Blog / Lettere | 21 Febbraio 2022

Le Lettere di Suor Lorena – Ricordatevi dei carcerati

CUM PANIS! Il colloquio con i fratelli detenuti come strumento di compagnia: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere” (Eb 13, 3a)

L’autore della lettera agli Ebrei indica quale sia il modo più vero di fare memoria dei nostri fratelli detenuti.
“Come se foste loro compagni”. Compagni: Cum panis! Espressione antica che deriva dal latino. Si tratta di coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che mangiano lo stesso pane sono coloro che condividono l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lotta, sofferenze, attese, speranze.
Il compagno è colui che condivide la stessa sorte, la medesima condizione dell’altro; come se si trovasse nella stessa situazione.
Questo atteggiamento di prossimità che la lettera agli Ebrei ci propone è l’esperienza che vivo ogni volta che mi reco nel carcere di Rebibbia.
Tra le diverse attività che si possono svolgere (colloqui, catechesi, carità) tra i fratelli detenuti quella dell’ascolto che si fa compagnia è la più umana e profonda che si possa offrire e ricevere.
Il colloquio si svolge in una piccola stanza, un tavolo e due sedie! Essenziale l’arredo come essenziale l’incontro fatto di sguardi limpidi e profondi che altro non cercano di far sentire lo sguardo di Dio sempre amorevole e misericordioso. Purificato da ogni tipo di giudizio il dialogo con coloro che si trovano in carcere non risolve i loro problemi, ma attenua le fatiche, abita la solitudine e consola il cuore, si prende cura!
La cura che cerco di trasmettere ad ogni fratello detenuto consiste prima di tutto nella costruzione di un sincero e cordiale rapporto umano che rimandi ad ognuno la certezza che nessuno può togliere la dignità insita in ogni uomo anche se si sono commessi gesti spesso disumani.
Così Girolamo descrive i nostri incontri: “parlo con lei madre perché dalla prima volta che l’ho conosciuta il suo sguardo mi ha colpito! I suoi grandi occhi pieni di gioia nel volermi aiutare mi hanno reso felice nell’anima “grazie ancora per essere stata l’unica persona che con semplici sguardi e con poche parole ha saputo leggermi l’anima”.
Lettura dell’anima e condivisione del vissuto nascosto a molti come scrive Aristide: “voglio scriverle per rivelare cosa lei mi ha trasmesso in questo mio nuovo cammino: le dico che con lei mi sono aperto tantissimo parlando dei miei problemi personali nonostante ci fossero altre persone amici e conoscenti…il suo sorriso e la sua calma mi trasmette sicurezza in più per affrontare la mia detenzione. Mi sento un altro uomo…sto facendo di me un capolavoro ed è entrato in me lo stupore”
Ospitare nel proprio cuore la storia, spesso drammatica dei detenuti, è far sentire loro la predilezione di Gesù per i peccatori e la volontà di Gesù” che nessuna si perda” di coloro che il Padre gli ha affidato. Anche quando un cammino di fede non è mai stato percorso!
Lo esprime bene Arnaldo “Non ho mai frequentato chiese, e non ho mai pregato, ma quando guardo lei sento che esiste del buono e forse quel buono che sento è Dio che sta facendo di lei il suo portavoce, sta facendo di lei un suo tramite per raggiungermi”.
Per questa ragione questi fratelli che si trovano in detezione hanno diritto di essere aiutati a vivere “non come se il tempo del carcere gli fosse irrimediabilmente sottratto: anche il tempo trascorso in carcere è tempo di Dio e come tale va vissuto; è tempo che va offerto a Dio come occasione di verità, di umiltà, di espiazione e anche di fede”. (San Giovanni Paolo II, messaggio per il giubileo delle carceri). Dal confronto con questi fratelli imparo che anche il tempo trascorso in carcere è tempo generativo, un tempo prezioso, per rinascere a vita nuova: opportunità preziosa per ricominciare.
Frequentare e sostare con questi fratelli detenuti rafforza la convinzione che nonostante gli errori niente e nessuno è definitivamente perduto e che, essere reclusi come ogni altra esperienza negativa, non separa mai dall’amore di Dio e dalla sua chiamata ad essere salvati.
Fabio conferma: “Cara suor Lorena, vorrei esprimerle, oltre alla gratitudine di quanto ha fatto per me, l’ammirazione e la meraviglia per la luce che illumina la sua missione. Alle persone come lei, e soltanto ad esse, è concesso il massimo che si possa ottenere nella vita terrena: riuscire ad essere, nel pieno della Grazia, vero e sacro tramite tra Dio e gli ultimi della terra. Vorrei essere come lei”.
Queste brevi testimonianze e molte altre dicono come il dialogo solidale con i fratelli detenuti diventa olio che solleva dal dolore, o vino che guarisce le ferite; è il bicchiere d’acqua (cf. Mt 10,42) offerto al più piccolo certi della parola di Gesù: “Tutto quello che avrete fatto ad uno solo di questi fratelli più piccoli lo avrete fatto a me. (Mt. 25,40).
Tutto questo e molto di più “senza nessuna distanza di sicurezza”!

Nota: Si precisa che per motivi di privacy e rispetto i nomi dei detenuti citati sono nomi fittizi.

Suor Lorena Bonardi nasce a Salò (Brescia) il 15 marzo 1969. Emette la professione religiosa perpetua il 26 agosto 1995 nell’Istituto delle suore Sacramentine di Bergamo. Consegue il diploma accademico di Magistero in Scienze religiose presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma e il diploma di counseling spirituale in ambito cattolico presso il Pontificio Istituto di spiritualità Teresianum (Roma). Dopo essere stata docente per 22 anni, è attualmente Responsabile della comunità religiosa delle suore Sacramentine a Roma e gestisce la casa di spiritualità Santa Geltrude Comensoli a Roma Pietralata.  

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