accorsero lavori da diverse parti del mondo con risultati molto simili. E specialmente i lavori di una donna, la Dott.sa David, faceva vedere con una chiarezza e con statistiche abbondantissime, come i bambini allevati in clima di alto benessere, ma staccati dall’amore materno, soffrivano alterazioni fisiche, intellettuali e affettive inevitabili. Non bastano il benessere materiale, né le carezze, né i vezzeggiamenti, perché, come diceva Spitz, il bambino ha lunghe antenne e capisce perfettamente se è bene accolto o no, se ha un vero contatto con l’ambiente, se lo si prende sul serio, se si ha bisogno di lui. Se ciò manca, egli non solo soffre disturbi fisici, ma addirittura si ritira, la sua personalità si rattrappisce, si isola e diventa a poco a poco un nevrotico o uno psicotico. Egli ha bisogno sì di molte cure materiali, ma più ancora di essere trattato sin dall’inizio da persona umana. Guardate, da questi fatti non si può derivare per niente che il benessere e le cure materiali siano un fatto riprovevole, ma che è più importante ancora che questo benessere sia espressione di affetto e di stima, che esso fomenti lo sviluppo della persona, che, contrariamente, non sia un contentino per opprimerlo, per soggiogarlo, per scaricarsene o peggio ancora paternalisticamente tenerlo buono. Deploriamo tutti, ed io lo accennavo stamane, che il benessere generalizzato, cui tende tutta la società contemporanea, ha il benessere pianificato, programmato, statale spesso, elimina il rischio, deprime l’audacia, genera le ansie, meccanizza la vita, favorisce la mediocrità. Ma bisogna capire che il rischio è un valore quando è liberamente scelto, non quando è il risultato di una ingiustizia sociale subita. Bisogna capire che l’audacia è una virtù soltanto quando la persona arrischia soltanto per un grande valore, per un grande fine. E questo rischio e questa audacia, liberamente abbracciati, si trovano presenti in tutti i lavori, dai lavori più modesti e più materiali, ai lavori più intellettuali e creatori. Chi non rischia non rosica. E ogni vera creazione umana, ogni avanzamento nell’amore, nella verità, sempre suppone una certa posizione di rischio, una certa posizione di audacia, però scaturita dal fondo dell’animo generoso. Bisogna eliminare per giustizia la possibilità di morire di fame, di perdere il lavoro, di essere socialmente umiliati, di mancare di un certo livello di comfort, non perché tutto ciò sia veramente un bene per l’uomo, è necessario che tutto ciò egli lo abbia in quanto uomo, in quanto membro vivo di una società viva, cioè in quanto essere che ha bisogno di essere accettato come uomo, cioè come una persona in una società in cui regni l’amore fraterno. È giusto che l’uomo quindi desideri maggiori sicurezze, maggiori comfort, più tempo libero, ma non godrà di tuti questi vantaggi che nella misura in cui egli si sentirà libero e personale. È quello che ha accennato Giovanni XXIII nella sua Mater et Magistra. Quel che è inumano, quindi, non è il benessere, ma il vendere il diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie, anche se le lenticchie moderne si chiamano superfrigider o superapparecchio TV o lavatrice elettrica… E tutti sappiamo che quando una società perfettamente organizzata, perfettamente attrezzata, non gode della libertà dei valori spirituali, non gode dell’amore fraterno e si vive individualisticamente e si sente egoisticamente, queste società vanno facilmente verso una rovina, che è la più grave di tutte le rovine umane, che è la rovina della persona, che è la rovina dello spirito, come si avverte in queste società europee, quelle che hanno un più alto tenore di vita, che purtroppo accolgono anche la più alta percentuale di suicidi e la più alta percentuale di malattie mentali.
Il diritto alla primogenitura, fratelli miei, che non si può vendere per un piatto di lenticchie è il diritto alla vita, è il diritto alle scelte vitali, alle scelte spirituali, all’amore, al rispetto vicendevole, cioè il diritto ai valori dello spirito. Ciò che è male, quindi, è abbassare l’uomo alla categoria di essere puramente, bisognoso di benessere materiale, sia in una società liberistica, sia in una società socialista, non importa. Vi sono materialismi di tutti i colori, ormai si sono vestiti tutti benissimo. Quello che non si può fare è quello di creare per l’uomo delle divinità visibili e negargli il pensare, l’agire, l’associarsi ed… anche il ribellarsi se occorre.
E il prete, fratello mio, deve far brillare in questo mondo agli occhi di tutti, dei ricchi e dei poveri i valori dello spirito, il mondo dell’ unum necessarium e pur stando per una maggior equità e per una migliore distribuzione dei beni terrestri, senza mettersi in politica – e questo è un vizio di certa società che i politici facilmente fanno i preti e i preti fanno facilmente i politici – questo scambio non l’ ho capito mai. Dunque senza mettersi in poltica, pur clamando per una giustizia sociale, egli deve essere sempre un seguace di Gesù Cristo che ha moltiplicato i pani, ma che ha calmato chiaramente di fronte a tutti che non solo di pane vive l’uomo. E il prete saprà essere il rappresentante vero di Cristo, il difensore dello spirito, soltanto se egli è volontariamente povero.
S. Tommaso diceva che Gesù Cristo volle essere povero per quattro motivi: per avere libertà nel predicare, come ha bisogno di questa libertà il prete che predica la prima beatitudine: beati pauperes spiritu. Volontariamente poveri che accettano la povertà con lo spirito e che non spogliano lo spirito di qualsiasi cupidigia, quoniam ipsorum est regnum coelorum. Ed è difficilissimo predicarlo ai ricchi ed è difficilissimo predicarlo ai poveri, per diversi motivi, si capisce. Ma è difficilissimo.
E questa beatitudine facilmente la intaschiamo.
Continua S. Tommaso: Cristo volle essere povero per mostrare che Egli cercava la salvezza eterna della persona umana e tu ed io a questo ci siamo consacrati. Per indurre a desiderare i beni eterni, non tutto ciò che è caduco, e per manifestare che è la forza divina che salva l’uomo e non i soccorsi umani.
Perciò, ti ripeto, il prete deve essere un povero volontario. Altrimenti non avrà né influsso sui poveri, né influsso sui ricchi. Non avrà serenità di giudizio. In questo mondo agitato da tante problematiche sociali, non saprà onorare la povertà come un gran signore, “madonna povertà”. E scivolerà a destra o a sinistra, ma scivolerà ineluttabilmente. O si arrenderà ai potenti o farà il curatino rivoluzionario; che poi è tanto facile, perché basta avere un po’ di sangue nelle vene e percorrere un po’ i sobborghi delle nostre città. Ma anche il rischio di cadere in una carità sdolcinata, straordinaria, paternalistica, di vecchia dama inglese, eh eh!, che compatisce i suoi poveri, già, i suoi poveri, come ha le sue pellicce, i suoi poveri e li compatisce, come compatisce i gatti sperduti e i tori delle corride.
Anche Giuda fu un filantropo. La carità, fratelli miei, la carità mah… che difficile la carità; la carità che assume la giustizia e la supera da ogni lato; che supera soprattutto quella giustizia meccanicistica, materialistica, che in fondo libera dalla libertà personale, dall’ingaggiamento personale, dall’amore fraterno che si accontenta di dare lo stretto necessario.
E qui… oh… il dare il superfluo… e qui anche subentrano i moralisti e ne dicono di tutti i colori. Mah! Adesso non dite che io vi dico di non studiare teologia morale, eh! L’amore capisce che deve dare molto di più, semper: è insaziabile l’amore. Capisce che l’uomo ha bisogno di beni materiali, ma ha anche bisogno di affetto e di gioia e perciò non ti adirerai se quando tu dai poche lire a un povero e questo se le spende in vino, perché lui ha bisogno di alimentarsi ma ha anche bisogno di gioia.
Ricordi come brontoloni erano gli apostoli, si fecero avanti quando Maddalena, rotto l’alabastro, spese ai piedi di Cristo il profumo ricchissimo. Scandalizzati tutti! Ma per capire che tutte queste sottigliezze dello spirito e tutte queste sottigliezze dell’amore, fratello mio, è necessario che ognuno di noi viva un grande distacco: “Non siate troppo solleciti della vostra vita, di che mangerete o di che berrete, non preoccupatevi tanto del corpo”. – Poi vengono tutte quelle manie sanitarie, noh? – “Di che vi vestirete, non preoccupatevi del domani”. Eh che lo vivano questo i preti!
La tua povertà inoltre esigerà cure materiali umilissime. E io, alle volte, soltanto entrando nella stanza di un prete capisco il suo spirito di povertà, per come tratta i suoi libri, le sue vesti, le sue scarpe, se è pulito, se è ordinato. Tutto questo è povertà, fratelli miei. La povertà che è buon gusto anche, che non è tirchieria, che non è ridicolaggine, che non è sudiceria, anzi… anche S. Bernardo diceva: “Mihi semper placuit paupertas, mi sembra, numquam vero sorditas”, mai la sporcizia. Non un bagno lussuoso da dive del cinema, ma una buona doccia fredda fa bene al corpo e all’anima. Una volta una signora mi ha chiesto se avevo fatto il voto di miseria… “No signora, no! È di povertà, di povertà!”. È una cosa molto diversa.
Cercate soprattutto di non avere troppe cose necessarie, di non crearvi bisogni. Cercate di saper prendere il peggio, di nascosto; di non lagnarvi mai, di accettare con gioia se qualche volta ti viene a mancare il necessario. E attenti, attenti ai piccoli atteggiamenti, ai piccoli attaccamenti, alle piccole cose, alle volte caratteristiche delle anime date al Signore. Attaccarsi al libro: ridicola cosa! Attaccati al tempo, attaccato non so… alle paste al sugo, o alla siesta insopprimibile. E che sia discreta la tua povertà, che non sia clamorosa, che non sia ostentata… da scarpe ridenti, da polsini logorati. Per favore… che sia discreta. Che non sappia la tua mano destra quello che da la sinistra. E non stimmate nemmeno, sempre che possibile, questa carità clamorosa: “Questo mattone l’ha regalato il signor tale: lettere d’oro! “La campagna del metro quadro”, che faceva un buon frate nella mia terra. Attenzione! Lettere d’oro, lettere d’oro.
Insegnate e vivete la carità discreta, la carità occulta, la povertà che si nasconde, che si nasconde nel lavoro, come Paolo, fabbricante di tende, come Cristo fabbro. Povertà che non sia urtante, che non sia mortificante per gli altri “ut non scandalizemus eos, vade” a cercare una moneta nella bocca di un pesce. Miracoli per non essere eccezionale, per non crearti diritti speciali di uomo povero, che è un mjodo paradossale di essere ricco.
Che sia completa la tua povertà, nei beni materiali e anche nei beni dell’intelletto, del cuore e dello spirito. Non ingannare Iddio, né gli uomini, e ricordati della storia di Anania e Saffira. Fratelli miei, vi ripeto, la povertà è la tua libertà. “Volo vos sine sollecitudine esse”. E quel giovane che compiva tutti i comandamenti: che posso fare ancora di più?”. “Va, vende quae habes et da pauperibus. Et abiit tristis”. “Habeat multas possessiones”. E invece, te ne ricordi del ballo di allegria di Francesco di Assisi nella sua perfetta letizia? Al suono di un violino immaginario, fatto con due tronchi di albero. Se sei povero, sarai allegro.
E allora desidererai soltanto Dio e Dio ti visiterà. E tramite te visiterà questo mondo cupido.
E la Madonna che l’accolto in quei poveri panni “et reclinavit in presepio” il Dio fatto uomo, vi insegni questa strada di povertà di cui tanto bisogno ha la Chiesa di oggi, di cui tanto bisogno ha il mondo d’oggi.

Cliccare qui per tornare all’indice

I commenti sono chiusi.