AGI – Il lavoro dei rider nelle nostre città è diventato una schiavitù
AGI – Da bambino mi impressionavano i documentari sull’India. Ricordo ancora il nodo allo stomaco che mi veniva quando vedevo i poveri conducenti dei risciò: a volte sui pedali, più spesso a piedi, si ammazzavano di fatica per condurre da ua parte all’altra della città uno o due persone benestanti del tutto disinteressate alla fatica di quel “cavallo umano”. Era l’immagine inesorabile e indiscutibile di un mondo in cui le persone non avevano tutte la stessa dignità: c’erano alcune ridotte ad essere strumenti, forza meccanica, di altre.
La vita dei moderni rider delle nostre città occidentali, sta diventando sempre più simile a quella. Anzi, da qualche ora, in Svizzera, è un vero e proprio inferno. Siamo a Lugano, a pochissimi chilometri dal nostro confine. Lì, il già massacrante lavoro del rider è diventato una schiavitù.
I fattorini di Divoora che prendono i pasti al ristorante e lo portano a casa sono stati costetti ad accettare un contratto che prevede di essere pagati (pochissimo) solo per i minuti di effettivo lavoro: circa 30 centesimi di euro al minuto. E si si va più lenti si viene penalizzati dalle recensioni negative, si precipta in fondo al ranking, le chiamate diminuiscono e si rimane senza lavoro. “Se, ad esempio, ricevo un’ordinazione con ritiro alle 20.05 e consegna alle 20.25 – racconta un rider di Divoora sul portale Ticinoonline – sarò pagato solo per 20 minuti. E se cerco di andare più piano per guadagnare qualche minuto e dunque qualche soldo, poi dal servizio centrale non mi contattano più perché dicono che sono lento”. Non viene pagato l’andare al ristorante dove si raccoglie il pasto né il tempo d’attesa: ha valore (pochissimo valore) solo il tempo netto del viaggio per il trasporto.
Oltretutto, chi fa le consegne, deve sempre tenere d’occhio le notifiche del telefonino, con il grave rischio di incorrere in incidenti o prendere multe. A tutto ciò si aggiunge che praticamente l’intera relazione avviene tramite una app. Il tempo dell’incontro personale è ancora più ridotto. Non c’è più un uomo, una donna, una persona. Neppure il momento del pagamento è più umano. È stato sottratto anche il momento della retribuzione che era il riconoscimento di quanto creato. Un conforto della dignità dell’uomo e della sua capacità di fare e trasformare la realtà. Un incontro con chi mi guarda negli occhi e mi stringe la mano. Una persona che mi fa percepire come la mia attività si inserisca nella dinamica della società. Come lavorando possa essere una persona migliore per me, per le persone a me care e per l’intera società.
L’incontro tra Divoora e il principale sindacato svizzero del settore è previsto a breve. Ma le speranze che le cose migliorino sostanzialmente non sono molte.