Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XXIX domenica del Tempo Ordinario /A

Is 45, 1.4-6    Sal 95    1 Ts 1, 1-5    Mt 22, 15-21

Il brano del vangelo di Matteo proposto in questa domenica è la continuazione della diatriba che il Maestro ha nel tempio con i «capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo» (Mt 26, 3). Come per supplicarli nel tentativo di una loro ultima conversione, egli racconto tre parabole (Mt 21, 28-31; 33-39; 22, 2-13) che hanno lo scopo di identificarlo con il figlio del padrone della vigna o il figlio del re, ovvero il Messia atteso per la realizzazione del regno di Dio. Non soddisfatti, però, dell’atteggiamento di Gesù nei loro riguardi – «Se ne andarono e tennero un consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi» (Mt 22, 15) – Matteo fa seguire, come in Mc 12, 13-34, «una serie di tre domande trabocchetto: le tasse a Cesare (Mt 22, 15-22), posta da farisei ed erodiani; la resurrezione (22, 23-33), posta dai sadducei; il grande comandamento (22, 34-40), posta da un fariseo dottore della legge» [1].

Dopo le tre parabole del “rifiuto”, le autorità giudaiche inviano a Gesù due gruppi contrapposti, i farisei e gli erodiani, per sottoporlo ad una accesa controversia fiscale: «E’ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22, 17); apparentemente un vicolo ceco che permetterebbe una sola risposta seguita da forti conseguenze. I farisei, infatti, uomini ossequiosi della Tōrāh, secondo il comandamento deuteronomista che vieta le immagini – «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra» (Es 20, 4); «Poiché dunque non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o di femmina» (Dt 40, 15-16)  –, non toccano le monete romane perché in esse è coniata la testa di Cesare [2]. Ma ancor più il partito degli zeloti che a tale rifiuto aggiungono l’utilizzo della forza. Contrariamente agli erodiani, funzionari o addetti alla casa reale erodiana [3], che non trovano nessun problema nell’utilizzo delle monete imperiali.

La riposta del Maestro, che rigetta la posizione degli zeloti senza accettare quella degli erodiani, sembra uno svincolarsi, ma in realtà pone la radice stessa del problema: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21); se la moneta appartiene all’imperatore, a lui va restituita, come va restituito a Dio ciò che gli appartiene, ossia ogni cosa [4]. In tal modo Gesù «coniuga la concreta scelta di pagare il tributo, di riconoscere l’autorità civile, e il primato religioso, la necessità di essere fedeli all’unico Dio e Signore» [5]. Non pertanto una semplice divisione tra “stato” e “Dio” – così come verrà concepita nel Risorgimento con il motto «Libera Chiesa in libero Stato» [6], e poi sancita nello stesso ordinariamente italiano [7] –, ma la replicata del Maestro è un’occasione per ricordare agli avversari il loro rapporto con Adonai: se ci si affanna per adempiere ad una prescrizione fiscale, tanto più per soddisfare il comandamento di Dio. La replica al quesito, quindi, «è lasciato alla decisione personale di ciascun uomo che deve risolvere il problema di coscienza delle opposte rivendicazioni di Dio e di Cesare» [8].

I due imperativi, comunque, sono da intendere nel senso di un’aggiunta di un ulteriore dovere, il carattere di appello sta solo nell’ultima parte, e non secondo l’intenzione di osservanza della legislazione civile presente in Paolo – «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse» (Rm 13, 7) – o in 1 Pt 2, 17: «Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re»; proposizioni queste che regolano i doveri dei cristiani nell’ordine verso lo Stato e verso Dio. L’intenzione di Gesù, invece, è quella di stimolare gli interlocutori a decidere ed assumere la responsabilità davanti alla coscienza e ai titolari del potere. «Ma poi, e questa è la cosa più vera e autentica: al di sopra di “Cesare”, e possa anche valere quanto vuole, qualsiasi cosa possa spettargli, sta Dio» [9].

Il Maestro, pertanto, non si limita ad una risposta in favore o contro l’impero, ma segue la sua missione di proclamare la presenza del regno dei cieli, o meglio della signoria di Dio nella giustizia che comprende anche il rispetto dei doveri civili. Laddove, però, «non è in questione la regolamentazione morale della convivenza, ma la religione, l’approccio di Gesù deve rifiutare ogni pretesa religiosa del potere statuale all’adorazione o anche solo alla venerazione. La signoria di Dio quindi comprende e delimita l’ordine umano» [10]. L’annuncio del Regno, infatti, non è determinato da un programma sociale o politico, né etico dedotto da un’immagine ideale dell’uomo e dell’umanità, ma «è sufficiente che l’uomo sappia che Dio lo ha posto all’interno della sua concreta situazione vitale, del qui e adesso, nella decisione. E ciò significa appunto che egli stesso deve sapere quello che gli è domandato: nessuna autorità e nessuna teoria può togliergli questa responsabilità» [11].

L’imperatore e Gesù personificano, nella visione di Matteo, due diversi ordini della realtà che non devono necessariamente escludersi a vicenda, pur se di volta in volta l’uno prevarica sull’altro. La sentenza che il Maestro offre ai farisei e agli erodiani esprime, infatti, la compatibilità dei due ambiti. Ma se l’impero interpreta se stesso come divino, «allora il cristiano deve “obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29); allora i cristiani diventano “martiri”, testimoni di Cristo, che è morto Egli stesso sotto Ponzio Pilato come “il testimone fedele” (Ap 1, 5)» [12]. Il cristiano è obbediente alla realtà civile nelle sue leggi di convivenza, ma portando con sé l’immagine di Dio impressa nella sua anima fin dalla creazione.

«Dal momento che Cesare non ci ha intimato nulla nel modo di una setta soggetta alle imposte, ma neppure potrebbe mai intimare una cosa del genere, incombendo ormai l’anticristo (1 Gv 2, 18), avido del sangue e non del denaro dei cristiani, come mi si può proporre che la Scrittura è questa: Date a Cesare quello che è di Cesare (Mt 22, 21)? Altra cosa è il denaro che io devo a Cesare, che gli è dovuto come tributario da tributari, non da uomini liberi. E come farò a restituire a Dio quello che è di Dio? Senza dubbio restituendogli la sua immagine e la sua moneta che porta inciso nell’iscrizione il suo nome, cioè uomo cristiano. E che cosa sono obbligato a pagare a Dio, come la moneta fiscale è dovuta all’imperatore, se non il sangue che per me versò il Figlio suo?» [13].

 

[1] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 284.

[2] Il denaro utilizzato dall’impero romano all’epoca di Gesù mostrava sul recto il busto di Tiberio Giulio Cesare Augusto (14-37 d.C.), adornato di una corona d’alloro, recando l’iscrizione: Tiberio Cesare figlio del divino Augusto. Il verso della moneta, invece, mostrava il sommo sacerdote romano (pontefix maximus) con la madre dell’imperatore. Lei tiene in mano lo scettro e un ramo d’olivo, caratterizzata come portatrice della pace celeste. Cfr. A. Colagrande, La monetazione di Tiberio, Tesi di Laurea in Scienze dei Beni Culturali della Facoltà di Studi Umanistici, Università degli studi di Milano, Milano 2017.

[3] Cfr. B. Reicke – L. Rost, Biblisch-historisches Handwörterbuch, vol. II, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1964, 703. Secondo alcuni storici questo gruppo piuttosto che “erodiani” erano i Boetusiani, una fazione religiosa filogovernativa, membri di una famiglia sacerdotale insediatasi sotto Erode il Grande (73 a.C. – 4 d.C.), che poggiavano il loro benessere ad una ininterrotta fedeltà a Roma; cfr. H. Hoehner, Herod Antipas: A Contemporary of Jesus Chris, Zondervan, Michigan 1980, 331-342.

[4] La stessa risposta di Gesù la troviamo anche nel vangelo di Tommaso, n. 100, ma con un’aggiunta: «Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio e ciò che è mio, datelo a me!»: Erbetta, «Il vangelo di Tommaso», in Gli apocrifi del Nuovo Testamento, vol. I/1, Marietti, Casale Monferrato (Al), 19832, 280. Per alcuni esegeti tale aggiunta, in una visione gnostica, accenna al desiderio di Gesù che la sostanza pneumatica sparsa nel mondo si riunisca a lui. Contrariamente ad altri che ritenendo il vangelo di Tommaso non gnostico ma molto vicino al senso teologico dei Sinottici, interpretano questa ultima parte come obbedienza verso i comandamenti esplicitati da Gesù stesso, ponendo così la tradizionale obbedienza ebraica verso Adonai metafora dell’obbedienza verso Gesù, in cui egli si manifesta e lo si può trovare.

[5] L. Pacomio, Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 20004, 201.

[6] Camillo Benso di Cavour, Discorso alla Camera dei Deputati su Roma capitale d’Italia, 27 marzo 1861.

[7] «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»: Costituzione della Repubblica Italiana (27 dicembre 1947), art. 7.

[8] J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 950.

[9] R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 2005, 420.

[10] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2007, 129.

[11] R. Bultmann, Gesù, Queriniana, Brescia 20177, 96.

[12] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 32.

[13] Tertulliano, La fuga nella persecuzione, 12, 9-10, in Opere montaniste, vol. I: Città Nuova, Roma 2011.

 

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)