Don Massimiliano Nastasi – XVIII domenica del Tempo Ordinario /B

Es 16, 2-4.12-15    Sal 77    Ef 4, 17.20-24    Gv 6, 24-35

 

La XVIII domenica del tempo ordinario ci propone la seconda delle cinque sezioni del capitolo sei del Vangelo di Giovanni sul pane di vita, pericope liturgicamente suddivisa per offrire una maggior comprensione del rapporto tra il Signore e la sua continua presenza nella Chiesa nel sacramento della Comunione. La tradizione, infatti, non dubita ad associare l’Eucaristia con il «il pane dal cielo» (Gv 6, 32), «pane degli angeli» [1] ora fattosi alimento dell’uomo.

Il Maestro, dopo aver compiuto il suo quarto segno del prodigio dei pani e dei pesci, l’ultimo nella regione della Galilea, di fronte alla gente che contenta di aver mangiato a sazietà lo riconosce come profeta e re, si ritira «di nuovo sul monte, lui da solo» (Gv 6, 15). L’identificazione di Gesù al re messianico e al profeta Elia – l’unico che non è morto e che tornerà per rinstaurare l’antica monarchia davidica – è garantita proprio dal segno dei pani. La credenza popolare, infatti, attendeva proprio negli ultimi giorni di Israele il rinnovo del prodigio della manna come indicatore della fine delle sue sofferenze: «E coloro che avevano avuto fame saranno deliziati e, ancora, vedranno meraviglie ogni giorno. Venti infatti usciranno da davanti a me per portare ogni mattina odore di frutti profumati e, al compimento del giorno, nubi stillanti rugiada di guarigione. E accadrà in quel tempo: scenderà nuovamente dall’alto il deposito della manna e in quegli anni ne mangeranno, perché loro sono quelli che sono giunti al compimento del tempo» [2].

 

Il giorno seguente, dopo che i discepoli nella notte sono stati testimoni di Gesù che cammina sul mare agitato da un forte vento (Gv 6, 16-21) [3], la stessa folla si mette in ricerca del Rabbī trovandolo verso le rive di Cafarnao. Di fatto, essa è interessata al segno stesso che li ha gratuitamente sfamati: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati» (Gv 6, 26). Da qui l’invito a compiere l’opera di Dio, ossia credere in colui che il Padre ha mandato. Essa è «la fede nell’Inviato. Essi non debbono fare questa o quella azione; non eseguire questa prestazione o quell’adempimento della Legge, ma avventurarsi nel nuovo rapporto con Dio che si chiama “fede”» [4].

 

La mormorazione della gente permette a Gesù di esporre il significato del segno orientato alla sua persona, cercando così «di elevare il loro pensiero dal pane meramente materiale a quello che conduce alla vita eterna (cfr. 4, 13; Is 55, 2); questo, più che quello terreno, essi devono cercare di procurarsi» [5]. Se nella moltiplicazione dei pani e dei pesci i giudei vedono la ripresentazione del gesto compiuto dal profeta Eliseo (2 Re 4, 42-44), e pertanto il ritorno finale di Elia, nella spiegazione del segno il Maestro orienta l’attenzione a Mosè come colui che ha ricevuto provvidenzialmente la manna – «Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero» (Gv 6, 32) –, e a se stesso come il dono della salvezza: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede» (Gv 6, 35). La combinazione di un cibo provvidenziale e del cammino sulle acque, infatti, «richiama i miracoli di Mosè nell’esodo, dopo la prima pasqua (manna, Mar Rosso), come pure la mormorazione di 6, 41 combacia con l’azione simile di Israele errante nel deserto (Es 16, 2.8)» [6].

 

L’intento dell’evangelista non è tanto quello di rappresentare Gesù come pane eucaristico che si offre nella Chiesa per la salvezza – concetto più chiaro nella lettera paolina di 1 Cor 11, 24, e nei racconti sinottici: «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14, 22; Mt 26, 26; Lc 22, 19) –, ma piuttosto orientare il cristiano alla fede nel Signore e alla sua parola: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 29). Infatti, «Gv 6 pone al centro Gesù, la sua missione e la sua persona, più che l’eucaristia e potrebbe essere considerato una sorta di introduzione fondamentale al pensiero eucaristico. Qui lo scopo principale non è una spiegazione del sacramento, ma Gv 6, proprio perché parla di Gesù, si presta meglio di qualsiasi altro brano anche a una comprensione del sacramento. Nell’eucaristia, le metafore che qui vengono spiegate sono semplicemente ritualizzate» [7].

 

La persona di Gesù è l’incarnazione stessa della Tōrāh, la parola di Dio che indica la via e conduce alla vita, per la quale «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1, 3). Così Giustino nella sua apologia: «La legge data sull’Oreb è superata ed è solo vostra, questa invece vale anche per tutti gli uomini indistintamente. Ma una legge istituita contro una legge sospende quella precedente, e un’alleanza stipulata dopo un’altra interrompe quella che c’era prima. Cristo ci è stato dato come legge eterna e definitiva e come alleanza fidata, dopo la quale non c’è altra legge eterna o comandamento o precetto» [8]. Ciò non significando, però, l’archiviazione della Legge perché sempre «l’identità del Dio biblico dipende dal legame con la sua Tôrah» [9].

 

Il Signore è tuttavia anche dono della vita divina ottenuto per mezzo della sua parola, il vero nutrimento: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 14, 34). Parola che «ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome» (Gv 1, 12) e che pone «il desiderio di Dio, la visione del Padre, fino a riconoscere che fame di pane e fame di Cristo sono la stessa cosa» [10].

 

Gesù, nel quarto segno in Galilea, si mostra pertanto come parola di salvezza attraverso il segno del pane in quanto «il “pane del cielo” o “pane degli angeli” o “dei forti” è un alimento che mette l’uomo alla prova, umiliando l’umana pretesa dell’autosufficienza, ricordando all’uomo la sua radicale dipendenza da Dio. Nel contempo è un memoriale della salvezza operata in passato, nonché il pegno concreto di una “terra promessa” dove Dio intende far felice l’uomo nel suo avvenire» [11]. Nel Verbo, «la Legge diventa Persona. Nell’incontro con Gesù ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero il “pane del cielo? Conformemente a ciò, Gesù ha chiarito già prima che l’unica opera richiesta da Dio consiste nel credere in Lui» [12]. Fede che conduce alla speranza di restare sempre incorporati in Lui:

 

«“Gesù disse loro: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà mai sete” (Gv 6, 35). Chi viene a me è lo stesso che “chi crede in mee la promessa: “non avrà più fame corrisponde all’altra: “non avrà mai seteAmbedue annunciano quella sazietà eterna, dove non esiste alcun bisogno. Volete il pane del cielo? Lo avete davanti e non lo mangiate. “Vi ho detto però che mi avete veduto e non avete creduto” (Gv 6, 36)Ma io non ho per questo abbandonato il mio popolo. Forse che la vostra infedeltà ha compromesso la fedeltà di Dio (cfr. Rm 3, 3)?» [13].

[1] Tommaso d’Aquino, sequenza Lauda Sion Salvatorem, Orvieto 1264. Cfr. P. Caban, «On the History of the Solemnity of the Body and Blood of Christ», in CTO 2 (2009) 114-117.

[2] 2 Baruc 29, 8, in P. Sacchi., Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 4, Paideia, Brescia 2000.

[3] «Gesù con questo atto svolge una specie di lezione ai suoi discepoli, lezione che subito dopo espliciterà a Cafarnao. Egli si presenta come colui che è capace di avere una presenza diversa da quella fisica e materiale. Gesù, come uomo simile a noi, proprio perché rifiuta i grandi prodigi spettacolari, non sarebbe mai andato sulle acque, perché stando fermo sarebbe affondato come ogni uomo. Le leggi della fisica sarebbero state uguali anche per lui. Ma in questo momento vengono superate, perché ora egli non sta più parlando di una presenza meramente fisica: egli sta parlando di una presenza efficace e reale ma completamente diversa, che appartiene a schemi che non sono più spazio-temporali, cioè del nostro orizzonte terrestre»: G. Ravasi, Il vangelo di Giovanni, vol. 1, Mondadori, Milano 2020, 78.

[4] R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 2005, 269.

[5] B. Vawter, «Il Vangelo secondo Giovanni», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1396.

[6] R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 473.

[7] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 451.

[8] Giustino, Dial., 11, 3, in Dialogo con Trigone, G. Visonà (a cura di), Paoline, Milano 1988, 112-113.

[9] F. Crüsemann, La Torà. Teologia e storia sociale della legge nell’Antico Testamento, Paideia, Brescia 2008, 424.

[10] E. Scognamiglio, Tutto ciò che si manifesta è luce. Meditazioni biblico-teologiche sul Vangelo di Giovanni, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2012, 48.

[11] T. Verdon, La bellezza nella parola. L’arte a commento delle letture festive. Anno B, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008, 250-251.

[12] J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 311.

[13] Agostino, In Io. Ev. tr., 25, 14, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/1 («Commento al Vangelo di San Giovanni [1-50]», tr. it. di E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19852, 251.

 

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)