Articoli / Blog | 10 Dicembre 2021

Blog – Patrick Zaki: quando per vivere bisogna scrivere

Patrick Zaki ha resistito all’ingiusta prigionia, scrivendo e leggendo. Cioè, in sostanza, lo ha salvato la scrittura propria e degli altri. Mi è tornato in mente quanto si diceva di Aleksandr Solženicyn: e cioè che, negli anni di gulag, non potendo scrivere, aveva composto centinaia di versi imparandoli a memoria e recitandoli con l’aiuto di un rosario fatto da alcuni prigionieri lituani con cento piccoli grani di pane ammollato e strizzato.
“A qualcunio scrivere è necessario per sopravvivere”. L’ho ripetuto tante volte, soprattutto durante gli incontri in cui si parlava di qualche mio romanzo. Perché lo stretto legame tra la sopravvivenza e la scrittura è tale nella narrativa, nella poesia, quando cioè la parola segue principalmente non il ragionamento ma il profondo dell’animo. Secondo Jung l’inconscio è dove noi buttiamo tutto il vivere che non riusciamo ad integrare nella nostra vita, e lo scrivere di cui parlo butta la propria ancora proprio lì. In me avviene con un’enorme sofferenza che monta tra due forze: una che spinge a scrivere e l’altra, la paura, che paralizza. Alla fine, è inevitabile, vince la spinta a scrivere. La vita sconfigge la morte. Ovvero si comincia a digerire, a guardare, ad assimilare quella parte della proprio vita che si vorrebbe con tutte le forza che non fosse mai avvenuta. Perché, e quanto sto per raccontare è una terribile verità, la vera scrittura nasce dalla sofferenza. Dal dolore.
Zaki benvenuto tra noi. I sopravvissuti

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