Don Massimiliano Nastasi – XVII domenica del Tempo Ordinario /B

2 Re 4, 42-44    Sal 144    Ef 4, 1-6    Gv 6, 1-15

La liturgia odierna, in continuità alla pericope evangelica della settimana scorsa (Mc 6, 30-34), apre un intervallo nella lectio continua di Marco per offrire una riflessione teologica sul significato del pane di vita proposta dal IV Vangelo, liturgicamente suddivisa in cinque parti per altrettante domeniche [1]. La tenerezza misericordiosa di Gesù per la folla, che «come pecore che non hanno un pastore» (Mc 6, 34) cerca di essere sfamata con la parola di speranza del Regno, viene accompagnata dal segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci affinché non solo lo spirito ma l’intera persona trovi l’attenzione da parte di Dio.

Marco presenta il primo prodigio dei pani all’interno della sezione narrativa della prima missione dei Dodici [2], iniziata con il rifiuto di Nazaret alla predicazione del Messia (Mc 6, 1-6) [3]; il IV Vangelo, invece, dedica l’intero capitolo sesto definito «uno dei più bei prodotti della penna di Giovanni»  [4], collocandolo nel secondo anno della missione di Gesù «vicina la Pasqua, la festa dei Giudei» (Gv 6, 4), ma anche qui mantenendo alla fine della narrazione il rifiuto di Gesù da parte della folla e dei discepoli. Sono il gruppo dei Dodici, infatti, rimane con il Maestro e professa la fede in lui per bocca di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69).

 

L’evangelista, in particolare, inserisce il brano nella prima parte del Vangelo dedicata ai segni (Semeiaquelle), ossia sette miracoli che mostrano un progressivo riconoscimento di Gesù come Signore [5], ma che al tempo stesso illustrano il tema espresso nel prologo: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1, 11).

 

Il quarto segno dei pani e dei pesci, che si svolge su un monte nei pressi di Tiberiade (ma che la tradizione cristiana lo pone a Tagda), oltre ad essere una indicazione dell’identità di Gesù e superamento della Tōrāh – «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane del cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6, 32-33), e anche sostituzione della Pesach che si realizza sulla Croce, così come gli altri segni, sempre inseriti in una festa giudaica: Shabatt (Gv 5, 1-47); Sukkot (Gv 7, 1 – 10, 21); Hanukkah (Gv 10, 22-42) [6].

 

Relativamente al beneficio dei singoli soggetti che ricevono il miracolo, ma che comunque rappresentano tutti gli uomini – «Il cieco nato rappresenta il genere umano» [7] –, il segno, quindi, rivela sia l’identità del Messia che la realizzazione dell’evento festivo legato alla storia d’Israele e all’esperienza dell’esodo. Non a caso «nella tradizione sinottica sono i discepoli, non Gesù, che distribuiscono il pane – data la vastità della folla, ciò sembra più che plausibile – ma Gv, passando sotto silenzio questo dettaglio, ci richiama meglio alla memoria le circostanze dell’ultima cena» [8], il segno per eccellenza, «mysterium della nuova comunione; mistero che è al cuore del Nuovo Patto (Mt 26, 26-29). Intorno ad esso si costituisce la Chiesa» [9].

 

La pericope Gv 6, 1-15 della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che segue la sequenza narrativa di Mc 6, 30-54; 8, 21-33, e perciò proveniente da una tradizione antecedente a Marco e Giovanni, comune ai due, trova il suo modello tipologico nel profetismo veterotestamentario, e in particolare in Eliseo (2 Re 4, 42-44). Infatti, «perché si possa parlare di ripresa tipologica, oltre il lessico (pani, mangiare) è necessario che esista anche un parallelismo fra le trame e i personaggi. […] Nei due episodi, si enfatizza il potere taumaturgico del protagonista. Insomma, il parallelismo semantico tra Eliseo e Gesù ci invita a interpretare la loro relazione in termini figurali» [10]. Un modello certamente sbilanciato verso il Messia, come si conferma nell’affermazione della gente sfamata: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo» (Gv 6, 14).

 

Questa attribuzione tipologica, però, non è applicabile nella seconda parte del capitolo riguardante la spiegazione del segno (Gv 6, 22-58), che si associa maggiormente alla figura di Mosè. Tuttavia, per quanto concerne il dono profetico, non c’è nessuna differenza tra Mosè ed Elia, come mostra il racconto dei sinottici della trasfigurazione (Mc 9, 2-8; Mt 17, 1-8; Lc 9, 28-36).

 

Nel prodigio dei pani la folla vede ripresentarsi un miracolo di un remoto passato (circa ottocento anni prima di Gesù), ed è pertanto semplice l’attribuzione di Gesù ad un profeta. Naturalmente, però, «non si attendeva il ritorno di Eliseo, ma quello del suo maestro Elia. Tuttavia, come spesso avviene per le persone il cui “antitipo” (secondo la corrispondenza) è atteso per la fine dei tempi, anche qui colui che ritorna viene connotato secondo il “modello” del diretto successore terreno» [11]. Esempi come Mosè e Giosuè e Davide e Salomone, confermano infatti l’idea di un passaggio dello spirito tra il maestro e il discepolo: «Elia disse a Eliseo: “Domanda che cosa io debbo fare per te, prima che sia portato via da te”. Eliseo rispose: “Due terzi del tuo spirito siano in me”» (2 Re 2, 9). Così come il Risorto nei confronti dei suoi discepoli: «Detto questo, soffiò e disse a loro: “Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 21, 22).

 

Il Maestro, udendo che la gente lo qualifica come profeta, e «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò sul monte, lui da solo» (Gv 6, 15). Non solo il prodigio dei pani spinge i cinquemila uomini a vedere in Gesù il profeta Eliseo, o meglio il ritorno escatologico di Elia, ma anche il compimento della profezia di ‘Ădhünāy al suo servo Mosè: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto» (Dt 18, 15); un profeta-re secondo l’immagine del primo giudaismo. Solo Giovanni comunque aggiunge questo particolare che con molta probabilità ha un livello storico. Infatti, non si capirebbe «l’invenzione di una tale scena dopo la morte-risurrezione di Gesù, mentre nel quadro storico della vita di Gesù è al suo posto. D’altronde, il rifiuto di Gesù di essere interpretato nell’orizzonte del messianismo politico potrebbe stare nell’origine della crisi galilaica»  [12].

 

La moltiplicazione dei pani e dei pesci è senz’altro il segno giovanneo che rivela in maggior misura l’identità del Messia nell’attività in Galilea – l’equivalente della rianimazione di Lazzaro in Giudea: Gv 11 –, facendolo identificare ai profeti dell’AT come anche alla regalità ebraica, ma nella cornice del rifiuto diventa «lo spartiacque della sua attività, che da quel momento in poi diviene chiaramente una via verso la croce» [13], la donazione più piena del suo corpo come pane di vita.

 

«Rivolgiamoci a lui che ha compiuto tali cose, egli è il pane disceso dal cielo; ma un pane che fa ristorare e non si può consumare; un pane che può nutrire e non si può esaurire. Anche la manna era figura appunto di questo pane. Al riguardo fu detto: “Ha dato loro il pane del cielo, l’uomo ha mangiato il pane degli angeli” (Sal 78, 24-25). Chi, se non Cristo, è il pane del cielo? Ma perché l’uomo potesse mangiare il pane degli angeli, il Signore degli angeli si è fatto uomo. Perciò, se tale non si fosse fatto, non avremmo il suo corpo; non avendo il corpo proprio di lui, non mangeremmo il pane dell’altare. Fratelli miei, desideriamo la vita di Cristo, ne abbiamo infatti il pegno, la morte di Cristo. Come non ci darà i suoi beni egli che soffrì i nostri mali?» [14].

[1] Il c. 6 di Giovanni presenta per motivi liturgici-pastorali questa suddivisione: 1. Gv 6, 1-15: Segno del prodigio dei pani e dei pesci; 2. Gv 6, 24-35: Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai; 3. Gv 6, 41-51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo; 4. Gv 6, 51-58: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda; 5. Gv 6, 60-69: Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

[2] Marco, come Matteo, presenta due moltiplicazioni dei pani (Mc 6, 30-53 e 8, 1-10; Mt 14, 13-34 e 15, 32-39), differentemente da una in Luca (Lc 9, 10-17). Il racconto di Giovanni, invece, sembra «in alcuni dettagli più vicino al primo racconto sinottico e in altri dettagli più vicino al secondo racconto sinottico»: R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 473.

[3] Sono diverse le ipotesi riguardanti questa unità marciana; la proposta di H. W. Kuhn, «Altere Sammlungen im Markusevangelium», in SUNT 8 (1971) 191-213; 208-210, considera Mc 3, 7 – 6, 56 una composizione “redazionale”, con un nucleo tradizionale (Mc 4, 35 – 6, 52), inquadrato da “due sommari” del redattore (Mc 3, 7-12 e Mc 6, 53-56); così come la proposta di G. F. Lang, «Kompositionsanalyse des Markusevangeliums», in ZThK 74 (1977) 7-8, che ritiene come Mc 3, 7 – 8, 22 sia una sequenza unica a causa del motivo della “barca”, che appare per la prima volta in Mc 3, 9 nel “sommario” costituito da Mc 3, 7-12, e scompare dalla narrazione con l’episodio narrato in Mc 8, 14 che appartiene al colloquio con i discepoli riportato in Mc 8, 14-21. Dello stesso parere anche N. R. Petersen, «The Composition ok Mark 4, 1 – 8, 26», in HTR 73 (1980) 185-217.

[4] B. Lindars, The Gospel of John, Oliphants, London 1972, 224.

[5] I sette segni o miracoli in Giovanni che precedono il terzo ed ultimo ingresso a Gerusalemme prima della passione e morte sono: 1. Le nozze di Cana (Gv 2, 1-11); 2. La samaritana (Gv 4, 1-42); 3. La guarigione del paralitico (Gv 5, 1-17); 4. La moltiplicazione dei pani e dei pesci (Gv 6, 1-14); 5. Gesù cammina sulle acque (Gv 6, 16-21); 6. Il cieco nato (Gv 9); 7. La rianimazione di Lazzaro (Gv 11).

[6] Cfr. C. K. Barret, Il vangelo di Giovanni e il giudaismo, Paideia, Brescia 1980.

[7] Agostino, In Io Ev. tr., 44, 1, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/1 («Commento al Vangelo di Giovanni [1-50]», tr. it. di A. Vita – E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19852.

[8] B. Vawter, «Il Vangelo secondo Giovanni», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1395.

[9] R. Guardini, Il Signore, Morcelliana, Brescia 2005, 318.

[10] J-N. Aletti, Senza tipologia nessun vangelo. Interpretazione delle Scritture e cristologia nei vangeli di Matteo, Marco e Luca, San Paolo – GBP, Cinisello Balsamo (Milano) – Roma 2019, 55.

[11] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 449.

[12] G. Segalla, «Gesù pane di vita», in G. Ghiberti e Coll. (a cura di), Opera giovannea, Elledici, Torino 2013, 213.

[13] J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 306-307.

[14] Agostino, Serm., 130, 2, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/1 («Discorsi [117-150]: sul N. Testamento», tr. it. di M. Recchia), NBA – Città Nuova, Roma 1990, 400.

 

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)