Articoli / Blog | 25 Febbraio 2022

Blog – Pregare perché si ama sentendosi amati

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”: il grido di Cristo sulla croce è il grido di Kiev stasera, è il grido della gente ammassata nella metropolitana, della gente di Odessa che si è vista passare sopra la testa elicotteri che sparavano colpi su colpi, è il pianto di un bambino che urla spaventato dopo un colpo di mortaio. La guerra in tutta la sua drammaticità è entrata nelle nostre case da ieri mattina e di fronte alle minacce di Putin, al dolore della gente, della nostra impotenza ci chiediamo tutti che senso abbia pregare, che senso abbia seguire l’invito alla preghiera e al digiuno per la fine della guerra fatto dal papa per il 2 marzo. Che la preghiera non serva ad ottenere la pace come la vorremmo noi ora, o comunque ciò che desideriamo qui ed ora, adesso, è persino banale dirlo: se la preghiera fosse questo, non sarebbe possibile accettare un Dio che interviene nella storia dell’uomo rispettando la sua libertà, che ha tollerato i capi di concentramento, i gulag, le torture, il dolore innocente, la sofferenza dei bimbi. Non sarebbe tollerabile e anche la fede più tetragona crollerebbe di fronte ad uno scandalo di un Dio capriccioso e umorale che ascolta solo alcune preghiere e altre no e che comunque escluderebbe tutta quella porzione di umanità che non lo conosce, che non crede.
Se la preghiera dunque non è questo perché non può essere una sorta di mercimonio con una domanda e un’offerta, cosa significa pregare per la pace, digiunare per la pace sapendo che forse non vedremo la realizzazione di ciò che desideriamo?
La preghiera intanto è una voce, un anelito comune che si eleva verso l’alto e unisce tutti gli uomini e le donne di buona volontà. È una voce che si innalza nel deserto ma che non è la voce di uno solo: è la voce di tutta l’umanità. È la realizzazione di quell’ ut unum Sint che chiama e attira la presenza di Dio perché è il riverbero umano dell’amore nella Trinità. Pregare non vuol dire chiedere per ottenere ma chiedere perché si ama sentendosi amati. Chiedere sapendo che c’è un Nome, un Cuore, un Volto, uno Sguardo cui chiedere, anche semplicemente urlando il proprio dolore. Pregare è riconoscersi fratelli e figli e ribellarsi tacitamente alle violenze della guerra e alle sue assurdità. Pregare non significa evocare una cabala divina misteriosamente a lieto fine ma una scintilla che nasce dalla carità, accende la speranza, aumenta la nostra fede e ci tiene uniti in questi momenti di smarrimento.

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