Articoli / Blog | 07 Agosto 2024

Blog – Il Cristianesimo è possibile solo come comunione

La Tradizione della Chiesa collega da sempre il miracolo della Trasfigurazione all’evento doloroso dell’orto degli Ulivi: Pietro, Giacomo e Giovanni vengono chiamati da Gesù ad essere presenti sul monte Tabor e agli stessi tre il Signore chiede vicinanza il Venerdì Santo, quando suda sangue pregando.

Il progetto dell’Uomo di Nazareth era che il ricordo della sua Trasfigurazione di Gloria avrebbe dovuto aiutare i tre discepoli durante la sua “trasfigurazione di sangue”. Il Prefazio del 6 agosto recita: “Dinanzi a testimoni da lui prescelti egli rivelò la sua gloria, e nella sua umanità, in tutto simile alla nostra, fece risplendere una luce incomparabile, per preparare il cuore dei discepoli a sostenere lo scandalo della Croce”. Una tradizione orientale sostiene addirittura che la data del 6 agosto – 40 giorni prima del 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa Croce – sia stata scelta dalla Chiesa per consentire ai cristiani una sorta di “quaresima” in preparazione, appunto, dell’incontro con la Croce. Come sappiamo però, il progetto di Cristo fallì. Nell’orto degli ulivi i tre apostoli, sommersi dal dolore, caddero in un sonno che li protesse dalla terribile visione della sofferenza del Maestro. Perché accadde questo?

Le motivazioni possibili indubbiamente sono molte ma, da qualche tempo, io sto dando particolare rilievo ad una circostanza che pare secondaria ma che forse è importante. In tutti i Vangeli sinottici quando si racconta la Trasfigurazione si sottolinea che Cristo proibì ai tre testimoni di parlare di quanto era stato loro mostrato se non dopo la sua morte. Evidentemente non poteva rischiare di confermare nei discepoli l’idea, già da loro più volte manifestata, che il Regno dei Cieli fosse un impero che avrebbe scalzato quello dei romani. Di fatto però questa indicazione rese la condivisione del miracolo anche difficile tra loro: pare di capire che essi non solo non ne parlarono con altri discepoli ma neppure l’un con l’altro. Ho questa convinzione perché ho l’esperienza che quando si sa che di una cosa “non si deve parlare” allora è molto difficile condividerla anche solo con chi la conosce: si tende a tacere sempre. Non se ne parla. Punto.

Questa dinamica potrebbe essere alla base di un sonno che ha il sapore della fuga psicologica, della rimozione. Perché il mero ricordo mentale di un avvenimento, se non è accompagnato da una condivisione relazionale e comunitaria, è molto difficile che sia sufficiente a reggere l’impatto con la realtà: che divenga qualcosa di esistenzialmente valido. Un ricordo è una cosa solo mentale. In una relazione invece qualcuno esternamente a noi ci dice: no, non era così, era in un altro modo, non ti ricordi? E, in qualche modo, perché si è assieme, si ritorna a vivere quell’evento.

Se i tre apostoli non si fossero mai raccontati quanto accaduto al Tabor non si sarebbero mai detti “non ti ricordi quanto avvenne quando si trasfigurò: allora avemmo fede perché non dovremmo averla ora?”. E quindi sarebbe stato per loro più facile dimenticare. È solo un’ipotesi, ma a me sembra degna di nota.

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