Articoli / Blog | 28 Gennaio 2021

Blog – Shoah: ma Gesù Cristo era giudeo al cento per cento

La presa di coscienza dell’orrore della Shoah ha posto una domanda stringente: perché il secolo scorso la fede cristiana non ha rappresentato un baluardo sufficiente nei confronti del crescente antisemitismo?

Tra le mille questioni che si possono aprire, ce n’è una che possiamo vedere qui brevemente. A proposito della morte di Gesù, i racconti delle dispute teologiche di Cristo con i farisei non hanno forse contribuito a fabbricare un’immagine negativa ed astiosa degli ebrei nei confronti di Cristo?

Quando nel 2011 uscì il secondo volume dell’opera di Joseph Ratzinger “Gesù di Nazaret” l’allora sommo pontefice sottolineò con forza come l’interpretazione “deicida” del vangelo fosse errata: non furono gli ebrei in quanto tali a volere la morte di Gesù. Da una parte, spiegava, nella prospettiva della fede l’espressione “il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25) significa semplicemente che tutti gli uomini, per essere redenti, hanno bisogno della forza purificatrice del sangue di Cristo, dall’altra è chiaro che una lettura scientifica dei vangeli mostra come il vero gruppo degli accusatori fosse composto dai membri del Sinedrio cui si associò, nel contesto dell’amnistia pasquale, la massa dei sostenitori di Barabba.

Fino a non molti anni fa era opinione comune ritenere che Gesù fosse venuto per rompere con la sua religione d’origine visto che ne voleva fondare una nuova: ma tale interpretazione è del tutto infondata. Gesù era un giudeo al cento per cento che non metteva in dubbio l’autorità della Torah ma, come era normale accadesse a quell’epoca, ne dava una sua nuova interpretazione. Le discussioni di Cristo con i suoi contemporanei non erano “contro” il giudaismo ma interne al giudaismo. Erano le normali dispute che avvenivano tra farisei, sadducei, esseni, battisti, e così via: il giudaismo era un mondo ricco di svariate correnti che si confrontavano le une con le altre.
L’idea, errata, che ho appena descritto divenne poco per volta dominante perché, dopo la caduta del Tempio (70 d.C.), rimasero solo i farisei e quindi rompere con loro sembrava fosse rompere con l’intera religione ebraica.

La verità storica invece è che i cristiani cominciarono ad avere consapevolezza di essere una nuova religione rispetto al Giudaismo solo a partire da Antiochia, cioè qualche decennio dopo la resurrezione di Cristo. Prima di allora per indicare il Cristianesimo si parlava della “Via” o anche di “coloro che appartenevano alla Via” (cfr. per es. Atti 9,2; 22,4). La denominazione di “cristiano” è latina, ovvero è come l’impero romano chiamava i cristiani.
Per comprendere come fosse possibile che i giudei che diventavano cristiani non pensassero di appartenere a una nuova religione e quindi non si denominassero tali, dobbiamo ricordarci – ripeto – che nell’Ebraismo al tempo di Gesù era normale ci fossero diversi raggruppamenti. All’inizio, i seguaci di Cristo si vedevano semplicemente come seguaci di Gesù di Nazareth nell’ambito del Giudaismo: cioè erano un gruppo in più.
Quando nel Vangelo di Luca viene raccontata l’apparizione di Cristo risorto a due discepoli che, non riconoscendolo, parlano con lui tutta la giornata, si dice che essi, parlando della Passione, citano i capi dei giudei come “nostri capi” (Lc 24,20). Ciò significa che tra i discepoli di Gesù non c’era la percezione di avere altri capi o nuovi capi rispetto a prima della venuta di Cristo: tra loro non c’era l’impressione che stesse cambiando qualcosa a livello istituzionale. Oppure, faccio un altro esempio, nei primi anni di vita, il Cristianesimo non fa delle proprie “sinagoghe” che chiama “chiese”. Semplicemente accade che gli ebrei che credono in Cristo continuano a frequentare sia il Tempio che le sinagoghe avendo in più un loro momento di preghiera specifico che è la “frazione del pane” la domenica, ovvero la commemorazione dell’Ultima Cena.
Il problema nuovo si crea quando, da una parte, il Vangelo viene portato al di fuori dei giudei cioè ai gentili, perché questi nuovi cristiani – provenendo dai “gentili” – non possono essere visti come un gruppo in più all’interno del Ebraismo, e dall’altra quando, con la caduta del Tempio (nel 70 d.C.) rimane esistente come unico gruppo giudaico quello dei farisei. Non ci sono più i sadducei, che erano legati al Tempio ormai distrutto; non più gli zeloti che hanno voluto combattere a oltranza i romani e sono stati distrutti; non più Qumran che è stata distrutta nel 68 d. C. sempre dai romani.

Se si pensa ai 613 precetti dell’Ebraismo, nel Vangelo ci sono diverse infrazioni ma, per quello che ho detto, non sarebbero una vera discontinuità se non fosse che Gesù si mette sullo stesso piano del Padre. Pensiamo per esempio al precetto del sabato: il vero problema di come si comporta Gesù non è la “violazione” in sé ma l’affermazione «siccome il Padre opera sempre, anche io opero sempre» (cfr. Gv 5, 17-30). Si capisce da quest’affermazione che il comportamento di Gesù è nuovo non tanto per l’andare contro una regola ma perché si fa come il Padre.
Aggiungo che di per sé Gesù era un ebreo irreprensibile: per esempio sono i discepoli che raccolgono le spighe, non lui (cfr. Mt 12, 1-8). È vero che non aveva lo stesso rigore dei farisei che non mangiavano con i pagani, e gli esempi in questa linea potrebbero moltiplicarsi, ma la discontinuità non sta in questo, visto che quella dei farisei era una delle tradizioni: la novità-discontinuità è che Gesù aveva chiaramente una propria gerarchia dettata dall’amore tra i comportamenti prescritti dalla Torah. A proposito del salvare una vita in giorno di sabato, per esempio, esso è consentito anche dalla Misnah – si chiama “la salvezza di una vita” – ma si può fare solo in casi estremi: se una persona sta annegando, per esempio, la si può salvare. Invece Gesù salva in giorno di sabato anche chi potrebbe essere salvato un altro giorno e dice di comportarsi così perché vuole comportarsi come il Padre suo, dando così, oltretutto, un’interpretazione del sabato nuova che riporta il sabato al vero culto di Dio, non in linea con quella degli altri rabbi. Pensiamo alla notissima affermazione: «Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,23-28). Essa sulle labbra di Gesù significa: poiché salvare una vita è cosa molto buona, quest’atto non offende affatto Dio, anzi lo onora.

Il giorno della memoria per un cristiano, per tanto, significa in gran parte scoprire la verità storica per cui Gesù Cristo era un ebreo al cento per cento: non solo perché di sangue ebreo o perché era nato nella Terra Promessa da madre ebrea, ma anche perché era stato fino alla fine un giudeo perfettamente osservante la propria religione