Don Massimiliano Nastasi – Solennità dell’Ascensione del Signore/ B

At 1, 1-11    Sal 46    Ef 4, 1-13    Mc 16, 15-20

Le ultime domeniche del tempo di Pasqua sono dedicate alla contemplazione di due misteri della fede cristiana: il ritorno del Risorto al Padre con le ultime istruzioni agli Undici – «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15) –, e la discesa del Paraclito che, come riporta l’evangelista Luca, contrassegna l’inizio stesso di questa missione evangelizzatrice: «[Gesù] innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso come voi stessi potete vedere e udire» (At 1, 33).

La sezione narrativa delle apparizioni del Risorto e le ultime raccomandazioni agli apostoli prima della salita in cielo è inserita nel finale del Vangelo (Mc 16, 9-20). Un’appendice, però, che per differenze di stile, vocabolario e materiale, Eusebio di Cesarea (265-339) nella sua Quaestiones ad Marinum, 1, e Girolamo (347-420) nel Contra Pelagianos, 2, 15, non ritengono appartenga a Marco[1]. La struttura dei racconti (una donna, due discepoli, gli undici discepoli) corrisponde, infatti, alla disposizione di Mt 80; Lc 24; Gv 20, così come ad altri testi cristiani antichi [2], e in linea di principio anche a Paolo in 1 Cor 15 (1-12-500: apparizioni davanti a Pietro, poi ai Dodici, poi davanti a più di cinquecento), a parte il fatto che qui le donne non compaiono.

Un’aggiunta, pertanto, successiva alla redazione marciana che lascia comunque aperta l’ipotesi di un racconto finale andato perduto, che narrava l’apparizione in Galilea promessa in Mc 16, 7, e che «termina con la consolante nota del Signore che opera con i discepoli missionari e li conferma con segni miracolosi» [3]. Una sezione, «la cui data non può risalire a prima del sec. II d.C. e che potrebbe essere agganciata a tradizioni della Chiesa primitiva diverse da quella marciana» [4].

La pericope, dopo le ultime parole di Gesù ai suoi apostoli relative alla missione, presenta un racconto autonomo prima di essere assunto dal Padre: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16, 19).  Più precisamente, l’autore «colloca l’esaltazione di Gesù alla gloria celeste mediante ciò che noi chiamiamo normalmente l’ascensione, nel giorno stesso di pasqua» [5]. Il verbo utilizzato è ἀνελήμφθω, che ha il significato di “tirare su”. In questo caso, esso assume un valore passivo nei confronti di un agente (passivo teologico) [6], come nelle narrazioni delle ascensioni veterotestamentarie di Enoch (Gn 5, 24) e di Elia (2 Re 2, 11), e in riferimento a Gesù in At 1, 2.11.22 e in 1 Tm 3, 16, specificando così come solo il Padre ha la prerogativa di condurre il Figlio a sé. Certamente una visione teologica interpretativa molto differente da quella del Quarto Vangelo. In Giovanni, infatti, l’agente è lo stesso Maestro che ha il potere do accedere a Dio: «Salgo al Padre mio e Padre vostro» (Gv 20, 17).

Oltre l’agente, anche lo scopo dell’ascensione è differente tra Marco (e in sinottici in generale) e Giovanni; in quest’ultimo il Risorto torna al Padre per preparare ai suoi discepoli un posto (cfr. Gv 14, 2-3) al fine di inviare loro lo Spirito Santo – «E’ bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 167, 22) – affinché «siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa» (Gv 17, 22). In Marco, invece, l’ascensione è concepita più come conclusione di un percorso iniziato da Gesù con le parole di Dio al Giordano: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1, 11), e che grazie all’obbedienza conduce al suo riconoscimento finale – «E sedette alla destra di Dio» (Mc 16, 19) – e all’adempimento della promessa formulata davanti al sinedrio: «Vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi dal cielo» (Mc 14, 62). Propriamente, «far sedere alla propria destra era poi il gesto tipico del re che riconosceva così il figlio uguale a sé nella dignità e nel potere» [7], ed indica come Gesù sia «divenuto pienamente messia e signore grazie alla risurrezione. Dio gli ha concesso di condividere tutti i suoi poteri divini di giudice e salvatore di tutti gli uomini alla fine dei tempi» [8].

Per il resto, «mediante la conclusione costituita da questo racconto dell’ascensione, tutta la pericope è incorniciata come discorso testamentario (conclusivo) di Gesù» [9]. Infatti, «questo racconto di “congedo” e dell’“ascensione” di Gesù ha pienamente ragione quando dice che noi possiamo imparare questo ritorno alla nostra misura umana soltanto grazie ad un modo di morire, grazie alla rinascita di un “battesimo”» [10].

La salita dal cielo del Risorto, pertanto, determina un cambiamento ontologico nel credente grazie alla natura umana di Gesù, «che è stata assunta dal Verbo unigenito ed è stata collocata immortale in cielo; e a tal punto è stata esaltata la polvere della terra, da assidersi incorruttibile alla destra del Padre […]. Andare al Padre e separarsi da noi, significa trasformare e rendere immortale il corpo mortale preso da noi, ed elevare fino al cielo la carne nella quale visse per noi in terra» [11]. Tale è, infatti, il significato delle ultime parole del Maestro: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 16). Così che «per chi non fa esperienza diretta di una tale trasformazione dell’esistenza della negazione della vita alla vita, dell’alienazione alla libertà, dalla “possessione” alla propria personalità» [12], il Vangelo non avrà nessun valore salvifico.

«Ecco, dunque, quanto è grande la condiscendenza del Signore nostro! Egli ci ha fatto e poi è disceso fino a noi perché noi eravamo caduti lontano da lui. E per venire fino a noi egli è disceso, non è anche lui caduto. Se dunque è disceso ci ha innalzato. Egli, il nostro capo, ci ha sollevato in quanto siamo suo corpo: dove è lui seguiranno anche le membra. Perché dove precede il capo vengono dietro le membra. Egli è il capo, noi siamo le membra. Egli è in cielo, noi in terra. […] Colui, dunque, da cui fu fatto il cielo e la terra, discese sulla terra per colui che creò dalla terra e, partendo da qui, sollevò al cielo la terra. Quello, dunque, che è avvenuto in precedenza in lui, speriamolo per noi per la fine dei secoli. Ci darà quello che ha promesso: ne siamo sicuri, ci ha fatto garanzia, lo ha fatto scrivere nel Vangelo e, pertanto, manterrà la promessa» [13].

 

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)

 

 

[1] Il Concilio di Trento trattò esplicitamente di questa pericope come esemplificazione di una “pars”, fino al promulgamento del decreto sui Libri sacri e le tradizioni da accogliere dell’8 aprile 1546 che afferma come la Chiesa «con uguale pietà e venerazione accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi» (DH 1501); «nella loro integrità e con tutte le loro parti» (DH 1504). Pertanto, non vi è l’obbligo di credere che questa sezione sia stata scritta da Marco, ma che essa sia canonica. Il materiale, infatti, assomiglia a racconti di risurrezione che si trovano in Matteo e in Luca (Vangelo e Atti), ma anche in Giovanni (la figura di Maria Maddalena in Mc 16, 9-11), ma è incerto se il copista che lo compose abbia attinto direttamente a questi Vangeli o semplicemente a tradizioni simili. I segni promessi di Mc 16, 17-18, infatti, ricordano alcuni dei miracoli raccontati in Atti.

[2] Troviamo la stessa struttura narrativa nell’Epistula Apostolorum [tr. it., Gli apocrifi del Nuovo Testamento, III: Lettere e apocalissi, Marietti, Casale Monferrato 1981, 37s.], Didascalia Siriaca, Acta Thaddaei [tr. it., Gli apocrifi del Nuovo Testamento, II: Atti e leggende, Marietti, Casale Monferrato 1966, 575s.].

[3] R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, G. Boscolo (a cura di), Queriniana, Brescia 2001, 225.

[4] E. J. Mally, «Il Vangelo secondo Marco», in Grande commentario biblico, A. Bonora – R. Cavedo – F. Maistrello (ed. it. a cura di), Queriniana, Brescia 1973, 897.

[5] Ivi, 898.

[6] Cfr., M. Zerwick, Graecitas Biblica Novi Testamenti Exemplis illustratur, Pontificio Istituto Biblico, Roma, 19665, n. 236, p. 78.

[7] L. Pacomio, Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2000(4), 268.

[8] J. Hervieux, Vangelo di Marco, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1993, 299.

[9] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 266.

[10] E. Drewermann, Il Vangelo di Marco. Immagini di redenzione, Queriniana, Brescia 1995(2), 552.

[11] Agostino, In Io. Ev. tr., 78, 3, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/2 («Commento al Vangelo di S. Giovanni [51-124]», tr. it. di E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 1985(2), 1505.

[12] E. Drewermann, Il Vangelo di Marco, cit., 553.

[13] Agostino, Serm., 395, 2, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXXIV («Discorsi [341-400]: su argomenti vari», tr. it. di V. Paronetto – A. M. Quartiroli), NBA – Città Nuova, Roma 1989, 710.