Don Massimiliano Nastasi – I domenica di Quaresima /B

Gen 9, 8-15    Sal 24    1 Pt 3, 18-22    Mc 1, 12-15

La prima domenica del tempo di Quaresima propone, in tutti e tre i cicli liturgici, il racconto della tentazione di Gesù nel deserto di Giudea. Tale scelta si fonda da una preoccupazione pastorale già accennata da Agostino d’Ippona quando, riflettendo sull’esistenza terrena dei cristiani, scrive: «La nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove, e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova» [1]. La tentazione del deserto è così immagine del cammino dell’uomo verso la resurrezione.

Il Maestro, dopo la sua immersione («ἐβαπτίσθη»: Mc 1, 8) nelle acque del Giordano, e prima dell’inizio del ministero pubblico, chiede a Giovanni Battista di ricevere questo segno penitenziale, seguito dalla voce di ‘Ădhünāy che dichiara il suo rapporto con il Cristo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1, 11).

L’affermazione sull’identità di Gesù, che proviene dal cielo dopo il battesimo, è fondamentale per l’evangelista Marco perché «ha la funzione di fare entrare subito, per la prima volta, Dio come protagonista della storia di Gesù a garantire, con il massimo dell’autorità, la vera risposta alla domanda cristologica che percorre tutto il Vangelo» [2]. Un’identità che è posta fin dall’inizio dal titolo del suo scritto: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1, 1), fino al culmine della passione del Messia con le parole del centurione: «Davvero, quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15, 39) [3]. Infatti, «la figliolanza di Gesù, per Marco, è quella di un condannato a morte. La superba ironia di Marco sta nel fatto che il centurione romano è l’unico essere umano a riconoscere Gesù come Figlio di Dio, ma colui che riconosce come tale è appena morto sulla croce» [4].

Successivamente all’incontro con il Battista, lo Spirito, che discende verso di lui come una colomba, lo sospinge («ἐκβάλλει»: Mc 1, 12) nel deserto [5]. In questo caso, «Marco parla con linguaggio ancora più potente, con la parola violenta che viene dal mondo dell’esperienza profetica: lo Spirito lo “getta” innanzi. Nella solitudine, lungi dai suoi, lontano da “tutto il popolo sul Giordano”, là dove non vi sono che il Padre e lui» [6].

Nel deserto Gesù vi resta «quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1, 13). Non una rappresentazione del Cristo come un “nuovo Adamo”  [7], o piuttosto vicina alla simbologia della figura emblematica del “Messia” di Is 11, 1-9 [8], ma realmente messo alla prova da Satana [9]. Una tentazione che si pone in continuità con la tradizione ebraica in Abramo – il giudaismo conta ventidue tentazioni dopo che egli fu il primo a convertirsi a Dio – e in Giobbe [10], e che segue alla vocazione, alla conversione e all’incontro iniziale con il Dio vivente.

Nel deserto Gesù non resta solo, ma è in compagnia delle «bestie selvatiche e gli angeli» (Mc 1, 13) che lo servono. L’evangelista Luca non riporta nessuna presenza angelica in compagnia del Maestro, mentre Matteo la inserisce alla fine del suo racconto: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4, 11). Marco, poi, non accenna ad un digiuno nel periodo delle tentazioni, differentemente dagli altri sinottici che lo legano come conseguenza della prima tentazione: «Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame» (Mt 4, 2); «Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame» (Lc 4, 2). Non ponendo attenzione a queste differenze tra i vari Vangeli, «il testo viene perciò erroneamente di continuo letto alla luce dei racconti di Matteo e Luca, nei quali la fame svolge espressamente un ruolo anche nella tentazione. Chi infatti è nutrito da angeli non è certamente costretto a digiunare e a patire la fame!» [11].

È pur vero, comunque, che il testo marciano non parla di cibi forniti dagli angeli in quanto il deserto non è una rappresentazione del paradiso terrestre, come descrive il Talmûdh Babhlî riportando una tradizione giudaica: «Quando Adam era nel Giardino di Eden (ancora innocente), usava riposare mentre gli angeli del divino ministero gli arrostivano la carne e gli filtravano il vino» [12]. Ma Gesù abbraccia la condizione umana, decaduta dal peccato delle origini, in segno di solidarietà e di riscatto, come scrive Anselmo d’Aosta: «E’ necessario che un Dio-uomo compia la soddisfazione» [13].

Gesù, pertanto, spinto dallo Spirito nel deserto, nella piena condivisione della natura umana, è tentato da Satana. Marco non fa un elenco di prove che il diavolo sottopone al Messia e tantomeno specifica quale sia la tentazione che egli subisce, ma «il nostro autore invita i lettori a individuare le tentazioni che Gesù ha incontrato nel corso dell’intera sua missione» [14].

Comunque sia, nella cornice del Vangelo emerge come Gesù è provato fondamentalmente dalla paura di fronte alla morte. Il vertice di questa tentazione è nell’orto dei Getsemani prima di consegnarsi al suo destino: «Abbà! Padre, Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice!» (Mc 14, 36). Infatti, «pure il Figlio di Dio può, essendo un vero uomo, aver paura della morte, esattamente come ogni uomo» [15].

La fine dell’esperienza nel deserto coincide infine con l’arresto di Giovanni [16] sul piano di una continuità dell’annuncio del regno di Dio, tanto che «le affermazioni che Gesù fu tentato da Satana (l’oppositore dello Spirito) e che Giovanni Battista fu arrestato suggeriscono al lettore, dall’inizio, che la proclamazione del regno fatta da Gesù incontrerà grandi ostacoli. Benché alcuni pensino di dover tradurre la proclamazione nel senso che il regno, o sovranità, di Dio è giunto, la migliore traduzione del verbo enghízein è probabilmente “avvicinarsi” – il regno si sta facendo sentire ma non è ancora pienamente arrivato» [17].

Il Messia prima di rivelarsi al mondo come l’unico salvatore, nella realtà della tentazione, discende pertanto nei pericoli che minacciano l’uomo, poiché solo in questo modo l’uomo caduto può essere definitivamente risollevato. Così, «stando al nucleo originario della sua missione, Gesù deve entrare nel dramma dell’esistenza umana, attraversarlo fino in fondo, per ritrovare così “la pecorella smarrita”, caricarsela sulle spalle e ricondurla a casa» [18].

In ogni modo, «narrando che, dopo un tale evento, Gesù andò in Galilea annunciando il messaggio di Dio, lascia capire che il tempo della preparazione è terminato. Ora è presente “il più forte”, che aveva annunciato dando l’annuncio di un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» [19]. Dal deserto si fa strada così la via verso il regno di Dio.

«“Proclamando il vangelo del regno di Dio e dicendo: Il tempo della legge è finito, è iniziato il vangelo, il regno di Dio vi sta vicino” (Mc 1, 14-15). Non ha detto: “Questo è già il regno di Dio”, ma che il regno di Dio vi sta vicino. Prima che io subisca la passione e versi il mio sangue, il regno di Dio non è aperto; per questo vi è vicino, perché non ho ancora vissuto la passione. “Pentitevi e credete al vangelo”: non alla legge, ma al vangelo; anzi passate dalla legge al vangelo, in base a quanto sta scritto: “Dalla fede alla fede” (Rm 1, 17). Il credere alla legge aiuta non poco a credere nel vangelo» [20].

 

[1] Agostino, En. in Ps., 60, 2-3, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXVI («Esposizione sui Salmi [51-85]», tr. it. di V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19902, 955.

[2] G. Dell’Orto, «Il battesimo di Gesù (Mc 1, 9-11)», in Il Vangelo di Marco, R. Pellegrini (a cura di), Messaggero di Sant’Antonio – Editrice, Padova 2008, 29.

[3] «Questo sviluppo drammatico, di fatto, divide quasi naturalmente il racconto in due parti: da Mc 1, 1 a Mc 8, 26 narra le vicende che precedono il riconoscimento di Gesù da parte di Pietro; da Mc 8, 27 a Mc 16, 8 narra le vicende che seguono fino al riconoscimento di Gesù da parte del Centurione che assiste alla sua morte»: N. Casalini, Introduzione a Marco, Franciscan Printing Press, Jerusalem 2005, 17.

[4] J.D.G. Dunn, Dal Vangelo ai Vangeli. Storia di una continuità ininterrotta, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2012, 110.

[5] «C’è una sfumatura di pressione o violenza in questo termine, che è solitamente usato quando Gesù espelle i demoni (Mc 1, 34.39.43; 3, 15.22)»: J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 850.

[6] R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 2005, 53.

[7] Immagine presentata da U. Mell, «Jesu Taufe durch Johannes (Markus 1, 9-15). Zur narrativen Christologie vom neuen Adam», BZ 40 (1996) 161-178.

[8] Cfr. R. Bauckham, «Jesus and the Wild Animals (Mc 1, 13): A Christological Image for an Echological Age», in Jesus of Nazareth, ed. J.B. Green et al., Carlisle 1994, 3-21.

[9] Cfr. S.R. Garret, The Temptations of Jesus in Mark’s Gospel, Grand Rapids 1998, 55-60.

[10] Cfr. Il Testamento di Giobbe, in P. Sacchi (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. IV, Paideia, Brescia 2000, 103s.

[11] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 166.

[12] Sanhedhrîn, 59b, in A. Cohen, Il Talmud, A. Toaff (tr. it.), Editori Laterza, Bari 20054, 88.

[13] Anselmo d’Aosta, Cur Deus homo, II, 9, in «Obras Completas de San Anselmo», vol. I, in J. Alameda (a cura di), BAC, Madrid 2008, 95.

[14] J. Hervieux, Vangelo di Marco, San Paolo, Cinisello Balsamo 20033, 30.

[15] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. cit., 168.

[16] L’arresto e la successiva morte di Giovanni Battista trova conferma nello storico Giuseppe Flavio che narra come «Erode [Antipa] lo aveva fatto uccidere benché fosse un uomo buono che esortava i giudei […] ad essere giusti gli uni verso gli altri e pii verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo, perché solo a questa condizione Dio avrebbe considerato gradito il battesimo, se fosse servito non a farsi perdonare alcune colpe, ma per purificare il corpo, dopo aver preliminarmente purificato l’anima attraverso una condotta corretta. Alcuni si erano raccolti attorno a lui, perché erano rimasti presi sentendolo parlare. Erode aveva timore che una simile facoltà di persuadere non suscitasse una rivolta. Preferì impadronirsi di lui che si verificasse qualche disordine […] Giovanni fu mandato alla fortezza di Macheronte [a nord-est del Mar Morto], e lì fu messo a morte»: Antichità giudaiche, XVIII, 117-119, in L. Moraldi (a cura di), UTET, Torino 2018, 510.

[17] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 199-200.

[18] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 48.

[19] N. Casalini, Introduzione a Marco, cit., 98.

[20] Girolamo, Trattato sul Vangelo di Marco, CCL 78, 457.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)