Blog – Squid Game. Il gioco è finito: da adesso è tutto vero
Anche io, come tutti, sto guardando Squid Game, la fiction sud coreana in nove episodi che parla dell’essenza della nostra vita: e lo fa, al contempo, in modo assoluto e disperato, estremo e serio. Proprio perché ambientato in un gioco. Non è fantascienza, è realtà.
Nella Corea del Sud di oggi 456 persone in estreme difficoltà economiche accettano di partecipare a un gioco che ha in palio una cifra enorme. All’inizio danno a chi li ingaggia tutti i diritti sul loro corpo ma non sanno che questo implica anche essere uccisi.
La sto guardando in spagnolo perché la versione italiana esiste solo sottotitolata. Questo paradosso avviene perché Netflix, che l’ha lanciata in Corea del Sud a metà settembre, non si aspettava che diventasse immediatamente virale in tutto il mondo. Per cui, semplicemente, ancora non è stata doppiata in italiano.
Squid Game ripercorre, in negativo, la strada dell’umanità. Il gioco, la commedia, il teatro nascono perché lì si possa raccontare la tragedia della vita così da poterla allontanare. La sua rappresentazione edulcorata consente di rifletterci, meditarci nel profondo, comprenderla, darle un senso, e quindi prenderne le distanza, emanciparsi da essa. Nel gioco del calcio il portiere che subisce un gol viene ucciso dall’attaccante che urla “urrà”, ma la morte non è vera: è solo una sconfitta. In palio ci sono punti e vittorie, non lacrime e sangue veri. Tecnicamente si chiama funzione apotropaica della dimensione ludica.
In Squid accade il contrario. Se, finita la canzoncina – è uno spoiler ma solo della prima puntata – ti muovi invece che fermarti ti eliminano nel senso che ti sparano. L’eliminazione è dalla vita non solo dal gioco. È vera.
Ieri ero in treno e nella mia carrozza rampanti trenta-quarantenni sulla tratta Milano-Roma guardavano Lee Jung-jae e Park Hae-soo in Squid Game. Forse non lo sapevano, ma stavano pensando all’ufficio, alla famiglia, all’amicizia che avevano appena lasciato a Milano o che stavano per trovare a Roma. Perché il gioco è finito. Da adesso è tutto solo vero